Il silenzio di Gobetti

Il silenzio di Gobetti 1925: FINE DI "RIVOLUZIONE LIBERALE 99 Il silenzio di Gobetti 8 novembre 1925. Cinquan-1 tt'anni fa esatti. Esce l'ultimo dnumero di Rivoluzione libera- ie. La perentoria diffida del rprefetto di Torino, d'Adamo, è di due settimane prima, del 27 ottobre: si richiama agli attentati che il settimanale di Gobetti sistematicamente persegue « alle Istituzioni Monarchiche, alla Chiesa, ai Poteri dello Stato » (tutto in maiuscola nel testo del decreto stesso), evoca come capi d'imputazione che vanno dal « Buonaiuti » di Max Ascoli (il Concordato non è lontano) alla « Mafia » di Pietro Mignosi, offensivi del « prestigio nazionale ». Il piano di Mussolini, di rendere la vita impossibile all'ascetico « oppositore del fascismo », si sviluppa secondo la logica che in tutto l'anno '25 aveva registrato un inesorabile crescendo. Sequestri, invasioni della casa, ostacoli alla spedizione, attacchi orchestrati dei giornali ortodossi del regime: l'arma giuridica per la soppressione della rivista non esisteva ancora ma veniva sostituita da un'azione di sabotaggio « legale », sufficiente a disperdere ogni .capacità di lotta. Fino a quell'ottobre 1925, e nonostante i colpi clamorosi e insistenti, Gobetti aveva resistito sempre. Ancora nel penultimo numero di Rivoluzione liberale, quello del 1° novembre (da taluni studiosi considerato erroneamente l'ultimo), si lanciava un programma d'abbonamenti per il 1926, per l'anno V del settimanale: l'unica rivista « di formazione e di vita politica, di aperta opposizione », si aggiungeva, con assoluto sprezzo del pericolo. Impegnandosi ad inviare in omaggio agli abbonati, che avessero sottoscritto la quota prima del 1° dicembre, il volumetto di Piero Gobetti Matteotti, « del quale abbiamo fatto per l'occasione una nuova tiratura, 7° migliaio ». Probabilmente solo dopo la diffida prefettizia del 27 ottobre, Gobetti sentì che il suo settimanale era condannato « ad horas ». La compilazione dell'ultimo numero, quello aperto dall'articolo « Operai ed industria moderna », rappresentò solo un estremo gesto di provocazione e di sfida al regime, ormai deciso a soffocare comunque la voce delle superstiti solitarie voci della libera stampa. Scrivendo a Prezzolini in quei giorni, precisava: «Le mie previsioni sono compiute: ho avuto una diffida prefettizia che informazioni assunte mi fanno ritenere di origine presidenziale e quindi irrevocabili ». « Potrei venire a patti ma non lo farò ». ★ ★ Nel corso di quell'anno 1925 che era stato aperto dal « colpo di Stato » del 3 gennaio (il colpo di Stato anticipato nel titolo di un libro di Missiroli pubblicato nel '24 da Gobetti), tutte le speranze dello scrittore torinese erano state smentite al confronto con la realtà. I « gruppi di rivoluzione liberale », che erano sorti nei giorni dell'Aventino, interpreti della posizione più rigorosa e conseguente dell'antifascismo, al di là dello stesso Amendola, si erano dispersi o frantumati. In primavera il sogno di fondare a Torino un quotidiano di. opposizione si era dileguato; i pochi mezzi raccolti dispersi. I collegamenti con gli altri periodici o nuclei di resistenza diventavano ogni giorno più difficili, si tra sferivano in un'aura semi-clandestina. Tutto sembrava franare intorno a Gobetti, tranne il sogno di una grande casa editrice, non più soltanto italiana ma europea, destinata a diventare quello che era stata la tipografia di Capolago per il Risorgimento italiano. «E' probabile che mi decida di venire a Parigi — scriveva in quella stessa lettera a Prezzolini — per lavorarci come editore, se sarà possibile. Qui qualunque mia iniziativa anche letteraria sarebbe sabotata in odio a me ». Tanto sabotata che di 11 a poche settimane la diffida contro il direttore-responsabile Gobetti