Come funzionano i decreti scolastici A Napoli il problema è un altro: aule di Clemente Granata

Come funzionano i decreti scolastici A Napoli il problema è un altro: aule Gli organi collegiali alla verifica dell'esperienza Come funzionano i decreti scolastici A Napoli il problema è un altro: aule Il discorso sull'edilizia è preminente - Se non saranno realizzati i progetti per adeguare le strutture (locali insufficienti e malsani) all'aumentata popolazione studentesca, le nuove norme resteranno parole vuote (Dal nostro inviato speciale) Napoli, 10 novembre. Poche scuole qui si salverebbero dalla chiusura se fossero applicate integralmente le norme sanitarie. « Si potrebbero contare sulle dita di una mano », dice il prof. Pino, presidente del circolo culturale Pisacane e responsabile del settore scuola per il psi. E cita casi paradossali, come quello del vecchio e cupo casermone a sei piani di via Foria, giudicato inadatto per un ospedale, mentre non si sono sollevate obiezioni quando si è trattato di destinarlo ad ospitare una serie di istituti. Aggiunge con amarezza: « Il guaio è che le costruzioni fatte di recente sono già catapecchie ». Alla Cisl il segretario provinciale Di Spirito e la professoressa Di Finto ricordano che soltanto pochi giorni fa sono stati riaperti una decina d'importanti istituti rimasti chiusi all'inizio dell'anno perché mancava l'acqua e qui e là c'erano stati crolli. Non sono che esempi, ma possono dare un'idea della situazione scolastica nella città partenopea. Gli aggettivi a tinte forti si sprecano. «Una situazione terrificante », dice Di Spirito. « Terribile e tragica», gli fanno eco il prof. Gentile, assessore comunale comunista alla Pubblica istruzione e preside del VII liceo classico, e il prof. Battaglini, preside anch'egli e segretario del sindacato autonomo Sasmi. Gli edifici sono fatiscenti (anche se il Comune sborsa per i fitti due miliardi l'anno) e c'è una preoccupante carenza di posti-alunno. E' un male ormai incancrenito, una storia vecchia e tristissima che emerge puntuale appena si affronta il tema dei decreti delegati. E' una vicenda di finanziamenti in gran parte inutilizzati, di intralci e ritardi burocratici, uno dei tanti esempi del caos amministrativo della città. Battaglini ricorda che la legge speciale su Napoli stanziò 26 miliardi per la scuola. «Di questi — dice — soltanto dieci sono stati sbloccati e da considerarsi tali. Nel periodo dal '62 al '70 si sarebbe dovuto far fronte al fabbisogno "incrementale" di 45 mila posti-alunno, ma lungaggini, lentezze di adempimenti, carenze di programmazione e di studio degli enti locali hanno impedito che si raggiungesse una valida copertura ». Per quanto riguarda il programma comunale l'assessore Gentile, sulla base anche delle delibere approvate dalla precedente amministrazione, traccia questo quadro: 30 scuole sono in costruzione, 14 in corso d'appalto, 11 già progettate, 12 per le quali occorre una variante urbanistica, 31 in corso di progettazione e 7 in attesa dell'approvazione da parte del provveditorato alle Opere pubbliche. Bisogna tener presente, inoltre, che sono disponibili ancora una fetta di miliardi della legge speciale e altre somme previste dalla legge 412 che ha assegnato alla Regione campana 118 miliardi in tre anni. Le prospettive sono dunque buone? Gentile smorza subito le speranze: « Ammettiamo che si facciano 60-70 scuole in un triennio, ebbene non risolviamo il problema. C'è l'aumento della popolazione studentesca e non abbiamo una programmazione. Dovremmo escogitare altri meccanismi, il fatto è che ci sarebbe da rifondare tutta l'azienda comunale ». Dunque qui a Napoli, più ancora che a Roma, il discorso sull'edilizia scolastica è preminente su quello del funzionamento degli organi collegiali. Si chiede un giudizio sull'attività dei Consigli di istituto e di circolo e subito il discorso di insegnanti e amministratori scivola su quello della mancanza di strutture, che costituisce lo aspetto più critico e appariscente di una generale disgregazione dell'apparato scolastico. Ora, l'esperienza degli organismi collegiali può indubbiamente costituire per i genitori una presa di coscienza immediata dei gravi malanni della scuola e, nello stesso tempo, lo stimolo per studiare con le altre componenti del governo scolastico i possibili rimedi. Ma c'è questa presa di coscienza e gli organi collegiali si rivelano capaci di dare un effettivo contributo? I giudizi riflettono un'esperienza ancora