Pagine agghiaccianti della cronaca nera di Giuseppe Mayda

Pagine agghiaccianti della cronaca nera Pagine agghiaccianti della cronaca nera L'ultima condanna a morte pronunciata in Italia in tempo di pace venne emessa il 5 luglio 1945 dalla Corte d'Assise di Torino per punire i responsabili dell'eccidio avvenuto nella cascina « Simone tto» di Villarbasse: dieci parsone erano state trucidate nella notte fra il 20 e il 21 novembre 1945. La mattina dopo, all'alba, un muratore arrivò alla fattoria e non vi trovò segno di vita, In una stanza scoprì un bimbo di tre anni che piangeva disperatamente, tre piccole casseforti erano state forzate, altri armadi apparivano sottosopra. Nessuna traccia degli abitanti. Il mistero fu svelato nove giorni più tardi. In fondo a una cisterna profonda sei metri giacevano le salme di sei uomini e quattro donne, legate assieme da fili di ferro e ricoperte di pietrame. L'autopsia accertò che alcune vittime erano state gettate dentro ancora vive. Le indagini non furono faci li ma alla fine si scopri, grazie ad una tessera annonaria abbandonata sul posto, che colpevoli erano quattro ex soldati siciliani che si erano rifugiati nella fattoria all'armistizio dell'8 settembre '43: tornati sul posto dopo due anni con l'intenzione di rapinare quella famiglia di contadini benestanti erano stati riconosciuti da una donna: pazzi di paura e di furore avevano compiuto la strage. Dieci mesi dopo i criminali vengono scoperti: uno dei quattro, Franco Lala Saporito, risultò morto in Sicilia, al suo paese, assassinato dalla banda Giuliano; gli altri tre, Giovanni Puleo, Francesco La Barbera e Giovanni D'Ignoti, furono arrestati e condannati a morte. L'esecuzione avvenne alle Basse di Stura, alle 7,30 del 4 marzo 1947, da parte di un plotone di trentasei agenti di polizia metà dei quali, a loro insaputa, avevano il moschetto caricato a salve. Quello stesso anno 1945 registrò un'altra feroce strage. A Milano, in un vecchio palazzo del quartiere di Porta Venezia, in via San Gregorio 40, la mattina del 30 novembre vennero trovati massacrati a' colpi di sbarra di ferro una giovane sposa in stato interessante, Franca Pappalardo, trentaquattrenne, e i suoi tre bimbi, Giovannino di 7 anni, Giuseppina di 5 e Antoniuccio, di undici mesi. Le vittime erano moglie e figli del commerciante di tessuti Giuseppe Riccardi, detto «Pippo», trentacinquenne, un catanese venuto al Nord alla fine della guerra. La furia dell'omicida era stata tremenda (la piccola Giuseppina, benché colpita mortalmente alla testa, era stata anche strangolata). I sospetti caddero sull'amante del Riccardi, Caterina Fort, 31 anni, nativa di Budoia, nel Friuli, ed ex commessa nel negozio di «Pippo». Interrogata l'indomani, la Fort confessò e il 20 gennaio 1950 la «belva di via San Gregorio» fu condannata all'ergastolo. Passò ventotto anni di carcere a confezionare vestiti per bambini: solo di recente è tornata in libertà. Pochi anni più tardi, nell'aprile 1954, un'altra strage suscitò profonda commozione e sgomento. Fu quella compiuta da un contadino di Costigliolf d'Asti, Roberto Ruffa, 23 anni, abitante con la famiglia in un podere di località «Convento Tinella». La notte del 23 aprile, verso l'alba e mentre suo padre, Francesco, quarantanovenne, era in giro nei campi per accendere falò sotto le vigne minacciate dal gelo di ima insolita nevicata, il giovane si alzò da letto e, sceso nella stalla, staccò da un chiodo una lunga roncola. Con quella terribile arma in mano, uccise la madre, Teresa Rosso, di 45 anni, poi sgozzò le sorelle Lucia di 18 e Annamaria di 7 anni e i fratelli, Ernestino, diciannovenne, e Fiorenzino che avrebbe compiuto tre anni di lì a pochi giorni. Infine tornò nella stalla, ammucchiò strame, fieno e paglia al centro del locale e vi appiccò il fuoco: quando vide le fiamme ben alte e ruggenti, legò una grossa fune al soffitto e si impiccò. L'ultima spietata strage, provocata dalla vendetta, avvenne in Calabria nell'aprile dell'anno seguente, 1955. L'au- tore fu il «mostro di Presinaci», Serafino Castagna, ventinovenne: era un bracciante di Vibo Valentia che, condannato (a suo dire innocente) per un tentato omicidio, aveva meditato la vendetta durante i cinque anni trascorsi in carcere. Appena liberato e tornato a casa, Castagna preparò una «lista nera» con ventiquattro nomi di persone da uccidere: dai giudici che lo avevano condannato, ai vicini di casa, ai testimoni del processo a suo carico, ai rivali in amore. Poi, la sera di domenica 17 aprile, imbracciata la doppietta, diede il via alla strage. Per primo uccise i coniugi Nicola e Maria Polito, poi Pasquale Petriolo (che in tribunale lo aveva accusato), poi Maria Stella Valente. Nella sua fredda furia sanguinaria Castagna feri altre sei persone, quattro le mancò, ma quando rifugiatosi in casa, suo padre, Domenico, gli rifiutò il denaro per fuggire e lo pregò anzi di costituirsi, Serafino ricaricò l'arma e fece fuoco, fulminandolo. Giuseppe Mayda