Martiri d'oggi di Carlo Falconi

Martiri d'oggi DAL NERO DELLA CRONACA Martiri d'oggi « Alessandra Sacchetti, di anni 23, trovandosi nella località soprannominata La Rave Bianca con altre donne a raccogliere uva, fu assalita inaspettatamente da un gruppo di scellerati e sanguinari che, ardendo di turpe libidine, tentarono di trascinarla in un luogo più adatto per soddisfare le proprie basse voglie. La giovane però resistette loro con tutte le forze dichiarando apertamente di voler piuttosto morire che macchiarsi di colpa. Ed essi, delusi nella loro iniqua speranza e infuriati per non averla potuta piegare si vendicarono coprendola di ferite e abbandonandola semirnorta. Mentre era soccorsa, ella non cessava in tutta pazienza di offrire la propria anima a Dio onnipotente, di chiedere i sacramenti e di offrire il proprio perdono ai suoi uccisori. Finché, esauditi i suoi desideri, confessata e confortata dall'unzione del sacro olio, restituì la propria anima a Dio». Con questa epigrafe il parroco di S. Pietro in Sonnino inseriva il 1 ottobre 1816 nel Liber mortuorum della sua parrocchia la notizia di questa eroica morte. Quello stesso giorno ne aveva già scritta un'altra quasi identica, appena più diffusa, relativa a Giuseppa Leoni di 25 anni, di stato (coniugata, nubile) non precisato, vittima come la Sacchetti, nella stessa località, dello stesso tentativo di stupro e vittoriosa come lei nella resistenza sostenuta. Ma la parafrasi italiana che qui si è offerta non rende per nulla la solennità scultorea del testo originale, redatto con la stessa classica terminologia del Martirologio («At illa suis fortiter obstitit conatibus eisque palam denuntiavit se mori malie quam fedari»). Questa solennità, lasciata disseccare come un fiore tra i fogli pergamenacei del polveroso registro, era l'unico omaggio, in grado di sopravvivere conservando la memoria di simili eroine oltre l'emozione e l'esaltazione del lutto immediato. Allora episodi del genere erano piuttosto frequenti non solo a Sonnino ma anche in parecchie altre località del Lazio inferiore battute da briganti, ex soldati ed ex disertori. Ma, a prescindere da queste circostanze di emergenza, la mentalità generale, temprata da una lunga tradizione di pratica religiosa e morale, considerava quello così adempiuto un dovere simile ad altri legati non di rado al sacrificio della vita, come la maternità. Avrebbe quasi sbalordito, se non addirittura sollevato opposizione, la proposta di considerare come vere e proprie martiri, degne dell'aureola ufficiale della canonizzazione, le protagoniste di un gesto tanto scontato. Non la pensava molto diversamente, una trentina d'anni fa, il Promotore generale della fede di una causa discussa in un processo di canonizzazione che aveva per oggetto il riconoscimento della caratteristica di martirio alla morte di una ragazza che si era lasciata coprire di pugnalate pur di non cedere a chi voleva violarle la integrità. In un indirizzo al papa del tempo, egli citava il vecchio assioma di S. Agostino: «Martyrium non facit poena sed causa» e cioè: è il motivo per cui viene inferta la violenza fisica, e non quest'ultima soltanto, ciò che costituisce il martirio; in pratica, il proposito, da parte del persecutore, di combattere delle verità di fede o dei fondamentali precetti di morale, ecc. facendoli rinnegare alla propria vittima; nel caso specifico, il disprezzo del comandamento divino che vieta la fornicazione. ★ ★ Ora questa condizione, a giustificato parere di quel prelato, mancava nel caso in discussione. Inoltre era quanto mai dubbia anche l'accettazione del martirio da parte della giovinetta: a un certo momento, infatti, essa aveva detto ripetutamente « sì » al suo aggressore. Infine la condotta della ragazza non era stata la più prudente visto che, sebbene già precedentemente molestata con gravi sollecitazioni, non aveva fatto parola ai suoi del pericolo corso e sempre incombente, né si era garantita dal peggio gridando quando si era vista assalita. Nello svolgimento del processo, del resto, era accaduto l'inverosimile: a parte lo zelo eccessivo di alcuni testi (quasi tutti, d'altronde, ex auditu e non di scienza propria), zelo che si era manifestato esagerando e forzando le prove addotte, vi erano forti sospetti di manipolazione dell'assassino, raggiunto dapprima in carcere da un vescovo, poi, dopo la liberazione, influenzato e indottrinato da più parti tanto che aveva finito per deporre sennel modo più incredibile; ma a dsoprattutto vi era stato il