Monito Usa: la Siria non deve intervenire nella crisi libanese di Vittorio Zucconi

Monito Usa: la Siria non deve intervenire nella crisi libanese Un invito molto esplicito rivolto a Damasco tramite Mosca Monito Usa: la Siria non deve intervenire nella crisi libanese (Dal nostro corrispondente) Washington, 1 novembre. Sulla spinta del costante aggravamento della situazione in Libano, e delle inquietanti prospettive che esso apre, Washington ha compiuto un passo diplomatico di estrema importanza: gli Usa hanno invitato la Siria ad astenersi da intervenire o immischiarsi nella crisi libanese, nella convinzione elle un intervento siriano provocherebbe la più aspra risposta — «ti analogo intervento — da parte israeliana, e dunque un nuovo conflitto in Medio Oriente. L'avvertimento è stato indirizzato dalla Casa Bianca non direttamente a Damasco ma ai sovietici, e questo non soltanto perché l'Urss è la potenza che arma la Siria, ma per ragioni ben più rilevanti: da qui si vuol far capire a Mosca che è interesse di tutti, grandi potenze in prima fila, evitare che la crisi libanese provochi un'escalation mediorientale, secondo una meccanica purtroppo ben collaudata ormai e capace di trascinare gli stessi « super grandi » sulla soglia di gravi decisioni. L'invito americano, descritto come « molto esplicito », giunge proprio contemporaneo alle notizie che 5000 guerriglieri dell'esercito di liberazione palestinese (Pia), che ha le sue basi in Siria, sarebbero entrati nel Libano per aiutare i fratelli musulmani nella loro lotta contro la Falange cristiana di estrema destra. Il Pia è una solida organizzazione militare, forte di circa 7000 uomini, e di armi pesanti fornite interamente dalla Siria. E' convinzione degli specialisti americani, sicuramente confermata da Tel Aviv, che gli israeliani non permetteranno mai che il Libano, che ha con Israele una lunga e indifendibile frontiera a Nord, accanto al Golan, divenga in alcuna forma una dependance siriana, mettendo lo Stato ebraico in una situazione strategica insostenibile. Nessuno dubita qui che Israele sia pronto ad estremi rimedi, dunque anche alla guerra, per evitare l'aggiramento siriano, donde la ne¬ cessità di mettere in guardia Damasco attraverso i russi. Tutto questo accade mentre il presidente egiziano Sadat è negli Stati Uniti e la politica kissingeriana di pacificazione appariva vicina allo zenith. Ancora una volta il Medio Oriente ci mette di fronte a quel parallelismo di elementi opposti, di speranza e di paura, di fattori di stabilità e di incertezza, che fanno apparire pace e guerra egualmente a portata di mano. Proprio oggi si era appreso che Egitto e Stati Uniti sono prossimi ad un accordo nucleare pacifico, imperniato sulla vendita di due reattori atomici al Cairo per il valore di oltre 700 miliardi di lire. La conclusione di questo accordo sarà probabilmente annunciata mercoledì prossimo, giorno in cui è previsto i il discorso di Sadat alle Camere americane riunite, e rappresenterà il maggiore risultato concreto di una visita che ha visto solo l'inizio della discussione sulla vendita di armi Usa all'Egitto. Naturalmente, Washington ha già fatto sapere che identica offerta per reattori nucleari sarà fatta ad Israele quando il primo ministro Robin verrà a Washington, forse in gennaio. Esistono in America fortissime perplessità sulla fornitura di materiale atomico ai Paesi del Medio Oriente, sia pure a scopi pacifici, opposizione alla quale Kissinger replica in due modi: primo, affermando che adeguate garanzie e controlli verranno istituiti affinché il combustibile nucleare, la tecnologia e i reattori venduti siano mantenuti sul terreno della produzione di energia elettrica; secondo, ricordando che comunque la tecnologia nucleare farà il suo ingresso nel Medio Oriente ed è interesse americano che siano gli Usa, piuttosto che i sovietici, a fornirla. Esiste poi una scuola di pensiero, sia al dipartimento di Stato che in circoli di specialisti di politica estera non governativi, secondo la quale l'ipotesi di un equilibrio atomico in Medio Oriente non sarebbe da scartare, riproducendo su scala ridotta quello « stallo del terrore » che ha impedito la terza guerra mondiale e creato le basi della distensione. In ogni caso, aggiungono costoro, la proliferazione delle armi atomiche è nei fatti e pressoché inarrestabile: tanto varrebbe dunque « guidar¬ la » e piegarla a fini politici utili. Teoria che ci pare sicuramente affascinante, ma egualmente inquietante, in presenza di troppe componenti irrazionali nello scacchiere mediorientale, di una base di disperazione e dì frustrazione che certamente mancava nella guerra fredda russo-americana. Vittorio Zucconi

Persone citate: Golan, Kissinger, Sadat