Perché non possiamo chiamarci "borghesi,,

Perché non possiamo chiamarci "borghesi,, IL SIGNIFICATO CHE ACCOMUNA I POETI Non tragga in inganno il titolo. Lo sappiamo: nessuno oggi sfugge alla categoria del « borghese ». Dobbiamo torse escluderne gli ex-re o i re, gli operai, gli ecclesiastici, gli assassini, gli zingari? Tutti dimostrano quotidianamente di conformarsi a usi borghesissimi, o nella peggiore delle ipotesi di « aspirare » violentemente alla borghesia. Tralasciamo i casi più ovvii e nella mente di tutti e andiamo all'estremo dell'arco: gli zingari non soltanto si distinguono da tribù a tribù per l'uso di questa o di quell'altra marca di automobile, non soltanto sono attaccati al mito dei buoni del tesoro, ma hanno libretti universitari speciali e arrivano ogni tanto a dare un esame « extraterritoriale ». Discutono molto sul voto, non sono tipi da accontentarsi del diciotto, per via dei punti e, sì, della carriera. Gli hippies? Le statistiche provano che, come certe malattie della pelle, sono strettamente limitati alla post-adolescenza. ★ ★ Chi dunque può non dirsi borghese? Chi deve non essere borghese? Diciamolo su-1 biro: i poeti. I poeti, quella razza dura a morire, quella quinta colonna che ci sfiora ogni giorno nei suoi svariatissimi rappresentanti, in autobus, allo sportello di una banca o con lo stetoscopio in mano. («Dato che lei è qui, ne approfitterei per leggerle...»). Si mimetizzano meglio dei re, è un elementare istinto di difesa. [ pericoli sono molti e prima di tutto quello del ridicolo. Cominciano, per lo più, con l'essere sbertucciati in famiglia quando a quindici anni il padre gli scopre i primi timidi versi nel cassetto. Qualcuno non regge alla prova delle risate o degli insulti, qualcuno si ostina e identifica nella poesia quel salutare punto magico che farà andare in bestia i familiari. Un'arma da non disprezzarc, a una certa svolta della vita. Hermann Hcsse vedeva una drammatica contraddizione, una basilare assurdità fra il posto d'onore che a scuola (e in famiglia) viene riservato ai poeti e l'anatema che colpisce chi mai si provi a diventarlo. Pochi hanno avuto il padre di Montaigne o di Mozart, la meravigliosa madre di Olivier Messiaen. Credo sia un'esperienza universale e quindi, come si diceva, un'esperienza « borghese ». Molti saranno in grado a questo punto di citare sei o sette nomi di poeti borghesi, poeti che non hanno sentito l'esigenza di imbarcarsi su un bateau ivre come Rimbaud, di maledire i genitori come Cecco Angiolieri, di ricorrere alle droghe come Baudelaire o Michaux, di distruggersi nell'alcol come Dylan Thomas e innumerevoli altri. Ma si scavi in profondità nelle pagine di certi cari cantori dei miti lamiliari o simili. ★ ★ I casi sono due, come del resto vedrebbe subito monsieur de La Palice. () si tratta di poeti di terz'ordine, venuti sulla cresta dell'onda per ragioni di simpatia o ili concordanza con i miti più diffusi, per polemica contro gli «incomprensibili» o i «grandi», troppo impegnativi e ingombranti, o si tratta di abilissimi contrabbandieri che sotto spoglie dimesse nascondevano cartucce di tritolo e vettovaglie da passare agli immediati avamposti (Marceline Desbordcs-Valmore, Camillo Sbarbaro). Il discorso sarebbe, a questo punto, di una scoraggiante ampiezza. Limitiamoci allora a vedere perché il poeta, oggi, oltre la crosta dell'inquadramento sociale non possa permettersi di essere borghese. Non soltanto. Non possa scegliere un altro aggettivo sul quale concentrare tutte le cariche negative capaci di farlo scendere di tensione. Dal Settecento in poi — data di nascita o di straripamento della grande borghesia — la borghesia ha lottato, cosciente o no, con un problema di Eondo, quello della propria identificazione, quello delle proprie patenti nobiliari. Tutto ciò che era confuso le ripugnava (e le ripugna). La complessità del reale dev'essere incasellata ed etichettata, possibilmente con il suo prezzo accanto. Mai la logica c la sintassi, per lei figlie della più rigorosa contabilità, hanno trovato una più accesa paladina, una più attenta vestale. Le intuiste come una secolarizzazione della divinità, una divinità a sua volta già svuotata di attributi mistici. La confusione e anche la sfumatura nascondono il Maligno, mettono a dura prova organi mentali poco allenati. E' una delle