un po' limitata perché (il dato è di Molfesi, della Cisl) le riunioni dei Consigli, lo scorso anno, sono state in media soltanto due o tre. A volte affiora l'ottimismo, anche se può apparire un po' di maniera o generico. Dice Battaglini: «Sono organismi in rodaggio, tutto dipende dalla prudenza dei piloti. Qui non ci sono stati particolari scossoni. I professori sono contro ogni strumentalizzazione, lassismo, facilismo». Secondo Gentile: «Si è lavora¬ ticsscpcmCnramzrzdssvgtpczt to bene, là dove si è saputo interpretare la spirito dei decreti». Il sindacalista Molfesi sostiene che le cose migliori si sono viste negli organismi collegiali dove c'è «una forte presenza di persone legate ai confederali». Di Spirito è molto critico. Rileva che i Consigli «si trovano a volte nell'impossibilità di funzionare per mancanza di strutture adatte» e denuncia anche la mancanza di «una collaborazione da parte delle segreterie delle scuole», riflesso «delle resistenze di certe dirigenze scolastiche». Queste ultime d'altra parte sostengono che si è trattato di atteggiamenti sporadici, e aggiungono: «La verità è che con i decreti delegati c'è maggior responsabilità e, quindi, minor spazio per presidi e insegnanti mediocri». Ma al di là di queste valutazioni e polemiche che si ascoltano anche altrove, ci sono connotati specifici che caratterizzano la città partenopea? Alcuni accennano allo «spirito clientelare» che ha animato parte dei genitori (.«sono entrati nella scuola non per migliorarla, ma per meschini tornaconti»). Ma sarebbe inesatto oltreché ingeneroso generalizzare. Secondo il prof. Pino la verità è un'altra e cioè: tanta gente era animata da buona volontà, fervidi entusiasmi, genuino desiderio di correggere e migliorare, ma da un lato si è trovata di fronte a un quadro di disgregazione le cui responsabilità risalgono indietro negli anni, dall'altro «a uno stato di precarietà che caratterizza tutta la scuola italiana» e di cui la girandola d'insegnanti all'inizio di ogni anno, i ritardi nelle nomine, le cattedre scoperte sono gli aspetti più clamorosi ed appariscenti. «Di fatto è impossibile una qualunque programmazione della didattica e si può capire come le migliori volontà siano frustrate». Il dibattito si allarga, si ascoltano critiche talora penetranti. Sono testimonianza di un fervore d'idee, di una vitalità che pare facciano da contraltare all'immobilismo, sinora registrato nel settore amministrativo. Il momento di maggior attrito tra innovatori e tradizionalisti qui è stato rappresentato più che dalla questione della pubbli¬ cità («ci sembra un po' gonfiata» si sente dire), da quella del rapporto scuola-territorio, scuola-quartiere. E' un punto importante e se ne occupano i decreti delegati all'art. 1, là dove dicono che «sono istituiti gli organi collegiali al fine di realizzare la partecipazione nella gestione della scuola dando ad essa i caratteri dì una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica». Ascoltiamo di nuovo il prof. Pino: «Spesso quando si è affrontato il tema della diversa utilizzazione delle strutture scolastiche e delle attività extrascolastiche, si sono registrati bracci di ferro ed è stata mossa la qualunquistica accusa di politicizzazione. Così il discorso di uno stretto legame tra la scuola e la realtà esterna ha urtato a volte contro muri insuperabili. Là dove c'è stata una maggior disponibilità a questo tipo di colloquio si sono avuti risultati positivi e la stessa questione dell'edilizia scolastica ha segnato punti all'attivo». Ascoltiamo il prof. Sorrentino, sindacalista TJil: «Sarebbe necessario un maggior approfondimento dell'art. 1 dei decreti delegati. Può costituire una chiave di volta per l'autentica trasformazione della scuola. Non ci si deve accontentare di averla più funzio¬ nale, bisogna volere una scuola nuova. E' necessario un salto di qualità. La scuola cioè non più avulsa dal contesto sociale. Questo salto di qualità mi sembra purtroppo ancora lontano». Eppure c'è chi nota qualche sintomo confortante. Molti ricordano il caso di Miano dov'è stato costituito l'anno scorso un distretto scolastico sperimentale con il compito di analizzare i problemi del quartiere e di svolgere attività promozionale. Un esempio dunque di «interazione» scuola-società. Ce ne parla Silvana Casella del centro servizi culturali della Regione. Clemente Granata

Persone citate: Battaglini, Di Spirito, Miano, Pisacane, Silvana Casella, Sorrentino

Luoghi citati: Napoli, Roma