Caino e Abele per Venezia con gli attori del "Living,,

Caino e Abele per Venezia con gli attori del "Living,, Lo spettacolo presentato alla Biennale Caino e Abele per Venezia con gli attori del "Living,, (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 21 ottobre. Ai primi freddi di ottobre del '69, lasciammo, o diciamo pure abbandonammo, il Living Theatre sulle piazze e per le strade di Torino, Milano e Roma, dove uscendo dai teatri e invitando il pubblico a seguirli, gli uomini e le donne di questa comunità anarchica erano scesi per fare la loro rivoluzione non violenta. Li seguirono pochi spettatori e, per nostra vergogna, molti poliziotti: la rivoluziono fu rimandata. Sei anni dopo, abbiamo ritrovato il Living sui campi e nelle calli di Venezia: predica ancora la rivoluzione, fa ancora del teatro, per le strade e no, e continua a identificarlo con la vita. Che ne è stato, in tutto questo tempo, del grande Living al quale il nuovo teatro deve forse di più di qualsiasi altro gruppo d'avanguardia? Rimpatriato negli Stati Uniti, il collettivo si scinde in due o tre tronconi: qualcuno di loro è rimasto in Europa, altri finiscono in India e presumibilmente sono ancora laggiù, altri ancora abbandonano l'impresa. Julian Beck e Judith Malina, invece, con vecchi e nuovi compagni partono per il Brasile per portare parole di libertà e di riscossa in un paese dove più infuria la reazione. Con il risultato, dopo qualche sconvolgente tentativo di fare teatro nelle «favelas» di San Paolo, di trovarsi tutti in prigione con il solito pretesto della droga e poi di essere definitivamente espulso. Tornato in Usa, il nuovo Living continua il lavoro incominciato nell'America del Sud e a New York e a Pittsburg presenta i primi frutti della sua esperienza brasiliana. Nasce così la trilogia delì'Eredità di Caino che prende titolo e spunto da un'opera incompiuta da Sacher-Masoch nella quale lo scrittore austriaco avrebbe voluto dimostrare come le strutture della società si fondano sulla sessualità e quindi anche sul rapporto sadomasochistico tra padrone e schiavo che il Beck, rifacendosi a Reich, colloca al centro di una «weltanschaung» che non si propone di interpretare il mondo, ma di cambiarlo con una rivoluzione la quale sarà anche sessuale nella misura in cui saprà liberarci dagli attuali modelli sessuali ed esorcizzare appunto, il rapporto sadomasochistico tra chi comanda e chi sottostà. Questo rapporto è analizzato sino all'ossessione nell'Ere dita di Caino che il Living Theatre ha portato alla Biennale veneziana e che com prende i tre lavori sinora realizzati di un progetto di centocinquanta commedie, sketches e altre composizioni sceniche con le quali la Malina, allora in Marocco, fantasticava sin dal '69 di invadere una città e di sovvertirla e di mutarla con il teatro. Ecco infatti nei Sei atti pubblici che fanno da prologo alla trilogia, e che il Living ha rappresentato all'aperto davanti ai diversi luoghi di Venezia «dove più si sente il potere di Caino», ecco gli attori mimare l'uccisione di Abele e le connivenze e le divisioni tra i carnefici e le vittime, tra gli sfruttatori e gli sfruttati, tra chi ha e chi non ha. Le azioni e le rappresentazioni, le processioni e i riti di questa «via crucis» laica e politica sono improntati a un realismo che può sembrare, e spesso lo è, ingenuo (come ingenui e talvolta ovvii sono i simboli che esso usa), ma che indubbiamente fa presa sugli spettatori che si stringono intorno al Living davanti alle varie «case»: la Borsa per la «casa della morte», il minuscolo posto di polizia del museo Correr per la «casa della guerra», i pennoni imbandierati di piazza San Marco per la «casa dello Stato», un palazzo delle assicurazioni per la «casa della guerra» e il molo per la «casa dell'amore» (perché anche in amore, dice Beck, si instaura il rapporto tra servo e padrone). Tra la folla non mancano gli sfaccendati, o i curiosi che ti chiedono — chi sa perché — se stanno girando un film giapponese, o gli scettici e i benpensanti che borbottano contro la Biennale, ma non mancano neppure gli appassionati, giovani soprattutto, che non chiedono altro che di «partecipare», che rispondono alle domande degli attori e discutono con loro, che offrono persino una goccia del loro sangue in memoria di quello versato dagli ebrei e dagli africani, dagli spagnoli e dai cileni, e così via ricordandosianche delle donne morte di aborto e dei lavoratori uccisi dagli infortuni. E alla fine sciolgono premurosamente le corde con le quali gli attori, a significare le catene dell'amore, si erano legati a vicenda, e formano con loro un gran circolo di festa e di allegria. La stessa efficacia non hanno purtroppo i due spettacoli che il Living presenta nella ex chiesa di San Lorenzo. Sette meditazioni sul sadomasochismo politico, dove si ribatte sul testo dei padroni e degli schiavi, accompagna le «meditazioni» del titolo — una trentina di attori seduti in cer¬ chio e il pubblico tutt'intorno — con citazioni di Bakunin, Gutkind, Patchen, Cleaver, Berkman, Malatesta e Kropotkin, oltre che di testi elaborati dallo stesso collettivo, e le alterna con azioni mimiche che ne illustrano i temi. La torre del denaro raccoglie gli attori sui diversi piani di un'alta impalcatura sormontata dal dollaro (sotto i disoccupati, sopra gli operai e su su i borghesi, la polizia, i capitalisti) per una parabola sul lavoro e sul denaro e sui modi di socializzare il primo e di abolire il secondo. Questa torre — qualcosa di mezzo tra il Frankenstein del primo Living e le stampe popolari ottocentesche del tipo «I danni dell'alcoolismo» o «Gli effetti della miseria» — mette in bella evidenza la confusione ideologica, l'arretratezza politica e il candido semplicismo che, aggiungendosi una buona dose di misticismo, aduggiano l'altro la¬ voro. Ma anche testimoniano il commovente e sincero anarchismo del Living, una buona fede che nessun altro teatro d'avanguardia può vantare così assoluta e, nonostante tutto, una non spenta bravura. Su questi e altri aspetti del gruppo piacerebbe insistere. Speriamo di poterlo fare quando, in dicembre come sembra, gli spettacoli del Living verranno presentati anche a Torino. Alberto Blandi