Gava, l'irresistibile ascesa di Massimo Caprara

Gava, l'irresistibile ascesa Gava, l'irresistibile ascesa Come padre e figlio si sono "impadroniti" di Napoli - Il successo delle "vite" dei politici Massimo Caprara: «I Gava»; Ed. Feltrinelli, 173 pagine, lire 2500. Quella che Massimo Caprara definisce « l'irresistibile ascesa » di Silvio Gava non è una carriera unica nel trentennio 1945-1975, l'era — non ancora conclusa, anche se giunta a una svolta forse determinante — dell'egemonia democristiana; ma è una carriera esemplare perché come nessun'altra riassume i caratteri che nel trentennio hanno costituito la base del potere de, cosi come è stato conquistato, gestito e difeso nei tanti feudi locali e regionali. Quali sono questi caratteri? A differenza di quanto accadeva nell'Italia prefascista, ove anche i politici più sospetti fondavano il loro potere in parte decisiva sul prestigio personale, di partito e di schieramento, e solo in parte minore sul collegamento con determinati interessi economici di cui erano i portavoce, ma non i rappresentanti diretti e tanto meno i gestori, nell'Italia democristiana degli Anni Cinquanta e Sessanta molti leaders del partito dominante hanno dato contemporaneamente la scalata al potere politico e a quello economico, a i l o o o ù l o o o e e , quando addirittura non hanno fondato il primo sulla conquista del secondo. In altre parole, invece di esprimere certi interessi ne hanno assunto la gestione, mettendo in un certo senso il loro potere politico al riparo dalle alterne vicende di corrente, di governo e elettorali. Il modo in cui Silvio Gava e il figlio Antonio si sono impadroniti delle principali leve di comando economiche, finanziarie e clientelari di Napoli è oggetto dell'inchiesta di Caprara. Sempre attento a non mitizzare il « caso », l'autore osserva che abbandonarsi a una personalizzazione del medesimo rischia « di celare un entroterra più vasto e profondo, un collettivo ben più numeroso di attori, garanti, compartecipi, beneficiari, un agglomerato di forze più ramificate, una gerarchia di posizioni e di valori che investono e compromettono tutta intera la società borghese napoletana che li esprime e ne è espressa ». La parte più consistente del volume è dedicata alla strategia e alla tattica dei Gava, dagli inizi del senatore Silvio alle recenti attività dell'onorevole Antonio; ed è interessante notare come strategia e tattica si adeguino volta per volta al clima po- litico, alternando infiltrazione e sfondamento, occupazione forzosa e insediamento pacifico, attacco e difesa. Ma un interesse ancora maggiore hanno, a nostro parere, i due ultimi capitoli, nei quali Caprara riferisce quanto gli è stato detto, in interviste recentissime, dai due protagonisti. Il capitolo sul colloquio con Silvio Gava s'intitola, significativamente, « La de dopo Fanfani ». Richiesto dall'interlocutore di esprimere un giudizio sull'ex segretario del suo partito, l'anziano senatore lo definisce « un personaggio imprevedibile, poco umano, autoritario. Un ottimo Presidente del Consiglio, traboccante di idee, di iniziative, di impulsi, ma come segretario del partito, davvero una scelta sbagliata... Un temperamento drastico, che non lascia mai che le cose si svolgano naturalmente, storicamente. E' sempre spinto a forzarle ». Ancora più crudo il giudizio su Moro: « Altro sistema, altri difetti. Rimprovero a Moro il lassismo della sua guida a capo del partito. Con lui 1u abbandonato il principio della disciplina interna. Sotto la sua amministrazione le correnti hanno cominciato a degenerare, inarrestabilmente ». Nell'ultimo capitolo, « Napoli dopo la de », è di scena Antonio Gava, meno disinvolto, più prudente, più restìo a lasciarsi trascinare sui grandi argomenti di politica generale. Napoli è al centro del colloquio, con la sua giunta minoritaria di sinistra che non può né amministrare né trarsi in disparte. I comunisti, a Napoli, « hanno cavalcato, senza averla neppure organizzata, anzi temendola, l'ondata di protesta di strati proletari ambiguamente influenzati dalla destra ma ora attratti dall'efficienza di un partito forte e ben radicato... Hanno scritto che perdendo il Comune sarei stato colpito al cuore. Ho offerto io stesso il petto a questa raffica. Non sono per l'eutanasia, sono cattolico e conto di non suicidarmi. Il potere è importante ma la linea politica fa premio su tutto. La de non può né deve avere un sistema di alleanze di potere con il pei ». La linea politica di cui parla Antonio Gava non è forse esattamente conforme a quella dell'attuale segreteria democristiana, ma non è nemmeno in contrasto con essa. Tutto sta ad intendersi sul significato della parola « confronto »: ci possono essere anche confronti aspri, e per un confronto di questo genere con i comunisti i Gava sembrano ancora bene attrezzati. Il volume sui Gava è il terzo della collana « Al vertice » di Feltrinelli, inaugurata qualche mese fa dai saggi di Giorgio Galli su Fanfani e di Ruggero Orfei su Andreotti. Questa letteratura politica ha un pubblico vasto, come dimostra il successo dei tre libri e quello di un'opera analoga, Bisaglia, una carriera democristiana di Giampaolo Pansa, che ha aperto recentemente la collana « Uomini e potere » della SugarCo. Mario Bonini

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