Il pericolo di un conflitto grava sulla "marcia verde,, in Sahara di Francesco Rosso

Il pericolo di un conflitto grava sulla "marcia verde,, in Sahara Per l'Algeria, la decisione del Marocco costituisce un "casus belli,, Il pericolo di un conflitto grava sulla "marcia verde,, in Sahara (Dal nostro invialo speciale) Marrakech, 31 ottobre. L'aereo militare che ci trasporta compie lente manovre avvolgenti, plana quasi come un aliante per consentire a fotografi, cineprese, telecamere di fissare le immagini con la maggior nitidezza possibile. Lo spettacolo è innegabilmente suggestivo: la perfetta geometria bianca e nera delle 22 mila tende che il genio militare marocchino ha drizzato alla periferia di Tarfaya, nel giallo delirante del deserto, dinanzi alla sterminata vastità azzurra dell'Atlantico. Da tre giorni il caldo vento del Sahara soffia implacabile portando sabbia e arroventando l'aria e nella luce opaca che grava sull'improvvisata città di tende, i 350 mila marciatori trascorrono le ore in attesa dell'ordine di varcare l'ormai vicinissimo confine con il Sahara spagnolo. L'entusiasmo, il nazionalismo, il folklore, le musiche, i canti, i balli, quel pizzico di piacevole anarchia ar?ba, sono l'aspetto più teatrale di questo avvenimento che può essere avvicinato solo all'esodo biblico degli ebrei dall'Egitto, ma sono dettagli che non devono trarre in inganno. Marcia pacifica, d'accordo, però con efficientissima attuazione paramilitare. I marciatori dormono quieti al riparo delle tende come deve fare un esercito bene organizzato, e ogni tenda vive come una cellula autonoma nel grande campo, gli occupanti sono divisi in plotoncini al comando di un capotenda che li sorveglia con rigore. I marciatori definiti volontari sono riuniti in gruppi omogenei, in modo che tutti si conoscano tra di loro per evitare infiltrazioni di sahariani traditori del Fronte polisario (sarà opportuno tenere a mente questa sigla, potrebbe diventare presto familiare come i vari Olp o Fin che ormai guerreggiano un po' ovunque). Bisogna stare all'erta contro i disfattisti, dicono a Marrakech, e l'allusione all'Algeria è sempre esplicita. II discorso sulla perfetta organizzazione della marcia (approvvigionamenti idrici e alimentari fatti anche con lanci da aerei ed elicotteri, ad esempio) ha una sua motivazione. Infatti, alcuni osservatori affermano che re Hassan, con questa marcia, ha in realtà fat- to le grandi manovre per una eventuale mobilitazione militare, la disciplina con cui i marciatori si muovono fa pensare che tra le moltitudini di volontari ci siano anche non pochi militari ben addestrati. Però non hanno armi, e questo è vero; nessuno, finora, può dire di aver veduto anche solo una pistola; però l'organizzazione esiste e le lacune si possono colmare abbastanza facilmente. Accusare tuttavia il Marocco di nascoste intenzioni bellicose non sarebbe possibile, anche se avrebbe mille e una ragione per stare in guardia. 11 ministro degli Interni algerino, in missione a Madrid con il suo collega degli Esteri, ha dichiarato che l'eventuale invasione marocchina del Sahara spagnolo sarebbe considerata dallAlgeria casus belli, come si diceva una volta, quando le guerre ancora si dichiaravano. E siccome il Marocco, a quanto appare dagli avvenimenti fin qui registrati, sembra ostinatamente determinato a occupare il Sahara spagnolo con la sua « marcia verde », scoppierà per questo una guerra marocco-algerina? Alcuni os¬ servatori sostengono che la guer- ra non si farà, non perché man- chi la volontà di farla, ma per molte altre ragioni. Una ad esempio: numerosi Paesi arabi, tranne poche eccezioni, hanno inviato ufficialmente loro manipoli di volontari a questa mar- eia di conquista pacifica; gli algerini sparerebbero anche su sauditi, libanesi, tunisini, suda- nesi, kuwaitiani, giordani, tanto per fare qualche citazione? Inoltre, sostengono i pacifisti, sia il Marocco che l'Algeria non sono armati al punto da potersi avventurare in una guerra. Altri sostengono il contrario, il pericolo di una guerra è nella natura degli avvenimenti stessi e nel modo con cui è stata condotta da parte di tutti la faccenda sahariana. La Corte internazionale di giustizia dell'Aia, per esempio, ha dichiarato che storicamente, etnicamente, geograficamente, il Sahara è parte integrante del Marocco, però ha poi aggiunto