COSA LEGGEREMO DOMANI? di Mario Pomilio

COSA LEGGEREMO DOMANI? COSA LEGGEREMO DOMANI? Il libro "verticale,, « Clic cosa leggeremo domani?». A una domanda cosiffatta, che pure è stata oggetto d'un dibattito ultimamente a Saint-Vincent, durante un congresso degli editori cattolici (ma v'erano rappresentate anche grandi testate «laiche»), nessuno, credo, ha le carte in regola per rispondere. Anche a volersi tenere entro l'ambito relativamente ristretto della letteratura loul-court, penso che pochi scrittori, incluso chi scrive, sarebbero oggi in grado di prevedere quale sarà il loro prossimo libro. Né c'è da meravigliarsene: perché se lo scrittore, fino all'incirca agli inizi del nostro secolo, poteva predisporre, per dir cosi, il proprio lavoro per tempi lunghi, ragionevolmente convinto che nei prossimi decenni non si sarebbero verificati sostanziali mutamenti né nell'ordine delle cose né nella sua propria visione del mondo, si trova oggi esposto alle infinite modificazioni che intervengono di giorno in giorno nella realtà — e di conseguenza anche in lui — e lavora dunque in uno stato di permamente insicurezza, e in continua crisi, come si suol dire. Così di fronte alla domanda di sopra egli non può che rifiutarsi a ogni previsione. Può magari provare a cavarsela con una battuta e rispondere che leggeremo ciò che vorranno gli editori (ma resterebbe solo una battuta, visto che gli editori si vedono sempre più spesso contraddetti dai lettori); può provarsi a elencare alcuni sintomi in atto che. fuori d'ogni profezia sulle scelte di domani, sono a suo parere destinati a influenzare l'immediato futuro della nostra letteratura. Si traduce ad esempio sempre più occasionalmente. Arrivano i best-sellers (e sono spesso roba scadente), manca ormai un rapporto organico con le altre letterature: col rischio di chiuderci, gli scrittori non meno che i lettori, entro orizzonti via via meno ariosi. Diminuisce quel tipo di libri latamente saggistici, al limite tra la riflessione eticofilosofica e l'esercizio letterario, che hanno fatto così spesso da incunabolo alla letteratura: il che se non altro ci fa temere che questa possa diventare meno nutrita, meno densa, meno intimamente meditativa. Decade la lirica, che pure ha dominato la penultima nostra stagione, e parallelamente diminuisce l'interesse sia degli editori, sia dei lettori. Neppure quel paio di collane di prestigio che continuano a pubblicare versi riescono a fare spicco, la lirica resta eccentrica. Indipendentemente da tutto il resto, il fatto non può non avere il suo peso sulla stessa letteratura in prosa. Leggeremo sempre meno versi. Ma in pari tempo avvertiremo sempre meno nella prosa i timbri, la densità, i fermenti metaforici, quel senso della parola come conquista, della giustezza espressiva, del ritmo interno del discorso che segnalavano l'influenza sotterranea della lirica. Il fronte della prosa si rovescia, va verso la discorsività, diminuisce la tensione verso la pagina di ricerca e verso il risultato unico. Si estinguono via via le riviste letterarie e con esse viene meno uno degli strumenti sia di sperimentazione e formazione del gusto, sia di veicolo per le nuove leve. Erano un punto di riferimento per un primo strato di lettori colti, erano spesso un trampolino per arrivare al grande editore, e la loro mancanza crea un vuoto del quale sono destinati a risentire in primo luogo i giovani talenti. Quanti di essi non finiranno per disperdersi prima di arrivare al libro finito, l'unica carta d'accesso, ormai, presso l'editore? Aumenta al contrario l'influsso del rotocalco, che ha co me predisposto certe categorie di lettori, o se non altro le couches, i giacimenti dove andare a scovarli, e parallelamente va formando un certo tipo di scrittore agile, rapido, percettivo, di pronta comunicatività, al limile insomma tra il letterario e il giornalistico polla facile presa, il senso dell'attualità e talora il mordente. TI successo di libri