ragioni di trionfo del teatro boulcvardicr che ha poco da spartire con le commedie che «divertivano» ai tempi di Molière. Mentre quindi la borghesia corre ai boulevard e si prepara a estasiarsi del positivismo in ogni sua forma, ecco i poeti scoprire la loro necessaria dissociazione dell'atomo, ossia della parola, inventando l'ambiguità simbolista e il verso dispari francese, la dislocazione sintattica, le virtù dell'anacoluto, il grottesco espressionista, i «bianchi» e ogni tipo di violenza o assenza perpetrata sul tessuto tradizionale del verso e anche della prosa, ogni novità, trovata o espediente, per bizzarro o offensivo che sia, capace di differenziare al massimo il loro messaggio, la loro intuizione, da quella prosa logica che, portatrice di valori pratici e scontati, sta al messaggio poetico come il gruppo di famiglia al lampo di magnesio sta alle demoisclles d'Avignon. Si vuole procedere per diagrammi sensibili e non analitici, abbandonarsi al flusso interiore, dare alle parole ossigeno e libertà. Niente è più progressista della fan- non capisce e hor tasia. Chi ghesc. ★ ★ Cose di mezzo secolo la. Ne siamo usciti? Non sembra possibile e forse non sarà possibile. Il concetto di «scuola» si è frantumato, è un relitto de passato come l'etichetta di questa o quella avanguardia. Si fa la strada per conto proprio, si combattono battaglie senza generali né caporali dove anche il critico ha rinunciato ai suoi gradi. Oltre tanti conclamati impegni civili del poeta, l'unico denominatore comune resta quello: prendere il vecchio ineliminabile corpo e dislocargli le ossa e i tendini, metterlo a testa in giù, tingergli di verde i capelli. Come sbarazzarsi del cadavere? Come farne a meno? Non si può fare una poesia senza parole riconoscibili anche se sono in sé sostanza bruta. Un pittore che dipinga una margherita ci dà per forza un'immagine. Un poeta che scriva «margherita» non ci avrà dato che una parola di dizionario. Dislocate, dislocate, qualcosa resterà. Resterà? Dubbio abbastanza nuovo, bisogna riconoscerlo. Una volta — e sia pure per ipotesi di lavoro, o cantando il gallo silvestre — si credeva all'eternità della poesia. Oggi sarebbe anacronistico 0 di cattivo gusto stabilire gerarchie o azzardare pronostici su un futuro leader. Lo sanno 1 critici, per lo più, con i loro apprezzamenti prudenti e intercambiabili, considerando i poeti (non ancora difesi da un sindacato) buoni operai della ì(pìné. Il criterio della bellezza è ila tempo superato, l'engagement è finito dal rigattiere e anche Neruda è andato rapidamente perdendo i suoi smaglianti colori. In attesa (chissà) che si possano un giorno tracciare nuove rotte, si resta abbarbicati a scoglietti di negativo. Resta il concetto dell'antiprosa, fondamentale anche nei poeti che si vogliono prosastici e fanno intarsi di slogan pubblicitari o di luoghi comuni parlamentari che, tolti dalla loro sede, eccoli ridiventati «prodotti estetici» come i dentifrici o i cessi dell'arte pop. E' la chiesa che crea la divinità e non viceversa. Il pubblico (borghese) recalcitra ancora oggi di fronte ai tre nasi di Picasso. Ma i dissacratori della Forma Tradizionale, i buffoni dell'immagine (come i giullari di Dio) sono un dinamico e salutare segno di crisi. Oscar Wildc diceva in De profundis: Le pose dì noi artisti non sono fine a se stesse ma una maschera inventata per mostrare ai filistei quanto siano frivole le loro arie compunte e devote. Il rifiuto di mostrarci seri alili loro maniera è un avviso che si sta preparando una nuova cultura. Per cui fra gli infiniti paradossi del poeta cccone oggi due. Razionalizzare la sua esigenza di espressione irra-1 zionalc. Compiere il cammino inverso a quello della storia del mondo, ossia andare dall'ordine al caos, sia pure un caos meditato dal quale dialetticamente si riemerge. Cacciati dalla porta tutti i significati «pratici», raggiunta ancora una volta, lo si voglia o no, un'identificazione poeta-parola senza ambigue zone intermedie, il significato che li accomuna tutti è questo: il mondo deve essere distrutto non tanto perché vada male quanto perché è stato costruito cos'i. E la prima vittima sacrificale dev'essere la logica, o linguaggio, o umanità dei sentimenti accettati. Il mondo oggettivo, il mondo borghese. Maria Luisa Spaziarli Perché non possiamo chiamarci "borghesi,,