Le "inchieste segrete" sulle morti in carcere di Liliana Madeo

Le "inchieste segrete" sulle morti in carcere Anche l'omertà ostacola le indagini Le "inchieste segrete" sulle morti in carcere Roma, 31 ottobre. «Sono decine, ogni anno, le morti violente che avvengono nelle carceri italiane», ammette un funzionario del ministero di Grazia e Giustizia, direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena. «Qualche volta si trovano i responsabili — egli prosegue — Più spesso l'inchiesta non approda a niente e il caso resta oscuro nella sua meccanica, avviluppato in una rete particolare di omertà creata dagli altri detenuti». Tutti ricordano Gaspare Pisciotta, luogotenente di Salvatore Giuliano, avvelenato con un caffè nel carcere dellUcciardone. E' di qualche mese fa l'esecuzione di quel Giuseppe Raso, ucciso a colpi di pistola in una cella delle prigioni di Reggio Calabria. Esistono cifre precise, altri nomi, casi indicativi delle condizioni nelle quali maturano vicende simili a queste? Il funzionario diventa evasivo: «Le inchieste sono segrete. Per parlarne occorre un'autorizzazione del ministro». Teme che si alimenti il discredito sulle istituzioni dello Stato. Aggiunge: «Ogni pretesto, nelle carceri, è buono perché scoppino episodi di violenza dalle conseguenze mortali». Ammette che esistono «responsabilità» ambientali: gli edifici fatiscenti ad esempio, il sovraffollamento, la promiscuità che fa convivere giovani deviati con carcerati che scontano lunghe pene, la deficienza di strutture igienico- sanitarie, l'organizzazione spersonalizzante, la noia, la mancanza di strumenti riabilitativi. Ma non va oltre nell'elenco delle cause oggettive della violenza che periodicamente esplode nelle prigioni. Dice: «In questi episodi si esprime l'atteggiamento delinquenziale di individui che la società ha già individuato e punito». E' un modo restrittivo di valutare i rapporti di vita all'interno delle prigioni, le tensioni che il sistema carcerario crea, le forme di aggressività che contrappongono gli uni agli altri, le rivalse, la ricerca dei piccoli privilegi per cui uno «diventa una spia, fa del male ai suoi compagni, si prostituisce, col risultato che mette in condizione il maresciallo di vivere più tranquillamente... Contribuisce alla segregazione degli altri carcerati, gli impedisce di diventare un gruppo omogeneo, e li mette in lite l'uno con l'altro», come il professor Mario Giacchiero, insegnante alla casa penale di Alessandria, disse a Ricci e Salierno, autori de «Il carcere in Italia». Dice un'assistente sociale del carcere di Regina Coeli: «C'è una violenza che l'istituzione determina, con le botte, i letti di contenzione, la minaccia dei trasferimenti, le squadre di picchiatori, l'annientamento dell'individualità, gli obblighi alienanti, la sistematica umiliazione dell'uomo... Ma c'è poi un'altra violenza, quella che il mondo esterno fa giungere nell'universo particolare esistente dietro le sbarre. E' la più inquietante, perché risponde a disegni difficilmente prevedibili e classificabili. Fa perno sui risentimenti che serpeggiano fra la popolazione carceraria. Passa attraverso le inefficienze del sistema (ecco le armi, le munizioni, gli esplosivi, le radio ricetrasmittenti che entrano con facilità negli istituti di custodia; ecco i casi di Alessandria, San Gimignano, Viterbo... con tutte le vittime che ci sono state)». Incalza: «Prendiamo il boss che beve champagne in cella e lo concede ai suoi fidi, le cosche rivali che si affrontano da braccio a braccio dello stesso penitenziario, secondo le regole classiche della malavita, il delitto di stampo mafioso che viene commesso a dispetto delle "misure preventive debitamente prese". Sono tutti fatti che non contraddicono la logica dell'organizzazione carceraria, tanto è vero che succedevano ieri e si ripetono oggi nel pieno rispetto di un copione già scritto. L'allarme nasce dal numero di questi episodi che si dilata, e dall'impreparazione ad affrontarli che la struttura carceraria ogni volta rivela. Perché, ogni volta che un'operazione delittuosa di questo tipo ha successo, sono le istituzioni democratiche che vengono sconfitte. Mentre la minaccia dell'eversione si consolida». Liliana Madeo

Persone citate: Gaspare Pisciotta, Giuseppe Raso, Mario Giacchiero, Salierno, Salvatore Giuliano

Luoghi citati: Alessandria, Italia, Reggio Calabria, Roma, San Gimignano, Viterbo