Com'è la Spagna in divisa di Mimmo Candito

Com'è la Spagna in divisa DOVE IL FUTURO DIPENDE DALL'ESERCITO Com'è la Spagna in divisa Oggi il Paese riconosce che la fonte del potere è nei militari, ma si è chiuso il lungo periodo in cui la loro caratteristica era una passività conservatrice - Accanto ai ricchi generali, fedelissimi a Franco, c'è una maggioranza di ufficiali disponibile a una monarchia costituzionale - E c'è la schiera degli aderenti dell'Umd che credono in una democrazia pluralistica (Dal nostro inviato speciale) Madrid, 19 ottobre. Nell'inverno improvviso di Madrid, i soldati trascinano cappotti di panno contadino. Le loro divise, goffe, ruvide, lì fanno ancora fantaccini del '36, tra le nevi del Guadarrama e le piogge di Burgos; ma la Cruzada è finita da 40 anni, e i ricordi del regime che ne è nato sono tutti nel mausoleo freddo del Valle de los Caidos. La realtà d'oggi, insoddisfatta di Quelle memorie, non accetta di vestire la roba del passato; molto probabilmente non farà la rivoluzione, ma vuole la fine dell'immobilismo. « Siamo già all'ora del cambio. E' qualcosa che si sente nell'aria. La coscienza di questa situazione non è affatto esclusiva della opposizione democratica », sta scritto nel numero 13 di Misión, il bollettino clandestino dei militari. Un generale II rumore degli stivali, ora lo sentono tutti. Un vecchio generale grida dalla tribuna delle Cortes: « La guerra civile non è finita ». Gonzalez Del Yerro, comandante del- I la scuola di stato maggiore, fa sapere: « Il Portogallo è un'altra cosa; in Spagna i garofani crescono sulle strade, non nei fucili ». Il capitano José Ignacìo Domìnguez, ordine di cattura per sedizione e cospirazione, tìe- ne una conferenza stampa a Parigi e dice: « L'esercito è pronto a schierarsi accanto al popolo, per abbattere la dittatura ». Arbitri del destino politico della Spagna franchista sono ormai ì militari; ma quali militari: i ruderi del Tercio, i tecnocrati di Diez Alegria o le avanguardie della Union Militar Democràtica? La vecchiaia proterva di Franco ha distrutto alla fine anche la mitica unità del¬ l'esercito, e i fantasmi della violenza dominano adesso i progetti di questa fin de règne. Sono 220 mila uomini-, 15.700 ufficiali, meno di 150 generali. La Ley Organica gli fa obbligo di « garantire l'u- nità e l'indipendenza della patria, l'integrità, dei suoi territori, la sicurezza della nazione e la difesa dell'ordine istituzionale ». Fino al luglio di un anno fa, quando Franco dovette cedere per breve tempo il potere a Juan Carlos, tutti sapevano cosa volesse dire « difesa dell'ordine istituzionale ». Oggi c'è solo una grande paura, e l'enigma di un « ordine » da creare prima che da. difendere. Allora la tromboflebite del Caudillo era sembrata un regalo della Provvidenza: consentiva il passaggio indolore del carisma di regime, assecondava i disegni aperturistici di Navarro, prometteva l'instaurazione di un governo impegnato ad avviare un nuovo processo politico e, forse un tempo, ci sarebbe stato spazio anche per il partito comunista. Il Paese era in ordine, l'opposizione divisa e impreparata, l'esercito ancora compatto e benevolo verso /'Infante educato nelle tre accademie militari. Ora, invece, in una Spagna logorata dalla troppo lunga attesa del dopo Franco, il Paese è traumatizzato dall'esplosione della violenza, le opposizioni (ancorché divise) si mostrano preparate e pronte a gestire il cambio, l'esercito è un fronte frantumato sulla cai interpretazione dell'ordine istituzionale non v'è chi possa dare notizie sicure. Fedele custode Dall'esilio, anche don Juan entra nel gioco delle probabilità e invia un messaggio in cui riconosce nelle forze armate « il fedele custode di una legalità fermamente radicata nel consenso della volontà nazionale espressa con indipendenza di giudizio ». E' un programma di governo, con due affermazioni dì rilievo: la necessità dell'apertura democratica e il ruolo decisivo dei militari. Il futuro della Spagna ha certamente l'uniforme. Almeno nel senso che nessun progetto politico sarà possibile se i militari non lo accettano: oggi il Paese riconosce che la fonte del potere è nell'esercito, ma si mostra consapevole che si è chiuso il lungo periodo in cui una passività conservatrice era la caratteristica unificante del ruolo delle forze armate, pilastro del regime e sua immagine tradizionale di continuità. Il primo segno di un malessere ancora indistinto fu, alcuni anni fa. il libro del capitano Julio Busquets Bragulat: « El militar de carrera ». Catalano, studioso di scienze politiche, ricercatore in sociologia, Busquets rappresenta la nuova classe di giovani