Tragico Bucharin di Ferdinando Vegas

Tragico Bucharin Una biografia davvero esemplare Tragico Bucharin Stephen F. Cohen: «Bucharin e la rivoluzione bolscevica - Biografìa politica 1888-1938 », Ed. Feltrinelli, pag. 476, lire 6500. Da « prediletto di tutto il partito », secondo Lenin, a « esecrabile incrocio di una volpe e di un inaiale », secondo Vyscinskij, in un arco di tempo relativamente breve, neppure sedici anni, Nikolaj Bucharin è precipitato dall'esaltazione all'esecrazione in quello stesso gruppo dei dirigenti sovietici del quale era stato uno dei massimi esponenti. Il giudizio di Lenin si trova nella famosa «Lettera al Congresso » (il cosiddetto « Testamento ») del dicembre 1922, il medesimo documento col quale Lenin raccomandava di togliere Stalin dalla carica di segretario generale del partito perché « troppo grossolano »; nel marzo del 1938, celebrandosi il terzo dei grandi processi che sterminarono la « vecchia guardia » bolscevica, i vituperi di Vyscinkij, mero portavoce di Stalin, dimostravano a quali estremi fosse ormai giunta la grossolanità del dittatore, per non parlare della sua ferocia. Così fu mandato a morte anche colui che lo studioso americano Cohen (nato, per curiosa coincidenza, proprio nel 1938) chiama « l'antistalinista più rappresentativo nella storia del partito ». Può sorprendere simile definizione, quando si pensi a Trockij, comunemente considerato l'incarnazione stessa dell'antistalinismo; eppure, leggendo questa splendida biografia, non si può non riconoscere all'autore il merito, anzitutto, di avere definitivamente superato l'interpretazione tradizionale che considera la rivoluzione bolscevica e la storia dell'Unione Sovietica, dopo Lenin, principalmente nei termini di una rivalità fra Stalin e Trockij. Il Cohen è ben conscio del rischio che corrono tutti i biografi, di « esagerare l'importanza del proprio argomento » ed ammette che anch'egli può essere incorso in tale errore; tuttavia ritiene, almeno in base al materiale documentario accessibile (sino al 1928-29, poi è calato il sipario), di poter fondatamente sostenere la propria tesi. Ed infatti, abbandonando l'ottica deformante e comunque riferita ad un periodo posteriore della contrapposizione stalinismo -1 r o c k i s m o, appare evidente che nella concreta realtà storica, « attorno al 1925, Bucharin, ciò che egli rappresentava e i suoi alleati erano più importanti nella politica e nel pensiero sovietici di quanto non fosseroTrockij o il trockìsmo ». A quel momento Bucharin, nato a Mosca nel 1888, quindi molto più giovane di Lenin (nato nel 1870) ed anche di Stalin e di Trockij (entrambi del 1879), aveva già un suo posto eminente fra i dirigenti sovietici; vi era arrivato sia per le sue attività teoriche sia per quelle pratiche, di dirigente rivoluzionario. Giudicato da Lenin, sempre nel « Testamento », « un validissimo e importantissimo teorico del partito », Bucharin era già autore di notevoli studi in materia di economia e di sociologia, fra l'altro la Teoria del materialismo storico, del 1921, nella quale si trova l'esposizione sistematica della sua teoria sociale. E' risaputo, però, che il giudizio di Lenin prosegue dicendo che solo con grandissima perplessità le concezioni teoriche di Bucharin si possono considerare pienamente marxiste, « poiché in esse vi è qualcosa di scolastico » e, del resto, Bucharin non ha mai appreso e forse nemmeno mai compreso la dialettica. Superfluo, poi, ricordare le severe critiche di Gramsci nei Quaderni. Una riprova della fragilità teorica, per così dire, di Bucharin si ha nel suo passaggio, sul piano pratico, da una posizione a quella opposta, dall'estrema sinistra all'epoca del «comunismo di guerra» sino alla estrema destra all'epoca del «socialismo in un solo paese ». Fu in questa seconda fase che Bucharin, dissoltasi la trojka Stalin-Zinoviev-Kamenev, i tre che per primi avevano raccolto l'eredità di Lenin, viene « associato al potere » da Stalin e diventa, in un certo senso, l'ideologo del duumvirato, mentre il georgiano apportava il potere organizzativo. Il « socialismo in un solo paese », secondo Bucharin, poteva essere edificato solo «a passo di lumaca », soprattutto tenendo conto dei contadini, ed in particolare dei kulaki, che dovevano essere integrati in maniera pacifica e volontaria nel socialismo, invitandoli intanto ad arricchirsi, come disse testualmente Bucharin, novello Guizot, in un discorso dell'aprile 1925. Il Cohen segue e dipana con grande finezza d'analisi questo complesso e contraddittorio sviluppo teorico-pratico di Bucharin, immergendolo nelle lotte per il potere che si svolsero nell'Unione Sovietica durante gli Anni Venti. Egli arriva così a delineare un vero e proprio « bucharinismo », inteso come una « via al socialismo » che, schematicamente, potremmo chiamare moderata, gradualistica o, semplicemente, realistica in quel determinato momento. Ma si trattava, appunto, d'un momento transitorio, lega¬ to alla fase della ricostruzione industriale e destinato, quindi, a passare, non appena questa si fosse avviata a conclusione, come avvenne già dopo il 1926. Il corso storico doveva dimostrare che Bucharin si era spinto « a immaginare l'impossibile: l'industrializzazione senza crisi o senza oneri intollerabili: una via indolore verso la modernità ». Lo stalinismo, la via imboccata dall'Unione Sovietica, fu invece una via dolorosissima, tragica; ed è ormai vano prospettare l'ipotesi che esso non fosse « l'esito logico e ineluttabile della rivoluzione boi scevica » e che, in suo luogo, potesse darsi un altro esito, il bucharinismo. L'improponibilità oggettiva d'un bucharinismo non toglie, tuttavia, che la vicenda soggettiva, umana, di Nikolaj Bucharin, quale la fa rivivere con pietas non disgiunta da robusto senso critico il Cohen, meriti di essere conosciuta in tutta la sua tragica dimensione. Ferdinando Vegas

Luoghi citati: Mosca, Unione Sovietica