L'arcipelago dei rifugiati

L'arcipelago dei rifugiati Il sogno e la realtà degli esuli politici in Italia L'arcipelago dei rifugiati I più attivi sono i cileni, ospitati ufficialmente - Molti altri vivono semiclandestini Roma, ottobre. « Noi esuli cileni in Italia viviamo fra sogno s realtà ». La testimonianza è di Homero Julio, segretario della sinistra cilena all'estero, ma non rispecchia soltanto lo stato d'animo dei suoi connazionali rifugiati nel nostro Paese. C'entra la condizione psicologica comune ai profughi di qualsiasi nazionalità che formano ormai sulla Penisola un arcipelago vasto e sconosciuto. Neppure le « autorità competenti » sanno o vogliono dire quanti siano: con difficoltà abbiamo valutato che si aggirino fra i tredicimila e i quindicimila. « Il sogno — spiega l'ex ambasciatore di Allende a Roma, Vassallo — è il "vero" Cile, democratico e tollerante, nostro orgoglio. La realtà è l'impegno di lotta per realizzare quel sogno contribuendo con la resistenza che opera in patria ad abbattere la giunta del terrore ». « Non fu sempre un sogno, ossia un ideale di libertà e giustizia, a tener su l'esule di ogni epoca? », domanda il sen. Umberto Terracini che fu esule in patria e nel suo stesso partito, il pei, dal quale venne espulso, mentre scontava in carcere o al confino la condanna a ventidue anni inflittagli dal tribunale speciale. Nessuno più di Terracini, quindi, può penetrare l'animo e comprendere le molte necessità dei perseguitati politici che, a giusto titolo, lo considerano un loro protettore. Nei prossimi giorni depositerà al Senato il primo disegno di legge che garantisca lo stato giuridico dei profughi in Italia, stabilendo il loro diritto pratico all'asilo politico che l'art. 10 della Costituzione sancisce, senza che in ventisette anni sia stato attuato. « Per fortuna — dice Terracini — l'Italia in questo dopoguerra ha accolto migliaia di esuli dalle dittature fasciste e autoritarie. Però il regime democristiano, anche in questo campo, ha acquisito un altro titolo di merito — aggiunge con ironia — quello di una larga inadempienza della Costituzione ». La vita dei profughi e dei rifugiati politici è regolata dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 in tutti i Paesi che l'hanno ratificata. L'Italia l'ha siglata nel '54, ma si è impegnata a ospitare provvisoriamente soltanto profughi europei, escludendo tutti quelli dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina: una discriminazione che solo l'Italia e il Portogallo mantengono. Da noi c'è stata una sola deroga del tutto eccezionale a favore dei cileni». « Noi non dimenticheremo mai — dice Fornero Julio — l'accoglienza fraterna che ci avete dato e ci date voi italiani. Ringraziamo il governo, l'ambasciata d'Italia a Santiago che per molti di noi fu il porto di salvezza dopo il golpe, i partiti democratici, i sindacati, le cooperative e le organizzazioni di massa. Questa incredibile ospitalità è una delle ragioni che ci indussero a scegliere Roma come sede del centro di coordinamento della sinistra cilena all'estero, che opera in tutto il mondo ». I profughi cileni, secondo i loro esponenti, sono in Italia non più di ottocento. Altre fonti parlano, invece, di due o tremila, perché molti sarebbero venuti in Italia dalla Francia e dal Belgio in forma clandestina. Comunque, circa quattrocento, passati attraverso l'ambasciata italiana in Cile, hanno le carte in regola e sono riconosciuti rifugiati politici: molti di loro lavorano, specialmente in Emilia-Romagna e in Toscana, dove sono stati sistemati da enti cooperativi e locali, ma anche in industrie delle regioni settentrionali. Gli altri quattrocento, venuti in Italia fuori dal tramite dell'ambasciata, sono giuridicamente in posizione ancora irregolare, anche se non hanno alcun disturbo da parte della polizia. « La loro situazione si potrebbe normalizzare — chiarisce Andres Ibarro, membro della segreteria del centro di coordinamento — se le autorità italiane accettassero il