si estenderà « tout court » all'editore Gobetti. La Rivoluzione liberale non potrà più pubblicarla, come aveva fatto per quella del 27 ottobre nel penultimo fascicolo. Il compito, amaro, toccherà all'altra rivista superstite di Gobetti, Il Baretti, nel numero dell'I gennaio 1926: « In considerazione dell'attività nettamente antinazionale esplicata dal dr. Piero Gobetti, pregasi diffidar1. a verbale a cessare da qualunque attività editoriale ». E poi la descrizione burocratica, raggelante della visita dell'ufficiale di polizia giudiziaria all'abitazione dello stesso in via Fabro 6, e la notificazione della diffida all'interessato, il 25 novembre, « essendo questi in letto malato ». E le obbligate conseguenze che la rivista ne traeva, in accordo col suo fon-j datore e ispiratore ormai sulla via dell'esilio: « La vita del Ba retti è assicurata dalla nuova società anonima Le edizioni del Baretti, che continuerà la sola attività letteraria e artistica dell'editore Gobetti. A questa società il Gobetti intende rimanere estraneo ». Magia delle date. Il 25 novembre tace la voce di Gobetti; il 28 novembre il Corriere della Sera pubblica il « commiato » di Luigi Albertini. I due grandi filoni del liberalismo italiano, quello che si ricollegava alla Destra storica con una vibrazione quasi religiosa e quello che si spingeva in direzione dell'esperanza gramsciana dei Consigli di fabb.ica con l'anticipazione di una diversa e molto più complessa società italiana, erano soffocati quasi negli stessi giorni (due mesi prima La Stampa di Frassati era stata addirittura sospesa per un mese, col pretesto di un'inesistente offesa all'esercito, e in quei medesimi giorni Luigi Salvatorelli ne uscirà per tutti gli anni della dittatura). Gobetti-Albertini: un rapporto ancora da studiare. Solo poche lettere nell'epistolario albertiniano; solo frammenti o testimonianze dei pochi amici superstiti. Ma un rispetto profondo, sempre, del giovanissimo direttore di Energie nove e di Rivoluzione liberale per l'inaccessibile orgoglioso direttore del Corriere, grande interprete della resistenza al fascismo dopo la svolta del '24. Un tramite sicuro fra i due, Luigi Einaudi. Una solidarietà che era stata reciproca dopo il 28 ottobre: Albertini che protesta sul giornale contro il primo arresto di Gobetti, nel febbraio del '23 (allorché lo stesso Croce interverrà su Mussolini), e Gobetti che fin dal marzo del '23 chiede al direttore di via Solferino di preparargli un volume di articoli e discorsi intitolato tout court « Liberalismo », e ancora Albertini che si schiera per Gobetti nel settembre del '24, allorché la polemica con Delcroix esporrà il direttore di Rivoluzione liberale alle bastonature fasciste, anticipatrici e complici della morte tanto prematura. « Mi sembra di poterle mandare con la mia la gratitudine delle 200 persone che rimangono al loro posto»: scriverà Gobetti ad Albertini dopo il 28 novembre, egli che in tutto il corso del '25 aveva preso aperta e coraggiosa posizione a favore del grande quotidiano milanese, insidiato, tallonato, minacciato dal regime ormai alleato con la maggioranza del pacchetto azionario attraverso i ricatti e le intimidazioni di Farinacci. Ancora alla fine del '24 Gobetti era tornato alla carica con Albertini, la più coerente voce dell'opposizione in Senato, per pubblicare un volume magari diverso da quello immaginato nel '23, più smilzo, più essenziale, comprensivo anche solo dei quattro o cinque discorsi pronunciati da Albertini nella severa aula di Palazzo Madama, che si avviava essa pure ad un conformismo in ogni caso meno integrale dell'altro ramo del Parlamento (si pensi alla ratifica dei patti lateranensi, nel non più lontano 1929). « Troppo pochi », aveva risposto il severo direttore del Corriere, « desidero prima far qualcosa