Faccia a faccia sul Golan di Igor Man

Faccia a faccia sul Golan SIRIANI E ISRAELIANI INTORNO ALLA CITTÀ DI KUNEITRA Faccia a faccia sul Golan Gli arabi occupano la "città fantasma" e la strada che vi porta; tutto il resto appartiene ai soldati di Tel Aviv - Intorno a queste rovine, provocate dalla guerra e dalle demolizioni, Damasco polemizza - La ricostruzione sarebbe il segno che la pace va avanti (Dal nostro inviato speciale) Kuneitra, novembre. In un luminoso mattino convulso di traffico, saccheggiato dalla polvere dei cantieri edilizi, lasciamo Damasco diretti a Kuneitra, sull'altopiano del Golan. (Insieme con un funzionario del ministero delle Informazioni e un giornalista giapponese). Khan al-Shih, un campo di rifugiati della guerra del 1948 — baracche color ocra, biancheria stesa, vecchi che si impigriscono al sole — fa da confine tra il tumulto della città in crescita e la squallida pace della campagna coltivata ad olivi. La strada è a larghi tornanti, a mano a mano che saliamo la vegetazione diminuisce fino a scomparire del tutto. Ora la terra è arsa, vulcanica, punteggiata dai pali dell'alta tensione, spogli di fili: allucinanti stampelle, giganteschi spaventapasseri. C'è un posto di blocco tenuto da soldati che scrutano attenti il nostro lasciapassare, poi ci viene incontro un grumo di casupole grigie rattoppate alla meglio: Sassa. Nella guerra del 1973, gli israeliani conquistarono un saliente a poche centinaia di metri dal villaggio. Donne vestite d'un sordo azzurro portano in equilibrio sulla testa gli orci dell'acqua, camminando svelte alla maniera delle contadine calabresi, in una grande confusione dì asini e bambini. Altre donne lavarlo panni multicolori in una pozza d'acqua; rari sono gli uomini e tutti accigliati. La catena dell'Antilibano si staglia lontana sulla destra contro l'orizzonte pulito; una baracca-scuola gialla e blu, un pennone senza bandiera come un dito verso la cima remota del monte Hermon. Adesso la strada fende un terreno nero, arso dal napalm, corriamo veloci per quaranta minuti rallentando solo a una curva oltre la quale appare Kuneitra. Venti abitanti Di lontano il minareto, la torre della chiesa ortodossa, le case: tutto sembra intatto. Ma una volta « dentro », ti accorgi con sgomento che tutto è rovina. Camminiamo in una città morta, vegliata dalle travature metalliche della stazione radio dell'Unef. I nostri passi echeggiano sinistri nel silenzio vasto del mattino. I ventimila abitanti di Kuneitra abbandonarono la città dopo l'arrivo degli israeliani, nel giugno del 1967. Nel febbraio del 1968 un dispaccio dell'agenzia Afp definisce Kuneitra « città fantasma » e aggiunge che « gli ultimi centoventi abitanti hanno chiesto di partire per la Siria non occupata ». Alla fine del 1973 gli abitanti non superavano la decina, oggi ce ne sono venti, divisi in cinque famiglie. Dell'ospedale, il più glande del Golan, quattrocento letti, non rimangono che le mura crivellate di colpi. La chiesa ortodossa è priva anche dei marmi. Su di un muro sbrecciato hanno scritto col catrame: « Signori visitatori, guardate questa città e giudicate da voi. I figli di Kuneitra ». La scritta ha una spiegazione: i siriani sostengono che gli israeliani qualche giorno prima del loro ritiro da Kuneitra (26 giugno '74) « hanno sistematicamente distrutto la città... I palazzi e le case furono spogliati prima di essere distrutti... Le moschee vennero demolite... L'altare, le reliquie, le icone, alcune lastre di marmo e le vetrate d'una chiesa cristiana furono profanati e rubati ». Ai primi di settembre del 1974, Raymond Offroy, deputato francese dell'Udr e presidente dell'associazione parlamentare per la cooperazione euro-araba, visitò Kuneitra insieme con cinquanta deputati europei. Dopo la visita paragonò Kuneitra a Oradour-sur-Glane, rasa al suolo dai nazisti. La lega internazionale contro il razzismo e l'antisemitismo protestò immediatamente affermando che il paragone con Oradour-sur-Glane « era un insulto alla Resistenza ». « Testimonianze irrefutabili confermano che Kuneitra è stata ridotta in macerie dai violenti