ufficiali, laureati, professionali molto critici con l'anemia del franchismo; nel libro fa una analisi clel la condizione militare nella società spagnola in trasformazione, denunciando il progressivo deterioramento del prestigio delle forze armate e l'impoverimento del ruolo poliziesco nel quale finisce per chiuderle il regime, assegnando compiti meramente repressivi. L'opera, al centro di grosse polemiche, potè essere pubblicata solo per l'imprimatur che le concesse il generale Diez Ategria, allora capo di stato maggiore ed esponente dell'ala moderata dell'esercito. Non era ancora la contestazione, soltanto la testimonianza di una rottura. L'esercito spagnolo è povero di mezzi e di attrezzature, rifornito dalle eccedenze militari americane, inadeguato tecnologicamente a svolgere compiti diversi da quelli repressivi. La sua or- I gunizzazìone è dominata dai privilegi e dalla corruzione \ di regime: gli stipendi sono j bassi, quasi tutti gli ufficiali passano il mattino in ca- j senna e il pomeriggio in una scuola, o in un ufficio di consulenza industriale, per integrare il « soldo ». Immagine che più lo identifica è la piramide, ma una piramide con una piccolissima punta di vecchi generali ricchi e una grand; base di ufficiali inferiori. C'è dunque una prima inquietudine, quella professionale, dei tecnocrati, che vogliono un rinnovamento di mentalità e di servìzi; sul piano politico, sembrano disponibili per un passaggio ordinato dei poteri a una monarchia costituzionale, non oltre don Juan; sono moderati, e costituiscono certamente la maggioranza degli ufficiali. Ai loro lati le altre due fazioni: quella dei ricchi generali, fedelissimi a Franco, contrari fideisticamente a ogni cambiamento, legati al regime da gloria e privilegi; e quella dei giovani aderenti o simpatizzanti dell'Union Militar Democràtica, da 300 a mille uomini che credono nella democrazia pluralista e vogliono un esercito che, pur senza fare politica attiva, si esprima nella partecipazione alla nascita della nuova Spagna; certamente senza Juan Carlos. Sono, questi ultimi, l'espressione più radicale del processo di rinnovamento dell'esercito, ancora incerti a un confronto reale con l'Mfa portoghese, ma già colpiti dalle accuse dì sedizione e cospirazione. Il regime non può contare su di madnrdndgdsmfvloro, le opposizioni dande- siine ne seguono con molto \ cinteresse il dibattito interno I ee sperano di costituire un centro operativo di collegamento per quando sarà giunta (d'ultima ora» della dittatura; il progetto è di riuscire a influenzare la grande massa degli ufficiali moderati, in modo che sia impossibile qualsiasi tentativo di usare ì militari a difesa del regime: per esempio, sparando contro gli operai nel caso dì un grande e decisivo sciopero generale. Alcuni risultati sono già stati ottenuti, e l'inquietudine professionale ha assunto un inequivocabile valore politico. Il 27 settembre gli ufficiali si sono rifiutati di costituire i picchetti armati che dovevano fucilare i cinque condannati a morte: la giustificazione fu formalmente tecnica, ma a tutti è parso chiaro il suo signifi- d caio. L'11 ottobre la magistratura militare ha negato la competenza in una istruttoria contro 11 prigionieri baschi: è il nuovo rifiuto al coinvolgimento nell'agonia sanguinosa del regime. E Franco ha cercato subito di provvedervi. Nel Consiglio dei ministri dell'altro venerdì ha ordinato alcuni mutamenti « politici » negli alti vertici militari, tentando di rafforzare le posizioni dei generali più reazionari. Ha spostato Merry Gordon a Siviglia, Alvarez Arenas Pacheco — appena reduce da manovre di controguerriglia urbana — a Madrid e, soprattutto, ha posto Angel Campano al comando della Guardia Cìvil. I pretoriani II programma va anche al di là d'un arroccamento degli ultras, per costituire un fronte compatto che faccia da secondo baluardo alle divisioni interne dell'esercito: con la scelta di Campano, e con l'annuncio d'una do tazione di armi nuove e più potenti per i suoi uomini, il regime conta di fare dei 65 mila militari della Guardia Cìvil — certamente non turbati da inquietudini sovversive — i pretoriani dell'ordine costituito. Dall'esilio, il capitano José Ignacìo Dominguez ha scritto ai suoi compagni in divisa; « Il regime che ha già aperto un carcere speciale per sacerdoti dovrà aprire ora una fortezza speciale per i militari autenticamente patrioti». Le prigioni non mancano, nella Spagna franchista, ma c'è soprattutto la paura d'un ritorno al passato, Tenfrentamiento dei furori della guerra civile. Le vecchie uniformi che i soldati trascinano nel freddo improvviso di Madrid. Mimmo Candito