di meno frammentario sul passato ». Ma già in quell'insistenza di Gobetti verso Albertini (gli aveva proposto anche, in altra occasione, di scrivere i « ricordi del direttore del Corriere »), si avverte la nuova impostazione cui guarda questo straordinario animatore di energie, la ripresa della lotta culturale e politica all'estero attraverso una grande casa editrice, punto di riferimento insieme ideale e politico. Gobetti era troppo lucido e realista, e aveva previsto con troppa precisione e rigore gli sviluppi totalitari del fascismo dopo il delitto Matteotti, per illudersi anche solo un momento sulla possibilità di salvare una qualunque oasi di libertà nell'Italia fascistizzata. La sua polemica, aspra e talvolta perfino impietosa o ingiusta, contro l'antifascismo accomodante nasceva da un'intuizione profonda, e pessimistica, del carattere italiano. Per tutto il '25 egli continuò la Rivoluzione liberale, senza nulla correggere, senza nulla smussare, come un atto di testimonianza. Antifascismo militante, nella sfera della cultura prima ancora che in quella della politica. Rinnovamento e ricupero della dottrina liberale, al di fuori di tutti gli schemi e di tutti i tabù corrotti o perenti, attraverso uno sforzo di elaborazione critica capace di servire alla generazione di poi, a quella che avrebbe seguito il fascismo. pRpinmmpgresosvtuforaSadbe«vdrtctnqcppladn(alisi Non è senza significato che I proprio nell'ultimo numero di Rivoluzione liberale esca la prima reclame analitica, con indice già completo, del volume che poi comparirà postumo ma che resterà come suprema testimonianza di un vigore intellettuale e di una coerenza civile impareggiabili, Risorgimento senza eroi. Ecco lo sviluppo della sua antica intuizione alfieriana, e l'approfondimento dei suoi « moderati » piemontesi a cavallo fra Sette e Ottocento, e lo studio acuto e partecipe della nascita dello Stato laico nel regno sabaudo del secolo decimottavo, e la documentazione di quella « rivoluzione mancata » che invano sarà poi combattuta o demolita sul terreno della pura storiografia (laddove si trattava di intuizione etico-politica, più forte di tutte le smentite della filologia). ★ ★ Ricordo un incontro con Benedetto Croce negli Anni Cinquanta. Croce serbava un ricordo commosso di Gobetti, pure nella diversità delle impostazioni storiografiche e nella distanza sempre mantenuta dal partito d'azione, dall'innesto « liberalismo-socialismo » (di cui considerava Gobetti un anticipatore, sia pure personalissimo ed eretico rispetto alla stessa linea dei Rosselli). Ma su un punto «don Benedet- to » non ammetteva discussioni o riserve: « Egli fu un grande scopritore di talenti — mi disse —, sarebbe stato un grandissimo editore ». Con metodi assolutamente artigianali, sacrificando tutto se stesso, direttore, amministratore, spedizioniere delle varie riviste fondate e animate non meno che dei singolari e spregiudicati volumi editi nel corso di un operoso triennio, Gobetti segnò un'impronta nella vita culturale italiana, di cui ogni giorno riaffiorano le tracce (proprio in queste settimane, chi non ha ricordato che la prima edizione degli Ossi di seppia di Montale fu dell'editore Gobetti, all'alba del '25?). La morte lo colse a Parigi; il 16 febbraio del 1926, allorché progettava i piani della sua città futura. Con quel fervore di opere, con quell'ansia instancabile di azione che nascevano da una visione protestantica, solcata da una vena calvinista. « La sicurezza di essere condannati — la crudeltà inesorabile del peccato originale, volendo usare forme mìtiche di espressione — è la sola che ci possa dare l'entusiasmo dell'azione, con la responsabilità, con il disinteresse ». Quasi un Ecclesiaste laico. Giovanni Spadolini

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