come Vestivamo lilla marinara o Berlinguer e il professore si spiega già, non fosse altro, tenendo conto dell'esistenza d'un pubblico avvezzo a certi temi o a certo linguaggio, e che aspetta dal libro la conferma, e in qualche misura la sanzione letteraria, delle curiosità suscitategli, delle idee messe in circolazione dal rotocalco. Tutto ciò modifica il lettore e modifica il concetto stesso di letteratura, Per restare al dato minimo, riduce ad esempio lo spazio della letteratura da gabinetto scientifico, alla Contini, per intenderci, della letteratura come istituzione auto¬ gvd noma e magari operazione linguistica altamente specializzata. Senza qui voler riprendere la vecchia polemica sulla neoavanguardia degli Anni Sessanta, buona parte del suo fallimento è certamente dipesa dall'aver preteso di combattere le tendenze che abbiamo appena ricordato andando verso la sperimentazione pura e addirittura l'illeggibilità. Ma, a parte tale episodio, è molto probabile che nel futuro saranno sempre meno fortunali i libri che io chiamo di iperletteratura, come dimostra il destino d'una prova nobilissima sì, qual è Horcymis Orca, ma iperletteraria appunto fino a inghiottire la stessa grande metafora alla quale s'ispira. Dopo ciò che si è detto, la letteratura sembrerebbe alle corde, se non pensassimo che essa resta comunque il luogo irrinunciabile di confronto con noi stessi, la nostra condizione, le nostre interrogazioni, il nostro destino d'uomini: e che dunque il suo futuro è semmai affidato a quel genere di scrittori che siano sempre meno dei professionisti del libro e dei succubi dell'attualità, e portati invece a pagare di persona e a lavorare di scavo per fornire i loro libri di spessori umani e problematici, anche a costo di forzare i confini del puro letterario e di occupare spazi che appartenevano tradizionalmente alla filosofia e a quelle che un tempo si chiamavano le scienze umane. A una letteratura tutta in orizzontale, qual è quella che ci minaccia, non si contrasta se non opponendovi una letteratura che sia altra nel senso della densità e della ricchezza di proposte, fortemente meditativa, in verticale, insomma. Addirittura personalmente ritengo che la sfida possa anche partire dal versante del metafisico, se solo penso che Todo modo del laicissimo Sciascia si scarica dell'attualità polemica che potrebbe farlo scambiare per un libello e si carica invece di suggestioni metaforiche e perfino di mistero a patto di riconoscere nel protagonista del romanzo una , ripresa alla moderna del mito. di Mefistofele. Il discorso, probabilmente, potrebbe chiudersi qui. E tuttavia m'accorgo a un tratto di aver eluso il nocciolo della questione: che cioè per discutere intorno a che cosa leggeremo domani avrei dovuto incominciare col domandarmi che cosa produrranno le generazioni di domani e azzardarmi pertanto in un gioco di previsioni intorno a quali saranno i loro interessi, la loro sensibilità, il loro linguaggio, la loro cultura, la loro visione del mondo. Ma è chiaro che a questo punto nessuno s'illude d'avere un minimo di risposte giuste, nessuno sa quale tipo d'uomo uscirà da una società in pieno movimento, qual è la nostra. Al massimo si può passar la mano agli editori, nella convinzione che molto dipenderà da loro se la letteratura, quella autentica, avrà spazio e vita. C'è una politica editoriale | che si lascia sempre più gui j„_ j ii> j i r' i ! dare dall etica del profitto e da \ contingenti scelte di mercato. Può esservene un'altra più lun gimirante che fin d'ora potreb be predisporre gli strumenti i perché le voci della letterati! ra di domani non vadano disperse o mortificate. E' una politica arrischiata, Io so, visto che presuppone dei tempi assai lunghi, la volontà di rinunziare al profitto immediato e anche una larga capacità di scommessa. Ma non è un rischio che vai la pena di correre? Mario Pomilio

Persone citate: Berlinguer, Contini, Sciascia

Luoghi citati: Saint-vincent