combattimenti del 1967 e del 1973 ». E' difficile accettare l'affermazione che siano stati gli israeliani a « distruggere sistematicamente » Kuneitra prima di evacuarla. Ci fui nel 1971; quel giorno sull'altopiano gravava una nebbia spessa, tuttavia la città mi sembrò molto danneggiata. Ma vidi poco: una visita minuziosa mi fu impedita anche da un robusto bombardamento dell'artiglieria siriana. Nel 1967 la città non aveva subito gravi danni: risulta dalle corrispondenze giornalistiche. Il fronte rimane calmo fino al luglio del 1969 quando, il giorno 30, si ha la prima battaglia aerea siro-israeliana seguita da tiri di mortai. Gli incidenti si moltiplicano a partire dal febbraio del 1970; le incursioni aeree, i combattimenti di carri, i tiri d'artiglieria divengono frequenti. Nel giugno del 1970 si combatte durante tre giorni e tre notti. Su Le Monde del 29 giugno 1971, il giornalista israeliano Amnon Kapeliouk scrive che quattro anni dopo la guerra del 1967 « Kuneitra è pressoché in rovina. Le rare case ancora in piedi stanno crollando... la navata (della chiesa ortodossa) è completamente vuota, i muri sono nudi. Nelle case tutto è stato strappato, porte, finestre, rubinetti, pavimenti; come dopo il passaggio di uno stormo di cavallette ». Scrupolosamente, il giornalista aggiunge di aver notato cartelli freschi di stampa ammonire come per ordine del governatore militare fosse « severamente proibito depredare i beni pubblici ». Quei cartelli a chi erano destinati? Adesso, mentre percorriamo la via principale dove occhieggiano assurde lampadine accese da un gruppo elettrogeno, dico al mio accompagnatore che mi sembra se non altro azzardato sostenere che Kuneitra sia stata « sistematicamente distrutta » dagli israeliani poco prima dello sgombero. Sorride in quel modo tra l'ironico e lo sprezzante ch'è tipico dei siriani, poi: « Andiamo a parlare con chi potrà dirle qualcosa », ribatte. Una testimone C'è un angolo della città dove si trovano ancora case in piedi. In una abita una signora cristiana che resiste a Kuneitra dal 1967. La casa è in fondo a un giardinetto stento, la donna è vecchia ma animosa; il corpo informe fasciato da una pesante vestaglia di lana tutta rammendi, ai piedi un paio di ciabatte scalcagnate. Ha gli occhi chiari e un po' folli offuscati dalle rabbiose nebbie dell'insonnia. Fra i capelli senza colore tremano gialli bigodini di plastica. Superata una anticamera gremita di gatti e di polli, entriamo nel « salotto buono »: una stufa a legna, poltrone spaiate, due divani traballanti; alla parete un calendario del 1973 con l'immagine della Madonna, un orologio senza sfere. Da come racconta la sua storia, senza però neanche un briciolo di autocommiserazione, si capisce che è abituata a farlo spesso. « Son rimasta sola, mia madre e mio marito sono morti... eravamo un centinaio di persone ma gli israeliani hanno scacciato un po' tutti... siamo rimasti in undici grazie all'intervento della Croce Rossa Internazionale... ho visto tante brutte cose ma il tempo passa presto e io invecchio lentamente... non me ne sono andata e non me ne andrò mai, voglio vedere come va a finire... certo ho visto cose brutte ma l'importante è vivere ed io vivo... Non è piacevole abitare a Kuneitra ma l'importante è vivere... Com'era bella Kuneitra, oggi è una rovina, proprio una città fantasma». Kuneitra era bella, dico, ma è stata la guerra a distruggerla, oppure no? Ride nervosa, poi, pesando le parole, risponde: « Certamente la guerra ha fatto molti danni, ma il colpo di grazia alla città l'hanno dato gli israeliani. In soli tre giorni. Prima di ritirarsi. E lo sa come hanno fatto? Hanno impiegato i bulldozers: mettevano un cavo di acciaio intorno alla casa, come una cravatta, poi tiravano col bulldozer e la casa andava giù. Ma — ride — l'ultimo bulldozer fu sconfitto da una casetta, si ruppe al quarto giorno e non ci fu modo di ripararlo. Allora adoperarono la dinamite ». Le tre colline Il racconto della vecchia signora, Mawad Nassif è il suo nome, trova per cosi dire riscontro in un articolo di André Scemama, corrispondente da Gerusalemme