Passo indietro con entusiasmo

Passo indietro con entusiasmo Passo indietro con entusiasmo Si rientra da Varsavia nella notte, subito dopo la partita, con ancora negli occhi scampoli della gagliarda prova difensiva degli azzurri, discorrendo con i compagni di viaggio della capacità di sacrificio dimostrata da tutti nel marcamento del diretto avversario (segno inequivocabile di debolezza, il pressing nel football, tanto è vero che lo adottano le squadre di provincia in campionato), si dorme qualche ora, poi molti giornali del lunedì mattina danno una specie di choc, inculcano Il sottile seme del dubbio: ma allora, abbiamo visto due partite diverse? In realtà la partita è una sola, ma è la posizione personale di ciascuno di noi che dà una angolazione diversa alla verità. Se si deve accettare la piena soddisfazione altrui almeno come prova di « democrazia calcistica », ci sembra però da respingere la tesi secondo la quale ieri l'altro nello stadio del Decennale il nostro calcio ha « cominciato a ricostruirsi » o meglio » ha posto una base per il futuro ». Nel catino di Varsavia battuto dal vento il football azzurro ha semplicemente fatto un balzo indietro di dieci anni mentre tutto il mondo dello sport va avanti. Siamo arrivati alla paradossale situazione In cui, per amore di tesi precostituite, ci si rifiuta di vedere i progressi veri del calcio mondiale in fatto di preparazione atletica, di tecnica, di tattica, di studio degli schemi, per aggrapparci ad uno zero a zero. Un pareggio che, al momento, visto come la nostra squadra non avesse nulla da guadagnare ci è parso persino umiliante nel modo in cui è stato ottenuto, se non ci fossero stati davanti agli occhi Bellugi, Gentile, Rocca, Benetti, Antognoni, gli stessi Anastasi e Pulici a battersi allo spasimo su ogni pallone. Onore allo spirito dei giocatori nella giornata, e basta. E non parliamo di vendette, non confrontiamo un girone eliminatorio del campionato d'Europa con un mondiale che comporta altre responsabilità, che è affrontato da tutti al massimo della condizione perché si presta ad una programmazione precisa (e chi non ne è capace, come noi in Germania, è solo in torto). A Varsavia non abbiamo vendicato nulla, dopo Stoccarda abbiamo fatto due zero a zero, e quindi i gol di Szarmach e Deyna se proprio vogliamo ci bruciano ancora, perché era quella la gara che contava, dove giocammo molto meglio che stavolta e non avemmo fortuna. Due arbitri Certo, chi già allora sostenne che avevamo perso perché si era affrontata la gara « scriteriatamente in attacco » (ed erano gli stessi che strizzando l'occhio informavano che tutto era sistemato, che la Polonia ci avrebbe favorito pei inguaiare l'Argentina...) adesso si sente dalla parte della ragione. Difendendoci abbiamo pareggiato, ma con la sola grandissima differenza che a Stoccarda c'era un rigore grosso come una casa a nostro favore e l'ineffabile arbitro non ce lo concesse, mentre stavolta Schiller ha guardato con occhio benevolo i nostri difensori che cianchettavano Deyna e Lato a due passi dal gol. L'unico merito dello 0 a 0 è quello di assicurare un momento di tregua a chi guida gli azzurri, mentre si profila una gara non certo terribile contro l'Olanda che, priva come pare di Cruyff e Neeskens nonché di un reale interesse per il risultato, sarà ancora valida ma non concentrata come ad Amsterdam contro gli stessi polacchi. Ma già si vocifera di novità nel clan della Nazionale a livello di conduzione. Bearzot comincia ad avere incertezze anche se non le rivela, mentre Franchi sfoggia un realismo alla Richelieu che non ci convince. Atteggiamento sincero, legato ai fatti, o timore che si faccia di Varsavia un qualcosa che impedisca le magari già studiate rivoluzioni al vertice? Il dubbio rode come un tarlo. Ce chi preferiva una nuova scivolata d'ala, per arrivare presto ad una ulteriore sterzata? Le manovre di corridoio, pur se importantissime, ci interessano relativamente. Preferiamo le manovre sul campo, e sinceramente a Varsavia ne abbiamo viste poche. Ouattro nitide: una di Antognoni (40 metri di volata, passaggio smarcante ad Anastasi. tiro alto), due di Benetti entrambe concluse da ottimi cross (sul primo nessuno si è inserito, sul secondo Pulici ha mandato alto), una corale con centro tinaie di Anastasi per un Pulici in ritardo. Adesso si sostiene che con quattro azioni in novanta minuti dovevamo anche vincere, e magari meritatamente. Si riparla dell'Inter di Coppa, si scorda che anche lei aveva i suoi Schiller, i lanci di Suarez, l'estro di Jair, i guizzi di Mazzola, e soprattutto avversari spesso furiosi ma ingenui come allodole allo specchietto. E della Nazionale di Riva, che oltre a Gigi aveva un certo Domenghini a fargli da spalla magica. Camaleonti Anche a voler ridurre tutto ad un discorso squisitamente tecnico, i casi sono due. La superdifesa tipo vecchi tempi, che personalmente non ci diverte se è sistema di gioco e non un comportamento imposto dalle circostanze (ed a Varsavia è stata una scelta precisa) si può fare solo con centrocampisti che non avanzano in dribbling ma sanno come si lancia a 40 metri e con punte che abbiano spalle e non solo quelle piuttosto sostenute. Altri| menti occorre manovrare a tutto campo, ed è l'indirizzo che pareva perseguire all'inizio Bernardini e che ora è stato abbandonato in questa gestione a due (o tre) che provoca vigilie in cui tutti parlano per smentirsi dopo senza neppure arrossire. Così il "dottore » che aveva detto venerdì « del risultato me ne frego, voglio il gioco » alla domenica sera si compiace della maginot che ha prima sorpreso e poi stritolato i polacchi, incurante che i piedi buoni avessero ripreso a ricacciar palloni sulle gradinate tanto per salvarsi. E' difficile sinceramente orientarsi, in un mondo azzurro pieno di camaleonti. Restiamo dell'idea espressa dalla troupe del nostro giornale a caldo (o meglio, a freddo) domenica a Varsavia: elogi agli atleti, grosse perplessità sul gioco, sul tipo di impostazione data alla partita che non aveva senso se non si fosse avvertita da parte di qualcuno l'urgenza di una ciambella di salvataggio chiamata risultato. Ma allora dovremo andare avanti chiedendo «sacrifici» continui ad atleti che pure hanno mezzi tecnici notevoli? E' meglio continuare a dire « // gioco nostro è così, non siamo capaci di reggere a tutto campo » e rituffarcisi dentro, o cercare di giocare anche noi a football con meta il gol meritato, non quello strappato con l'astuzia in contropiede. Ed anche gli atleti cerchino di non perdere di vista la realtà. Prendiamo Causio, per andare sul pratico. Potrà sentirsi soddisfatto di aver rispettato la consegna, di aver fatto velo a Wawroski, ma sarà sinceramente contento — lui abituato ad imporre il suo gioco, a seguire il suo estro — di una gara in cui i non ha piazzato un tiro verso Tomazewski? Crediamo non sia questo il tipo di football che Causio sente, al di là dell'adattabilità ad una situazione che può essere accettata come episodio a se stante, ma non va accolta con giubilo e tanto meno additata come strada per II futuro. Bruno Perucca