Storie di "orrori sociali"

Storie di "orrori sociali" Dalla reazione umbertina ai nostri giorni Storie di "orrori sociali" Massimo Felisatti: «Un delitto della polizia? »; Ed. Bompiani, pag. 160, lire 2000. Alfredo Bonazzi: «Squalificati a vita»; Ed. Guaraldi, pag. 120, lire 2000. Déjà vu: e da quanto, se perfino Pio IX aveva detto — ed era Cavallotti a citarlo alla Camera — che non c'è niente di più rivoluzionario degli abusi e violenze del potere. Toujours vu, insomma, e una delle tante schede storiche ha la data del 22 aprile 1897. Su uno stradone fuoriporta un fabbro romano disoccupato, Pietro Acciarito, attenta con un suo punteruolo alla vita di Umberto I; alle Caparmene si corre il Derby Reale, « il re dava ventiquattromila lire di premio per un cavallo vincitore, io non trovavo da battere un chiodo, ho perduto la testa ». Sono anni in cui coagula la realtà conservatrice del risorgimento. Al governo c'è, succeduto a Crispi, il marchese Di Rudinì, che si barcamena tra una destra storicamente affarista ed autoritaria (associata a regina, buro- crazia e militari), ed un proprio lento disegno di inquinare e svuotare una possibile opposizione di sinistra digerendosene i riformisti: Zanardelli e magari Cavallotti. L'attentato gli può servire a isolare gli « opposti estremismi »; ma può essere una crisi. La destra pretende che dietro Acciarito — solo un affamato, « inesorabile come la sciagura» nelle sue deposizioni — ci sia il complotto di socialisti e anarchici. Si fanno degli arresti arbitrari in cerca di prove; va in guardina anche il giovane falegname Romeo Frezzi che nega. Lo si massacra di botte e poi lo si « suicida » precipitandolo da un ballatoio. « Ci è sfuggito e si è gettato dabbasso », dice il questore. Ma al medico ufficiale si è fatto diagnosticare un «aneurisma »; poi si è parlato di testa battuta contro il muro. Il solito pasticcio sordido in cui offendono alla pari il delitto, la omertà mafiosa, la tolleranza ufficiale di un così torvo livello professionale. Malgrado le denunce di Cavallotti, Costa, Turati, la norma rudiniana dell'equilibrio risolve tutto «trasferendo» il questore (ma, forse, piuttosto per l'attentato) e rinviando a giudizio i poliziotti colpevoli. «Ministero dell'impotenza», 10 definisce Sonnino alleato delia polizia, mentre Badaloni si chiede se « l'onestà privata degli uomini di governo non sia impotente di fronte alle necessità del sistema ». Zanardelli entra al governo, proprio come ministro della Giustizia; il processo ai questurini omicidi si conclude dopo le cannonate di Bava Beccaris, con una generale assoluzione. La vedova Frezzi riceve 500 lire, dalla vendita di 5000 ritratti del marito a incisione. Libri come questo — nato dopo il « caso Pinelli » per 11 mercato cinematografico — allo stesso tempo maliziosamente e correttamente « attuali », in realtà non usano dagherrotipi e verbali del déjà vu altro che sussidiariamente. La loro vera ragione è piuttosto parente delle lunghe ballate popolari dei Qa ira, del La boje; sono una reazione radicale all'insofferenza per il toujours vu. I giorni « umbertini », cioè militar-burocratici e di « Palazzo » di questi ultimi anni; i dubbi sul fallimento dell'antifascismo che ripetono la misera fine di risorgimentali come Crispi o Farini; le radici insomma « unitarie » di un certo fascismo endemico: tutto sembra oramai, tutto assieme, materia di cronaca e materiale popolare. Bresci fu, a suo modo, un eroe povero. Acciarito era schedato come pregiudicato perché uscendo da scuola gli era stato trovato un compasso da disegno: cioè un'arma « impropria » per lui, povero. Ma e-co un'altra scheda ancora più fitta, demoniaca addirittura, di « orrori sociali »; ed è il libro su tutti quei | « suicidati » (questi davvero quotidiani e ripetuti) dei quali anche noi dobbiamo riconoscerci responsabili. Alfredo Bonazzi presenta le proprie ed altrui testimonianze sull'inferno degli « squalificati a vita » all'interno dei nostri manicomi giudiziari. Bonazzi è un « colpevole ». Ma a leggerlo ecco che si ribalta tutto nel fango e allucinazione di un ininterrotto fallimento sociale, di un generale naufragio di leggi e politiche senza coraggio e senza idee. Come dire di giudici, di burocrati, di professionisti, di politici. Cioè di noi tutti. Non fosse provato e provabile, questo sarebbe il jamais vu, l'incredibile, perché nei manicomi ufficiali i Frezzi e Pinelli sono centinaia, senza contare quelli dimenticati e scomparsi. Per costoro troppo pochi si battono; la ballata popolare sembra non funzioni più. Letti di contenzione, violenza, morti colpose, degradazione e distruzione mentali e fisiche, stupri, piaghe, insetti schifosi, aguzzini, sevizie. Per quale rettorica celebriamo i lager della Resistenza, quando manteniamo i nostri vicino a casa? Insomma impunità, impunità, impunità. E' dunque qui, alle radici della miseria politica ed umana, che rimane la verità, la diretta « visione » del male. Ecco davvero una Histoire d'O popolare. Lo spettacolo è gratuito; le proiezioni continue, di giorno e di notte. Claudio Savonuzzi