I familiari come ostaggi

I familiari come ostaggi IL "VISTO,, USATO CONTRO GLI EBREI IN URSS I familiari come ostaggi Un appello rivolto al governo sovietico dal convegno delle donne italiane a Firenze (Nostro servizio particolare) Firenze, 21 novembre. Nell'ambito dell'Anno internazionale della donna il Comitato di studio della situazione degli ebrei in Urss, insieme con il Comitato promotore presieduto da Ines Zilli Gay e composto da Susanna Agnelli, Bianca Pinzi, Eva Fischer, Letizia Funda Savio, Aurelia Gruber Benco, Maria Teresa Macrelli, suor Doria Pancrazi, Liliana Richetta, ha organizzato al Palazzo dei Congressi un Convegno nazionale al fine di approfondire il problema specifico delle famiglie divise. Quanto la questione sia vasta ed attuale risulta da una lista illustrativa comprendente oltre cento casi di famiglie di ebrei sovietici le quali, in pieno contrasto con lo spirito di Helsinki, non hanno potuto, com'era loro desiderio, rimanere unite nell'emigrazione in Israele. Vengono colpiti da questa forma di repressione parenti stretti, genitori e figli, coniugi, fratelli, di qualunque età e posizione: dal settantaquattrenne pensionato Lazar Liberman, fin dal 1969 in attesa del visto di uscita, alle due ragazze (Marina Temkin di 16 anni e Dina Kazoev di 17) entrambe rapite dalla polizia alla vigilia della partenza. Tra gli otkazniki (persone cui è stato rifiutato il visto) vi sono medici, ingegneri, artisti, tecnici, studenti, operai, marinai e persino un censore. A giustificazione dei provvedimenti repressivi le autorità sovietiche invocano talvolta motivi pretestuosi, qua- j u una presunta conoscenza di 1 segreti di Stato o qualche particolare competenza utile allo Stato; ma il divieto rimane comunque arbitrario e infondato, forse dovuto all'intento di trattenere quale ostaggio nell'Urss un membro di una famiglia emigrata. Questo sembra il caso dell'economista Ida Nudel, rimasta sola in Urss, dove è sottoposta a continue vessazioni, arresti, stretta sorveglianza del Kgb come ha riferito al Convegno la sorella Elena Fridman, ormai residente con il marito e il figlio in Israele. Nella sua relazione Luciano Tas, che dirige il Convegno, ha rievocato il destino degli ebrei sovietici a partire dalla loro partecipazione ai primi moti rivoluzionari (mentre la frattura tra ebrei e dirigenti sovietici si palesò già dopo la morte di Lenin) fino al processo di Leningrado per una «intenzione di dirottamento», conclusosi nel 1970 con una serie di pesanti condanne. Negli anni successivi la situazione degli ebrei non migliorò in modo sostanziale, poiché il numero dei visti di emigrazione concessi (circa 120 mila) rimase inferiore a quello delle 150 mila domande presentate. Gli ebrei sovietici costituiscono attualmente «una nazionalità atipica», priva cioè di una lingua e di una cultura propria. La professoressa Limiti, condannando quello che ha definito «una forma di rapimento statale», ha espresso l'augurio che Marina Temkin e Dina Kazoev possano venire presto restituite alle rispettive famiglie. A. Von Berger, segretario regionale del psi, Signorini, segretario provinciale della de, una rappresentante della sezione femminile del psdi, il consigliere comunale del pri Orvieto, Giuseppina Sernesi, segretaria nazionale della sezione femminile del pri, il vicesindaco di Firenze Colzi, socialista, il prof. Scarlino per il Comitato regionale del pli, la dottoressa Borgiotti della sezione femminile della Dante Alighieri, la signora Ricca per le donne evangeliche italiane, Franco Palmieri del sindacato scrittori, una rappresentante delle donne italiane professioniste ed artiste, e molti altri fra i numerosi intervenuti hanno espresso la loro solidarietà e il loro impegno nella difesa della libertà e dei diritti dell'uomo. L'intervento di Susanna Agnelli ha confermato come tali questioni non suscitino sempre vivi consensi. In una recente riunione dell'Unesco a Parigi una sua proposta circa una più intensa partecipazione delle donne al fine di garantire una politica di pace è stata accolta con indifferenza. Ha poi parlato Elena Sacharov (moglie del fisico Andrej Sacharov, premio Nobel per la pace) spiegando come il ricongiungimento delle famiglie ebraiche divise si inquadri nel più ampio diritto dell'individuo sia di risiedere dove lo desideri, sia di ritornare in patria, costituendo la libertà di residenza la prova e la garanzia degli altri diritti. Alla fine del Convegno le donne italiane partecipanti hanno formulato una risoluzione (trasmessa all'ambasciata sovietica a Roma, ai presidenti del Senato e della Camera, al presidente del Consiglio dei ministri e al ministro degli Esteri) in cui « auspicano che l'Unione Sovietica dia effettivo seguito agli impegni veramente assunti con la Dichiarazione di Helsinki ». Si chiede inoltre al Parlamento e al governo italiani di ricordare agli omologhi sovietici le condizioni discriminate della minoranza nazionale ebraica nell'Urss, affinché «in un clima di reciproca amicizia e comprensione vengano sollevati da parte sovietica gli impedimenti all'emigrazione ebraica nell'Urss, con particolare riguardo ai casi di famiglie separate ». Lia Wainsteìn