com- do portamento scandaloso di uno ' dei due giudici che, volendo dare un altro significato all'af¬ fermazione dell'assassino circa i ripetuti «sì» della presunta martire, aveva insistito presso sol«cecencomavepia— inrcrropnndoio so quc j comst'ultima non avesse piuttosto detto «ih, ih, ih» in senso di esclamazione di dolore. E di fronte al suo caparbio comportamento sul «sì», sospesa l'escussione che minacciava l'esito prestabilito al processo, aveva ottenuto non senza fatica da' collega che non fossero trascritte le affermazioni del teste: cosa che aveva provocato l'uscita dall'aula, in segno di protesta, del sub-promotore della causa. * * A distanza di un secolo, infatti, dagli episodi di Sonnino e del Lazio, la maggior libertà di costumi invalsa nella società ha spinto dapprima le autorità ecclesiastiche cattoliche a una maggior rigidezza, poi alla ricerca di esemplarità esaltanti. Dell'uno e dell'altro comportamento è stato oggetto l'episodio di tentata violenza carnale avvenuto nel 1902 ai danni della giovanissima Maria Goretti nella campagna di Nettuno. Quando Armida Barelli, la prima presidentessa generale della Gioventù femminile italiana di Azione Cattolica, nel 1930 volle propagare tra le affiliate dell'associazione la conoscenza della Goretti, chiese e ottenne dai Padri Passionisti, che si erano assunti la causa di beatificazione, di fare un'edizione purgata (dalle scene più crude) della biografia che essi avevano messo in circolazione. Eppure, quando, nel 1942, si trattò di stampare un'ulteriore edizione, quella fu ritenuta dagli assistenti ecclesiastici ancora troppo turbativa dell'innocenza delle iscritte e quindi sottomessa a nuovi tagli e attenuazioni. Pio XII, invece, dopo la seconda guerra mondiale, credette più che mai opportuno accelerare il processo per la beatificazione della fanciulla iniziato nel '35. Né si lasciò fermare da alcuna obiezione: nemmeno da quella che, data l'età acerba della Goretti, la sua condotta non poteva costituire un esempio veramente convincente. A neppur dodici anni, si sa, una contadinella non ancora matura fisicamente e per di più cresciuta in un isolamento quasi selvaggio, (mte vetchede mava tà. proingretsiterala ta riato tonrecvachlitsenchpioberiace quReorvosoqumasiolaclosunnamvala prneplprplnenecressepefieSapeCrbechqucomo senza la minima sollecitazione a divertimenti in qualche mo- do pericolosi, poteva sapere ' soltanto genericamente che «certe cose sono peccato e fa cendole si va all'inferno», e comunque rinunciandovi non aveva minimamente l'idea del piacere che vi era connesso, come, mand, in morte (ma l'espressione è troppo forte per una minaccia che dovette sembrarle incredibile e che comunque, quando la vide posta in atto, non c'era or¬ mai più nulla da fare) ignorava che cosa essa fosse in realtà. Egli ritenne invece che, proprio perché così semplice e ingenua quasi come un fioretto e sciolta da ogni scabrosità, la sua testimonianza era particolarmente efficace. E la Goretti fu da lui beatificata nel '47 e sollevata alla gloria del Bernini nell'Anno Santo 1950. Ha certo ragione Jean Guitton di scrivere, come ha fatto recentemente sul quotidiano vaticano sull'onda dei dibattiti che hanno tenuto dietro ai delitti del Circeo e di Cinecittà, senza però neppure accennarvi, che «lo straordinario è un campione prelevato sull'ordinario», ben sapendo che «ciò che Maria Goretti compiva nella luce è ciò che molti fanno in questo mondo nell'oscurità ». Resta però il fatto che la straordinarietà che segue al prelievo non muta, isolandolo, la sostanza d'un episodio come quello, che è appunto la normalità. La resistenza all'aggressione brutale e alla violazione lacerante della propria più gelosa intimità è prima di tutto un istinto, e quindi un fatto naturale, che può acquistare maggiore o minore dignità e valore dalla motivazione che la ispira, ma che rimane sempre fondamentalmente tale. Proprio per questo, pur non negando l'efficacia di un'esemplarità per campioni, sembra preferibile auspicare un'esemplarità più accessibile, senza nembi e retorica, più spontanea, come quella fornita dalle cronache e dai commenti che esse suscitano: un'esemplarità senza sussiego ma ad un tempo perentoria come quella delle fiere donne ciociare Alessandra Sacchetti e Giuseppa Leoni e, perché no, di Rosaria Lopez e Cristina Mazzotti che, soccombendo senza colpa o con qualche debolezza, hanno comunque tutte egualmente vinto e contribuito a far migliore il mondo. Carlo Falconi

Luoghi citati: Giuseppa, Lazio