Espulsione del cieco Istituti anacronistici

Espulsione del cieco Istituti anacronistici Ora la vicenda è al vaglio del Provveditore Espulsione del cieco Istituti anacronistici Sarà valutata dal provveditore la vicenda del diciassettenne «espulso» dall'Istituto ciechi « perché si era espresso a favore del nuovo corso per centralinisti, aperto ai non vedenti, istituito dal Comune ». Un csposto è stato inoltrato dal ragazzo. Una smentita è stata inviata dalla direzione dell'ente. Opposte — com'è ovvio — le versioni. Drammatica e risentita quella della «vittima»: « Senza ragione alcuna, mi hanno cacciato fuori ». Tranquilla e « pacificatrice » quella della direzione: « Non ci sono state ingiustizie ». Qualunque sia la verità, l'episodio è sintomo di un profondo disagio. Da tempo, le istituzioni « chiuse » — comunque « rieducative » — sono sotto accusa. A parte gli episodi di autoritarismo (e di repressione) che possono verificarsi in una struttura verticistica, dove ordine e disciplina son giudicati « valori » prioritari, è il concetto stesso di « istituto » ad essere contestato. Perché — è ormai opinione condivisa da gran parte degli studiosi — l'aspetto custodialistico e le buone intenzioni « protettive » che caratterizzano la nascita dei mille enti per « handicappati » si trasformano quasi inevitabilmente in raffinate (ma,più sovente,sfacciate) forme di segregazione. « Troppo spesso gli istituti, così come sono stati concepiti finora, diventano fabbriche di emarginazione. Quasi che la società dovesse difendersi, o comunque dimenticare recludendo, un problema di non facile soluzione », dice il presidente della Unione ciechi, Enzo Tomatis. E cita, a sostegno della tesi, episodi che fanno pensare: « Conosco gente che ha coltivato a tal punto la coscienza del "diverso" da non saper più affrontare serenamente la realtà. C'è un ragazzo, ad esempio, impiegato di recente — dopo un'infanzia e un'adolescenza trascorsi in istituto — che si vergogna della propria menomazione al punto da entrare in ufficio dieci minuti prima, per impedire che i colleglli non cicchi lo vedano ». Le alternative all'istituto, oggi, non sono né diffuse né definite. Esistono tentativi. Minuscoli, cauti, che smuovono appena la superficie di una realtà ancora drammatica. In alcune scuole — elementari e medie — sono stati inseriti piccoli ciechi nelle classi « normali ». Per gli insegnamenti «particolari» (il «braille», ad esempio) è affiancata, all'insegnante regolare, una « aggiunta ». « Comunità alloggio », autogestite, in cui sono accolti anche giovani handicappati, stanno faticosamente nascendo. E in questo quadro si inserisce il corso per centralinisti istituito dal Comune e sovvenzionato dalla Provincia: 15 cicchi adulti potranno fruire di un « momento di studio » e, insieme, riceveranno una « quota di sopravvivenza ». Il quadro complessivo non è comunque ancora entusiasmante, né i bilanci trionfalistici: chi si occupa di queste timide sperimentazioni sa che spesso il risultato non è assolutamente proporzionale alla fatica spesa. Ma non per questo smette di lavorare contro strutture comunque emarginanti. In questo clima — dicono all'Unione per la promozione dei diritti del minore — è chiaro che « gli istituti si difendono: col tempo si sono trasformati in centri non indifferenti di interesse economico. Qualsiasi iniziativa esterna costituisce pericolo per la stessa loro sopravvivenza ». E in questa chiave forse l'intera vicenda (di cui abbiamo intervistato i protagonisti) va meditata. Eleonora Bertolotto

Persone citate: Eleonora Bertolotto, Enzo Tomatis