La tirannia pietrificata di Alberto Cavallari

La tirannia pietrificata La tirannia pietrificata Il personaggio di Franco esce di scena avvolto nella luce livida della « sua » guerra civile, la stessa dalla quale emerse trentanove anni fa, malgrado molte cose siano cambiate in Spagna. La sua morte non viene preceduta da una reale conciliazione tra vinti e vincitori, come si pretende spesso e resta sullo sfondo dell'epilogo franchista la Spagna tragica che non seppe cancellare. Tragedie, massacri, lacrime, accompagnarono l'entrata nella storia di Franco giovane. Repressioni feroci, fucilazioni, leggi eccezionali accompagnano l'uscita dalla storia di questo generale pietrificato in una immobilità sinistra, metafisica, alla Goya. La sepoltura di Franco avverrà nella Valle de Los Caidos, ad una quarantina di chilometri da Madrid, dove il dittatore s'è fatto preparare la sua tomba (come Carlo V e Filippo II) nel famoso tempio dedicato ai caduti delle due parti della guerra civile, mescolati nel cimitero per significare la concordia ritrovata. Ma resta il fatto che questa proclamazione d'unità e di conciliazione, fatta da una parte sola, servendosi di morti che non possono dire nulla, non cancella l'atmosfera da guerra civile che l'ultimo Franco ha risuscitato in Spagna, con un'estrema repressione feroce dei vinti. La Valle de Los Caidos è in una gola di montagna, rupestre, a Nord-Ovest di Madrid. Si vedono le petraie della Sierra di Guadarrama, sullo sfondo le pinete di « Per chi suona la campana ». La sepoltura di Franco, invece di rappresentare una catarsi della tragedia spagnola, finisce con l'essere qui solo un altro capitolo di una storia iniziata nel 1936. Il Caudillo morto significa una guerra civile mai finita davvero, mentre l'inverno arriva sulla Sierra, e tra i sentieri coperti d'aghi di pino bivaccano altri « rojos ». Nulla di più falso, infatti, della fama di un Franco conciliatore. Franco è stato astuto, freddo, calcolatore, e — come scrisse Piovene — abile nell'applicare verso i vinti la sua regola di non muoversi, di non andare incontro, di aspettare, di restare fermi e poi « uccidere, magari mollo, senza accalorarsi però, disposto a continuare o a smettere ». La sua dittatura, che Tierno Galvan ha definito una volta « dictadura minerai », cioè pietrificata, immobile, immutabile, non ha certo voluto la repressione continua, passionale, oppure astratta, o folle, di tipo nazista. Essa ha semplicemente governato un regime dove i vincitori di ieri sono stati collocati sopra ed i vinti sotto; con una polizia che, ad ogni movimento di chi stava sotto, interveniva con misure diversificate secondo le situazioni e le convenienze politiche. Sono state così possibili certe « ambiguità » del cosiddetto liberalismo franchista: il permettere l'organizzazione di circoli antifranchisti con cabeze visibili, e il procedere ad arresti e fucilazioni: il mettere in vetrina libri di Lenin e di Carlo Marx, mettendo però in prigione sindacalisti e comunisti. Franco è stato un dittatore freddo, un galiziano di ghiaccio: e la sua prudenza politica è stata spesso confusa con la saggezza. In effetti, Franco non è mai stato «saggio» nel senso classico della parola, cioè «savio». Ha ceduto spesso, ma sempre un minimo, quando occorreva; e sempre aspettando che gli altri si muovessero, per effetto degli aventi, o delle convenienze militari ed economiche. Quando le democrazie occidentali hanno avuto bisogno di basi e la Spagna di sviluppo economico aperto, ha ceduto le basi e modificato lentamente il dosaggio del regime. In questo modo ha conservato il franchismo, cioè il fascismo spagnolo, oltre la morte del fascismo italiano e del nazismo tedesco. Ma, in questo modo, è stato solo un grande calcolatore, non un conciliatore. All'interno del suo Paese, eseguiti i dosaggi politici necessari alla metamorfosi di ver¬ A tice, non ha mai dosato però la sua dittatura verso i vinti. Appena scorgeva qualche traccia dello « stupido XIX secolo », e appena sentiva odore di « demoni familiari », cioè di liberalismo e di comunismo, sapeva uccidere, reprimere, con glaciale fermezza. Figlio di un « alzamiento militar », aveva precorso un grave fenomeno moderno: quello del passaggio del potere politico ai militari che dopo di lui ha dilagato nell'Europa sottosviluppata e nel Terzo Mondo. Ma nell'ideologia della così detta « alternativa in uniforme », aveva mantenuto motivazioni sociali e politiche tipiche degli Anni Trenta, profondamente fasciste, appunto ferme alla lotta contro lo « stupido XIX secolo delle democrazie » e contro i « demoni » della Spagna repubblicana. In questo modo, sotto le apparenze di un caudillato militare modernizzante, tecnocratico, capace di allinearsi ulteriormente a poco a poco all'Europa, amministrava il vecchio concetto dell'hispanidad, della Spagna differente dal resto del mondo, e quindi ostile a chi voglia farle vivere le nuove esperienze del mondo. Poteva illudere chi si lasciava illudere con una industrializzazione che fingeva di modernizzare la Spagna. Ma se dopo il fiume di sangue del '36 la Spagna conosceva un fiume di consumi, restava sempre la grande discriminazione tra vincitori e vinti, tra chi accettava il franchismo e chi lo rifiutava. Su questa frontiera si è pertanto collocata la sua dittatura cangiante, pronta alia metamorfosi esterna, ma nel suo profondo mineraria, fossile, ancora al tragico scontro frontale degli Anni Trenta tra fascismo e antifascismo. Franco è certamente stato una figura tragica per la generazione che aveva venti o trent'anni nel '36, quando la Spagna visse la prova generale della grande guerra, anticipando con i suoi massacri un massacro più grande. Una figura tragica anche per le generazioni successive per questa sua incapacità di conciliare un Paese dissanguato, orientando sulla Europa l'ombra di una guerra civile prolungata, tenuta in sospeso nel tempo, oltre il suo tempo. Dietro la maschera di una dittatura mummificata, persino avvolta in certi casi da una demente ammirazione europea per le sue qualità trasformiste, restava infatti il vuoto di un potere freddo, arido, sterile, incapace di superare la sua matrice tragica. Restava soprattutto quella luce da Anni Trenta, così sinistra, che il dittatore, nonostante il tempo passato, ha diffuso intorno alla propria agonia contornata dalle ombre di una guerra civile mai veramente conclusa. Alberto Cavallari Madrid. Il Caudillo a passeggio sul cavallo bianco (Neri)

Persone citate: Carlo Marx, Carlo V, Goya, La Valle, Lenin, Piovene, Tierno Galvan