I lettori discutono

I lettori discutono I lettori discutono Indulgenza per i 17 anni Al signor Gian Piero Bona, il quale trova tanto fuori luogo le espressioni di pietà nei confronti del giovane assassino di Pasolini, vorrei far notare clic, tra un einquantatreenne di genio, figura di primo piano negli ambienti più colti del nostro Paese, c un diciassettenne ignorante, che dalla nascita non ha conosciuto altro che lo squallore morale e materiale delle borgate romane, chi merita maggiore indulgenza è quest'ultimo. Che Pasolini fosse un artista di notevole statura, nessuno Io mette in dubbio, ma mi sembra altrettanto innegabile che uno, il quale, con tanto spropositato furore, si scaglia contro la società dei consumi e, allo stesso tempo, girando in Alfa G.T. 2000, alla ricerca di amori mercenari, sfrutta quello che è l'aspetto più turpe di questa società, la prostituzione, manca totalmente di serietà morale e di coerenza intellettuale. Del resto, uno che bazzica negli ambienti della prostituzione deve anche mettere in conto l'alta percentuale di probabilità di fare la fine miseranda che ha fatto Pasolini. Sheila Prato Bagnolo Piemonte (Cuneo) E' stato assassinato ma non è morto Sono i giorni (e lo saranno per molto tempo) di Pasolini, che ha raggiunto gloria ed apoteosi senza attendere il giudizio dei posteri. Noi non siamo posteri; siamo coinvolti nel suo tempo, più o meno compromessi nel Potere ed a tutto ciò che egli rinnegava perché era ipocrita e consumistico. Gli strali più feroci del Maestro sono stati per la cultura italiana, l'abiura più violenta proprio per coloro che in questi giorni si affannano a commemorarlo, a cercare titoli per essere stati qualcuno o qualcosa di lui. Pochi si salvano in questo carosello letterario-poliziesco, sicuramente Moravia, [liagi, La Valle e qualche altro. Lo studio della personalità dell'uomo (uomo era nel senso migliore, anche se « diverso ») non è facile, ma ci si dovrà pure sforzare di scavare nel profondo dei suoi scritti, delle sue opere con un'ottica diversa, cioè tenendo presente il suo dolore, la sua sensibilità, la sua reattività « diversa ». La cultura italiana ufficiale ha avuto paura. E' rimasta in superfìcie; non per nulla si continua a insistere sul dramma, sull'epigono, invece di affrontare i problemi di fondo, che sono anche di natura sessuale, e non si può parlare di personalità se si esclude la componente sessuale. Una analisi serena delle sue amare esperienze di vita non è ancora stata compiuta e minaccia di creare di questo dramma un pasticciaccio. Premessa per onorare un Maestro della sua statura è quella di comprendere il suo erotismo e l'ascetismo esistente nella sua personalità, le sue ansie di ricerca, di rinnovamento, il continuo fustigare la società attuale per ottenerne una migliore. Pasolini, fra le varie cose, aspirava alla democratizzazione del diritto di espressione, alla liberalizzazione sessuale come premessa alla trasformazione della nostra società. Molte sue opere letterarie e cinematografiche si sono ispirale a quest'ansia di rinnovamento sociale e culturale. La tolleranza (una ipocrita tolleranza, come diceva lui) ha vanificato lutti i suoi sforzi per il conseguimento di situazioni nuove che offrissero agli emarginati, ai diseredati un po' di giustizia, un po' di sole e di gioia. Resta il maestro, il poeta, che non e sfiorabile dal rumore che si e fatto sulla sua morte. E' stato assassinato, non è morto, come è stato detto giustamente. Poco conta sapere se per vendetta o in un'avventura « diversa », se l'assassino era solo o se erano in più. Sono pur sempre pettegolezzi, poca cosa di fronte alle dolorose abiure dell'artista, alle pene e alle delusioni provate in vita e in morte. « Il fatto », l'ultima abiura alla vita, continuerà ancora ad interessare per qualche tempo, poi finirà nel nulla o nel pluralismo pettegolo dei giudizi. I suoi messaggi resteranno, al di là e al di sopra di critiche e di scon¬ fessioni. Gianni Caletti Aeroporti bloccati e silenzio di tv e giornali Le cronache sindacali sono abbondanti, ma molto spesso incomprensibili e inutili. Ecco un esempio di oggi, lunedì 10 novembre. Dovevo per ragioni di lavoro, mandato dalla mia azienda, partire da Linate in aereo. Al giornale radio delle 13 di domenica m'era sembrato di sentire che c'erano difficoltà negli aeroporti. Attesi il telegiornale delle 20 e 10 seguii con molta attenzione, parlò di scioperi di statali, di vigili del fuoco ecc., spiegandone le motivazioni, non le conseguenze. Comunque, sempre in dubbio, 11 mattino dopo, molto presto, comprai i due giornali che si pubblicano a Torino: scrivevano le stesse, identiche cose dette dalla tv. Ai voli e agli aeroporti nessun accenno: se non ne parlano è segno che va tutto bene. Mi sentii tranquillo e presi il treno per Milano. A Milano, nella stazione, vidi per caso un giornale milanese. Sulla prima pagina, in grande, era scritto che tutti gli aeroporti erano bloccati per lo sciopero degli statali dell'aviazione civile. Telefonai a Linaio, ebbi la conferma e tornai indietro. Trovai miei colleglli che erano andati inutilmente a Caselle. E' vero che io e loto avremmo potuto telefonare all'aeroporto; ma, scusate, i giornali di Torino sono meno informati dei milanesi? E la tv, vista da tutti gli italiani, non ha l'obbligo di dirci tutto? Perché fare la filosofia sugli scioperi e non dire chiaro « questo sciopero provocherà queste conseguenze »? Luigi Negro, Torino Che bello lavorare 20 ore alla settimana « L'assenteismo, perché? »: ò il titolo di un articolo a pag. 5 della «Stampa» del 4-11. La risposta del redattore non mi risulta molto chiara e convincente. « Lavorare stanca »: prendo in prestito un noto titolo di Cesare Pavese. E la condanna dell'uomo peccatore da parte del Dio irato, nella fantasia biblica, contiene — significativamente — la celebre affermazione: « Ti guadagnerai il pane col sudore della fronte ». Insomma, per arrivare a dire che il lavoro in generale (le eccezioni riguardano soprattutto alcune rare attività privilegiate: autonome, variate, creative, agevoli, eccetera) non può essere « amato » come pretenderebbero certi predicatori. Bisognerebbe essere « disumani » per amare il lavoro in miniera o alla catena di montaggio. Certo, se si lavora di meno si risulta più poveri (l'afTermazione vale sia per l'individuo sia per la collettività). Ma una minore disponibilità di denaro, di merci e servizi, è un prezzo che si può anche essere disposti a pagare per avere « più vita », più libertà dal disagio, dalla fatica, dal dolore, dalla schiavitù del lavoro. Quaranta ore lavorative settimanali sono tante (e bisogna aggiungere almeno il tempo per gli spostamenti abitazione-luogo di lavoro e viceversa). Io ho già assai poco ma accetterei di avere ancora più poco pur di poter lavorare ventitrenta ore settimanali invece di quaranta. Forse mi sbaglio, mi pare che parecchia gente condivida — più o meno consciamente — questa mia posizione. Enrico Pontissa, Genova

Luoghi citati: Bagnolo Piemonte, Genova, Milano, Torino