Lawrence: teatro da non recitare

Lawrence: teatro da non recitare Lawrence: teatro da non recitare D. H. Lawrence: « Teatro e prose varie », a cura dì Piero Nardi, Ed. Mondadori, pag. LVI-1014, lire 15 mila. Quando nel 1965 il Royal Court Theatre cominciò a proporre il teatro di David Herbert Lawrence, solo gli specialisti sapevano degli otto drammi e commedie che lo scrittore aveva composto in diversi momenti della sua raminga esistenza. Eppure erano stati tutti pubblicati, tre ancora vivente l'autore, e alcuni erano stati anche rappresentati, ma dizionari, manuali e persino studi critici nemmeno ne facevano menzione. Le recite londinesi, con altre sporadiche a Edimburgo e in diverse città, richiamarono l'attenzione su tre o quattro lavori drammatici di Lawrence ma l'interesse che suscitarono, rivolto più alla figura dell'artista che alle qualità del suo teatro, fu effimero; in pochi anni esso si affievolì e gli otto drammi ricaddero nell'indifferenza se non nell'oblio. ■ Con due frammenti postumi, questi testi si possono ora leggere nelle agili traduzioni italiane di Stefano RossoMazzinghi e Maria Stella Labroca nell'undicesimo e conclusivo volume delle opere di Lawrence a cura di Piero Nardi, ultima fatica di questo infaticabile studioso e appassionato biografo dello scrittore inglese, per tacere naturalmente dei suoi lavori sulla Scapigliatura e il Novecen¬ to italiano e delle sue « Vite » di Fogazzaro. Boito e Giacosa: una nota dell'editore avverte infatti che « il 9 giugno 1974, quando si spegneva, Piero Nardi aveva da poco rivisto le bozze dell'Introduzione ». In questa introduzione, il Nardi ripercorre cronologicamente l'itinerario di Lawrence scrittore di teatro senza distinguere le opere postume dalle poche pubblicate da lui medesimo. E giustamente, non solo perché in tal modo il lettore può farsi un'idea chiara dello sviluppo di una vocazione teatrale durata tutta una vita, ma anche perché le rappresentazioni di questi drammi furono cosi scarse e di così scarsa risonanza da escludere una storia di Lawrence uomo di teatro. Anche se egli si diceva persuaso che « come in Russia si trovò un pubblico per Cecov, così si potrebbe trovare in Inghilterra un pubblico che ascolti lavori miei, purché ci sia un uomo di polso che li imponga », quel pubblico e quell'uomo non li trovò mai e difficilmente si potrebbe trovarli oggi. Le ragioni di uno scacco che ha l'aria di essere irreparabile non stanno tanto nel naturalismo di queste commedie, che gli spettacoli del Royal Court inscenati dal regista Peter Gill con manìacale minuzia fotografica non facevano che esasperare (un naturalismo che se oggi non è di moda, pure lo è stato e potrebbe benissimo tornare ad esserlo), quanto nella scarsa consistenza e nel progressivo allentamento dì un tessuto drammatico del quale proprio il richiamo a Cecov, a « un teatro dove non succede mai nulla » (e non è vero), rivela nel confronto l'intrinseca debolezza. Il Lawrence metteva le mani avanti asserendo di non poterne più del « genere di dramma schematico e smidollato che ci servono oggigiorno », dove il bersaglio erano Shaw e Galsworthy e anche, in odio al principio dì autorità, Ibsen e Strindberg, ma resta il fatto che questi testi riacquistano vivezza e importanza non appena lì si consideri al di fuori di possibili, o già avvenute, realizzazioni sceniche: scritti come sono in una lingua vicina al dialetto, o addirittura in dialetto, si offrono alla lettura come godìbili squarci di vita quotidiana, psicologicamente penetranti e ricchi dì humour nella descrizione di ambienti e personaggi di Eastwood, il villaggio minerario dei Midlans dove l'autore nacque e trascorse la giovinezza. Sono infatti largamente autobiografiche queste commedie e così trasparentemente da costituire documenti anche più preziosi dei romanzi, dei quali (come dello Schizzo autobiografico che si legge in questo stesso volume tra le « Prose varie ») sembrano a volte fedeli sceneggiature: Venerdì sera di un minatore anticipa l'ottavo capitolo di Figli e amanti, in Come diventava vedova la signora Holroyd la realtà domestica dei primi anni dell'autore riemerge nella giustizia resa alla figura paterna, non più sacrificata all'assorbente predilezione per la madre. In questo ambito si muovono, in un vago presentimento del populismo di un Wesker, La nuora e, con piglio invece quasi farsesco, La giostra e L'ammogliato, mentre Contesa per Barbara drammatizza, non senza venature strindberghìane, gli inìzi della convivenza di Lawrence con la futura moglie. A parte, e per diversi motivi, stanno Davide, prolisso e liricheggiante dramma biblico, singolare perché sostiene le ragioni di Saul — Lawrence, si sa: era per il leone contro l'agnello — e Pericoloso toccare, a proposito del quale l'autore si vantava di aver aggiunto alle trentadue situazioni tragiche possibili secondo Goethe la « situazione dello sciopero ». Ma non si creda a una particolare sollecitudine per la classe lavoratrice dalla quale Lawrence proveniva: nel conflitto tra capitale e lavoro, qui posto direttamente in scena, egli non prende posizione ma si limita a vagheggiare una sorta di conciliazione fra i contendenti in nome dell'umanità che dovrebbe albergare in ciascuno di essi. Più interessanti se mai sono qui gli espliciti accenni al problema dei rapporti omosessuali che in quegli stessi anni il romanziere andava intrecciando fra i personaggi di Donne innamorate. Alberto Blandi

Luoghi citati: Edimburgo, Inghilterra, Russia