La bella Odissea di San Brandano

La bella Odissea di San Brandano La bella Odissea di San Brandano « Navigatio Sancti Brendani. La navigazione di San Brandano », a cura di Maria Antonietta Grignani, Ed. Bompiani, pag. 280, L. 4000; Ai Celti d'Irlanda, che Plutarco poneva a cinque giorni di navigazione a Nord della Britannia, si è guardato sin dall'antichità con una sorta di terrore e reverenza, anche per la razza misteriosa che abitava quei lidi lontani e che sembrava conoscere il futuro e i segreti della morte: ancora Plutarco collocava da quelle patti l'isola delle ombre, dimora di un popolo dedito al trasporlo delle anime, dove la notte i morti vagano attorno alle capanne, bussano alle porte; allora la gente si alza, partono barche cariche di esseri invisibili, e poi ritornano più leggere. Ma fu anche, quella gaelica, una civiltà marinara fiorita di leggende « paradisiache », che parlano di contrade meravigliose dell'Oceano, in perpetua primavera, di isole fantastiche dalla vegetazione lussureggiante, di terre dell'amore, dove dimorano i defunti e dove, in vita, può avere eccezionale accesso soltanto l'eroe - viaggiatore. Vero e che il mito del Paradiso Terrestre appartiene a tutte le culture e religioni antiche: nel mondo classico le isole beate, il giardino delle Esperidi situato al di là dell'Oceano. Ma in Irlanda uno specifico genere letterario, fiorito tra il VII e il IX secolo, ha innestato quel mito sul tema della spedizione avventurosa per mare: ci si riferisce agli Imrama (letteralmente « circumnavigazioni»), relazioni di viaggi oceanici alla ricerca di isole felici. Una sorta appunto di [imam cristiano, e, insieme, una sorta di Odissea monastica, possiamo definire La navigazione di Sun Brandano, uno dei testi più straordinari e suggestivi della letteratura medievale. Bene ha fatto Maria Corti ad accoglierlo nella collana di Bompiani «Nuova corona», che tende a far conoscere testi di alto valore artistico che « varie preclusioni e distrazioni hanno finora allontanato dal vasto pubblico »: la cura del volume è affidata a Maria Antonietta Grignani, che ha ottimamente introdotto la Navigatio e rigorosa si e mostrata sul piano dell'edizione del testo, anzi dei due testi, poiché sono stampati due volgarizzamenti di fine Duecento o inizi del Trecento, uno veneziano e uno toscano (parzialmente edito quest'ultimo), giunti a noi in codici dell'inizio del Quattrocento, e basati su un'opera Ialina del X secolo, che a sua volta deve aver attinto ad un racconto gaelico (a noi ignoto), il più antico racconto di questo viaggio. Dunque, la storia avventurosa di un monaco navigatore, come i tanti ardenti monaci navigatori del Medioevo, tipo quelli di San Colombano, che correvano l'Oceano con barche leggere intcssute di vimini, coperte di pelli, quali usavano appunto sulle coste d'Irlanda. Anche il celebre santo Brandano, irlandese, pare abbia fatto veramente un viaggio (siamo nel VI secolo) e che, tornato in patria, abbia scritto un libro sulle Isole Fortunate. Isole la cui esistenza non fu messa mai in dubbio durante tutto il Medioevo e ancor dopo: alcune mappe le posero a ponente delle Canarie, altre nel gruppo di Madera, un globo del Quattrocento collocò l'isola di Brandano in prossimità dell'Equatore; preso poi il nome di Isola perduta, nel '500 venne confusa con una delle Antille. La cercarono in molti, dopo la scoperta del Capo di Buona Speranza e dell'America; nel 1519 Emanuele di Portogallo rinuncia col trattato di Evora alla Spagna ed anche ad ogni diritto sull'Isola perduta, espressamente menzionata. Gli ultimi esploratoti partivano alla ricerca di essa ancora nel 1721. Isola e leggenda di San Brandano ebbero insomma nel mondo occidentale una fama eccezionale. Ma veniamo al nostro testo, che e piacevolissimo e delizioso alla lettura. Vi si narra del monaco Brandano appunto che salpa da un porto imprecisato dell'Irlanda con una schiera di compagni alla ricerca del Paradiso Terrestre. Per sette anni essi vagano per l'Oceano, approdano su varie