riconoscimento di rifugiati politici da parte dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e i profughi. Oppure se diventerà legge il progetto del senatore Terracini ». Siamo nella sede del centro di coordinamento, ospitata in un alloggio un tempo aristocratico, messo a disposizione dei cileni dall'associazione « Italia-Cile ». I saloni, ancora arabescati, sono divisi da tramezzi in legno per ricavarne piccoli uffici, perni di un frenetico movimento e di un continuo vocio. Le pareti sono cariche di ritratti di Allende, di brani del suo testamento, di slogan e di grandi riproduzioni della poesia che Rafael Alberti, leader spirituale dei profughi antifranchisti spa¬ gnoli, scrisse di getto qua- ; rantott'ore dopo l'assassinio del presidente di « Unidad Popular », caduto nell'assalto della Moneda, 1*11 settembre del '73: «... ma il suo sangue oggi stesso si solleva », dice l'ultimo verso. Gli esuli cileni sono fra i più attivi politicamente nell'arcipelago dei rifugiati in Italia. Hanno stabilito canali sicuri e continui con la resistenza interna; sono informati di quel che accade in Cile; attraverso una rete clandestina mantengono contatti, inviano ai « compagni » in patria aiuti economici e direttive. Hanno compilato un elenco di spie, provocatori e agenti di Pinochet in Europa e in Italia. Ma non si perdonano la scarsa vigilanza che ha reso possibile il recente attentato a Bernardo Leighton, fondatore della de cilena, e a sua moglie colpiti da un killer a Roma. « Temevamo attentati — dicoro i dirigenti del "centro" — ma non saremo più colti di sorpresa ». Alcuni esponenti, da allora, cambiano alloggio quasi ogni sera. Pensano che la centrale operativa degli « aguzzini » sia Madrid: « Là risiede il colonnello Pedro Ewin, con l'incarico di addetto militare. Sarebbe un compito troppo modesto per chi è stato ministro delle Informazioni della giunta Pinochet. Ewin da Madrid dirige la provocazione e il terrorismo contro di noi ». Le loro speranze sono legate alla bancarotta economica del regime fascista: « L'inflazione nel 1974 ha toccato il 600 per cento, non il 376 per cento ammesso da Pinochet. Nei primi otto mesi di quest'anno c'è stata un'ulteriore inflazione del 250 per cento. Ora in Cile un chilo di pane costa 1450 escudos, mentre VII settembre del '73 costava undici escudos: l'aumento è stato del 14.000 per cento. Lo stipendio minimo per sei milioni di cileni, e di 140.000 escudos, pari a quattordimicila lire ». Ignazio Delogu, segretario di «Italia-Cile», conferma che il ministero dell'Interno dimostra « grande disponibilità » verso i profughi cileni i quali, via via, stanno ottenendo il riconoscimento di « rifugiati politici », il « documento di viaggio » e il soggiorno provvisorio. Ben diversa è la condizione di altri profughi latino-americani. Incontriamo due brasiliani, un giovane e una ragazza che furono torturati, lui nel carcere di Tiradentes, a S. Paolo, lei dalla gendarmeria di Maipu, quartiere di Santiago del Cile, dove s'era rifugiata dopo il golpe in Brasile e dove fu arrestata, su delazione, dopo il golpe di Pinochet. « Ho ventiquattro anni, studiavo all'università cilena. Poiché non ho alcun riconoscimento, da quando sono in Italia faccio la domestica a ore, pur essendomi proibito qualsiasi lavoro ». I regimi fascisti latino-americani considerano « baniti » (cioè banditi) gli avversari che hanno dovuto rilasciare in seguito a scambi con ambasciatori o altri personaggi catturati dai movimenti di resistenza. «Noi " baniti " — dicono i due brasiliani — non possiamo avere alcun documento dai nostri Paesi. Per distruggere la nostra personalità giuridica, il regime ha distrutto i nostri documenti e i titoli di studio. Ci sono medici e ingegneri esuli che non possono esercitare perché non sanno come dimostrare di essere laureati ». Nella stessa situazione sono perseguitati haitiani, africani, arabi, asiatici. Per loro l'esilio in Italia è solo salvezza fisica, ma senza possibilità di rifarsi una vita. Lamberto Fumo