di Le Monde. Il 6 giugno 1974 poco dopo l'accordo di disimpegno tra Siria e Israele, Scemama scriveva che Kuneitra « offre lo spettacolo classico delle città distrutte dalla guerra senza però le voragini delle bombe aeree, poiché Kuneitra è stata distrutta a cannonate e coi bulldozers ». E' difficile dire quante abitazioni gli israeliani hanno abbattuto coi bulldozers, ma che l'abbiano fatto è possibile capirlo osservando come i tetti di diverse case siano caduti al suolo di piatto, rimanendo intatti o appena tranciati. Si riscopre la stessa « tecnica » adoperata a Gaza nel 1971. A questo punto qualcuno potrebbe domandarsi perché la Siria non abbia voluto ricostruire Kuneitra. Basta arrivare alla fine della strada principale per avere la risposta. Qui è l'ultimo posto di blocco siriano, sorvegliato da un tenentino e cinque agenti della polizia civile. Sul posto di blocco che controlla il via vai dei veicoli dell'Onu, incombono le tre colline che sovrastano Kuneitra: Tal-Abounada, Tal-Faras e Tal-Ades. Sulla più alta svettano i potentissimi radars degli israeliani; a cinquanta metri dal posto di blocco sventola la bandiera di David; più in là, sulla destra, sbarramenti anticarro, trincee; sulla sinistra ai piedi delle colline irrigatori automatici bagnano la buona terra del Golan. « Ci coltivano la verdura sotto il naso, seguono ogni nostra mossa», mi dice il tenentino. « Noi abbiamo solo la strada per Kuneitra e la città. Tutto il resto è in mano loro. E' come stare in camera da letto sorvegliati da un guardone». Al ministero degli Esteri mi è parso di capire che i siriani ricostruirebbero Kuneitra solo « se » e « quando » gli israeliani si decidessero, « nel quadro di un secondo accordo di disimpegno militare », a sgomberare le tre colline e a smantellare « un certo numero di kibbutzim » (si vuole quattro). La Siria si rifiuta di mettere fine allo stato dì belligeranza in conseguenza di un accordo parziale, ma sarebbe pronta ad accettare lo stabilimento di zone smilitarizzate dalle due parti della nuova linea di disimpegno e a ricostruire Kuneitra « a di¬ mostrazione della sua volontà pacifica ». In questi giorni di tensione, punteggiati da sconfinamenti e dalle voci di concentramenti di truppe sul Golan, Israele continua a ripetere la tesi della trattativa senza condizioni preliminari. Ma gli Stati Uniti han fatto sapere a Robin di non condividere la tesi israeliana della « impossibilità di toccare i kibbutzim nel quadro di un accordo provvisorio con la Siria ». Kissinger avrebbe fatto lo stesso discorso al ministro della Difesa israeliano Shimon Peres, durante la visita di quest'ultimo a Washington e, dicono a Gerusalemme, « avrebbe trovato in Peres un orecchio attento. Al pari di Dayan, infatti, Peres riterrebbe che i kibbutzim sul Golan "non sono sacri" e che l'interesse generale del Paese fa premio sui villaggi installati sul Golan dopo la guerra del '67 ». Alla fine di novembre scade il mandato dei caschi blu. In una recente intervista il presidente Assad ha detto che la questione di estendere o cessare il mandato « è irrilevante perché la presenza delle truppe dell'Orni non creerebbe alcun ostacolo se la Siria decidesse di lanciare un'altra guerra contro Israele ». L'ipotesi di una nuova guerra, ancorché di logoramento, non è da scartare ma neanche la possibilità di arrivare a un nuovo accordo « se Stati Uniti e Urss opereranno di concerto esercitando rispettivamente le dovute pressioni su Israele e sulla Siria», scrive Al Ahram. Secondo il giornale del Cairo, gli Stati Uniti si stanno sforzando di impegnare i sovietici nelle trattative di pace: l'incontro tra Gromyko e l'israeliano Allon « fu promosso da Kissinger. Successivamente Assad veniva convocato a Mosca ». La pace nel Medio Oriente corre dunque sul filo della « distensione ». Le due superpotenze potranno certamente contribuire a far progredire la pace ma, come ammoniscono a Damasco, « l'ultima parola spetta a noi ». E i siriani sono imprevedibili. Igor Man Kuneitra. La città del Golan sulla linea di cessazione del fuoco: sono rimasti 20 abitanti (Telefoto Upi)