isole, vanno incontro a svariate avventure. Si naviga su un mare ora trasparente, di cui si scorge un fondo abitato da una fauna fantastica, volatili, pecore e grifoni, elefanti e draghi, ora caliginoso e coagulato; si approda sul dorso di una balena scambiata per un isolotto, per cantarvi messa e cuocervi il cibo (al primo bollore l'Isola si scuote, e fuggono i monaci); un'alta colonna si leva dalle acque e cela la sommità fra le nubi (l'iceberg già nell'Edda era trasfigurato nel gigante di ghiaccio immobile nel mare, o in- isola di cristallo ove si riuniscono le divinità dell'Olimpo nordico). E poi una miriade di isole: l'isola degli uccelli bianchi (gli angeli decaduti), delle pecore gigantesche, degli alberi che crescono di giorno e tornano sottoterra al calar del sole, l'isola infernale dei fabbri martellatori e aguzzini di dannati. I monaci navigatori incontrano profeti, incontrano San Paolo Eremita nutrito dalla lontra prodigiosa, e in mezzo al mare, sotto la sferza dei venti e dell'onde, il supplizio di Giuda Iscariota seduto su una pietra, con un panno sospeso a mo' di vela tra due forcelle, quasi uccello fantasti¬ cdreilmasigilzp| indspsoaè bgdavco e navicella vagante nell'O- j uccano. Utopia c apocalisse si | emfondono: lottano bestie nel ma re, e la « prava » soccombe di fronte a quella inviata da Dio in aiuto dei frati, le sue carni sono divorate da uccelli selvaggi. Infine, l'Eden, dietro una fitta cortina di nebbie, descritto con una dovizia straordinaria di clementi simbolici, e assai più ricco, rispetto al testo latino, di particolari realistici e fabulosi. Accanto alla ricchezza del particolare il lettore noterà immediatamente l'« ingenua » ripetitività del racconto, che ritorna su se stesso ciclicamente, come un rito, un « monotono » cerimoniale. Sette volte si ripercorre lo stesso itinerario, c restano inalterate alcune tappe (le feste cristiane, dal Natale alla Pasqua, sono celebrate in altrettanti luoghi fissi). Le leggi ripetitive, Io schema liturgico che regge la struttura del racconto, governato dalla serie di osservanza di divieti, da proibizioni e astinenze, hanno portato alcuni ad interpretare il testo come un'allegoria della vita monastica. In realtà si tratta di elementi e strutture segnatamente medievali: stasi e monotonia entro un viaggio - pellegrinaggio appartengono al « genere » letterario, che è quello di un'agiografia innestata suU'ltnram celtico. La fruizione perciò di questo testo straordinario non può essere soltanto impressionistica, tutta perduta dietro la piacevolezza del fabuloso e del realistico. La forte simbologia e allegorizzazionc danno significato ad ogni particolare; l'innesto di elementi culturali di varia matrice (nordica, classi- pl'NloecPLtelisfidndtrqSGLfirrptmgmlddnscu ca; orientale addirittura, secondo alcuni meno cauli studiosi) rendono arduo il districarsi tra il materiale della Navigatio. Comunque gli clementi primitivi, gaelici e classici, sono alterati e rivisti entro una visione erstiana. Più che un viaggio in linea retta verso l'ignoto, il percorso avventuroso è senz'angoscia, retto da un disegno provvidenziale. Anche il mare | insidioso è senza pericoli quando la fede sorregge; la barca spesso si accosta al lido da sola, se i frati non riescono ad approdare. Ma il racconto è anche lutto veramente godibile per se; nei due testi volgari il traduttore ha abbellito di molto l'originale latino. E' andato cioè, come sempre avviene, incontro alle attese di j un pubblico laico dedito (spe| eie il veneziano) ai viaggi per mare ed al commercio, ad un pubblico attratto dal gusto dell'avventura e del meraviglioso. Non a caso, dei due testi, quello veneto è il più compiaciuto e ricco di particolari fantastici, il più farcito e decorato. Gian Luigi Beccaria . wSSSmm IP Una miniatura da « Navigatio Sancti Brendani »

Persone citate: Evora, Gian Luigi Beccaria, Isola, Maria Antonietta Grignani, Maria Corti, Sun Brandano

Luoghi citati: America, Antille, Irlanda, Portogallo, San Colombano, San Paolo, Spagna