che i sahariani hanno diritto all'autodeterminazione, esprimendo un parerp politico che non le competeva. E così, con una leggerezza, ha dato modo all'Algeria di tornare sul suo progetto e di ottenere qualche soddisfazione. Infatti, mentre il ministro degli Esteri marocchino abbandonava bruscamente Madrid, troncando il dialogo con la Spagna, che sembrava ormai avviato a conclusioni favorevoli, è stato sostituito nelle conversazioni dai ministri algerini che devono essere stati piuttosto persuasivi se Madrid ha improvvisamente ricominciato a parlare di autodetreminazione per i 60 mila sahariani. Il solo fatto tangibile, innegabile, che sta sotto i nostri sguardi meravigliati sono i 350 mila legionari verdi, armati solo del Corano, che attendono con paziente certezza l'ordine di varcare il confine fittizio e riprendersi quella fetta di Sahara che nei secoli è sempre stata feudo dei sultani marocchini. Ma quando gli diranno di scattare per abbattere le simboliche barriere doganali? Sulla data regna ancora molta incertezza. Il monarca marocchino ha detto che la « marcia verde » varcherà il confine tra il 4 e il 6 novembre; alcuni propendono per il 6 novembre, altri pensano che l'ordine sarà ulteriormente ritardato e già condannano le decisioni del sovrano perché continuando a rinviare la situazione incomincerebbe a marcire. Il 6 novembre dovrebbe riunirsi la Assemblea generale delle Nazioni Unite proprio per discutere il caso del Sahara spagnolo; se facesse partire le sue truppe disarmate, il re marocchino metterebbe il grande consesso internazionale dinanzi al fatto compiuto, e forse nessuno reagirebbe troppo energicamente, al solito tutto finirebbe con proteste platoniche. Invece, attendendo le decisioni dell'assemblea, se gli fossero contrarie e fosse accolta la tesi algerina dell'autodeterminazione, che farebbe Hassan li, oserebbe schierarsi contro tutto il mondo andando comunque alla conquista del Sahara spagnolo? Il gioco è complesso, fosfati c posizioni strategiche coi porti sull'Atlantico svolgono qui il ruolo che il petrolio svolge altrove. Può darsi che non ci sia una guerra dichiarala, ma non si può escludere che si scateni una guerriglia composita, non meno sanguinosa di quella che dilania l'Angola per il possesso di Cabinda, pingue di petrolio e di altri minerali preziosi. Può essere stata una minaccia di questo genere ad impaurire la Spagna e indurla ad esitare se non a scegliere come partner l'Algeria anziché il Marocco? L'ipotesi non è da escludere anche perché solo l'Algeria, attraverso il Polisario, potrebbe creare nel Sahara spinose difficoltà. Secondo notizie filtrate attraverso la frontiera, una zona non ben definita del Sahara sarebbe già controllata dal filo-algerino Polisario, il quale, oltre che bene armato e organizzato militarmente, è anche strutturato politicamente, al punto che un suo rappresentante già si trova a New York con l'intenzione di farsi sentire all'Onu come portavoce dei sahariani e chiedere a loro nome la costituzione di uno Stato indipendente del Sahara. Intanto negli accampamenti di Tarfaya, nonostante il caldo rovente e il sabbioso alito del deserto che soffia implacabile, i marocchini si preparano al balzo in avanti. Da Tarfaya ad El Aiun la distanza è ormai minima, poco più di cento chilometri, però tutti nel deserto e questa volta la stragrande maggioranza dovrà percorrerli a piedi; lungo le piste disagevoli e sabbiose non possono transitare molti automezzi, e solo un'esigua parte dei marciatori arriverà nella capitale del Sahara occidentale a bordo di camion. Gli altri andranno a piedi, seguendo l'antica vocazione degli uomini del deserto, degli irrequieti uomini blu. La « marcia verde », probabilmente, farà stingere anche il blu di quest'ultimo aspetto del folklore sahariano; invece delle danze, o del continuo errare da un'oasi all'altra verso i porti e il contrabbando sull'Atlantico, gli uomini smetteranno la gellaba blu, indosseranno la tuta, calcheranno in testa l'elmo giallo al posto del turbante e diventeranno operai delle miniere di fosfati sahariani. Sempre che l'Algeria, e per essa il Polisario, non mandi tutto all'aria avviando una lunga, sanguinosa guerriglia se non proprio scatenando una guerra in campo avverso. Francesco Rosso Marrakech. Una donna in partenza per la grande marcia saluta il suo bimbo (Ap)