Ricordate la Merlini? di Francesco Rosso

 Ricordate la Merlini? COME SI DIVERTIVANO NEGLI ANNI 30 Ricordate la Merlini? La sua voce melodiosa, con il soave ron-ron sullo sfondo, incanta sempre - Difende il divismo, rimpiange Pirandello, Rosso di San Secondo, " Piccola città " di Wilder (Dal nostro inviato speciale) Roma, ottobre. Quella voce al telefono è come una sferzata, la compiere un balzo all'ìndietro di quasi quarant'anni, e si capisce perché, allora, Elsa Merlini affascinasse gli italiani. « Per strada la gente non mi riconosce più, dice ora, ma si volta se parlo a voce alta ». Oltre i toni melodiosi raffiora quel soave ronronare che rimane il sottofondo inimitabile della recitazione della Merlini, attrice rimasta ai vertici dei valori nazionali per oltre mezzo secolo. Oggi, un po' in disparte, ma non ancora assente, talvolta sosta a guardare indietro, ma solo per attimi; la voglia di personaggi nuovi la riprende immediatamente, ed anche una incontenibile frenesia di muoversi per non lasciarsi superare dalla vita e dai colleghi. «Che vuole, mi dice, io sono ferma a "Piccola città", non mi sono più mossa da lì, continuo ad essere Emilia ». Recita anche quando fa di tali affermazioni, dà alla finzione un rilucente smalto che somiglia alla verità, ma non è la verità. Elsa Merlini è sempre al proscenio, anche quando smorza i toni della voce per tentar di proiettarsi in un autunno teatrale in cui è lei stessa la prima a non credere. Piccola città arrivò alle scene italiane nel 1942, tra fischi di spettatori sbigottiti per le alidade sceniche e psicologiche, ed anche per ostilità contro l'autore, l'americano Thornton Wilder, ed i sibili delle sirene che, lugubri, annunciavano i bombardamenti aerei; ma fino a quel traguardo c'è pur stata una Elsa Merlini che si muoveva con sottile sapienza tra personaggi forse meno crepuscolari e più corposi dell'Emilia wilderiana. Quali, ad esempio? Siamo in uno dei più tipici caffè di Roma, da Babinghton, ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti. La gente che siede ai tavolini è un campionario di umanità fra i più variati; giovani studenti, coppie anziane, asciutte inglesi che sorbiscono il tè compunte e silenziose, turisti americani da Anno Santo; un pubblico che si addice ad Elsa Merlini avvezza a cambiar ruolo, dalle maliziose giovinette alle donne più mature del suo complesso repertorio. Vogliamo guardare un po' indietro, rovistare in quegli Anni Trenta i cui prodotti, ora recuperati dai revivals di moda, hanno già un valore quasi archeologico? Come si divertivano gli italiani nel famoso decennio che, ci piaccia o no. ha il tetro segno del littorio in ogni sua manifestazione? « Era un mondo cosi differente dall'attuale, dice la già famosa attrice, che è impossibile fare raffronti ». D'accordo, gli scavi costano fatica, ma lei è stata protagonista anche di quell'epoca; un piccolo sforzo, vediamo come funzionava il teatro in quel periodo, senza trascurare il cinema, nel quale, sia pure negli scampoli di tempo, lei ha dato prove che i critici odierni stroncano con ferocia (Claudio Carabba l'ha definita « la detestabile Merlini»; ma che il pubblico ha però accolto con gran favore. « Il cinema non mi ha mai interessato molto, dice con voce ferma; non ho mai riveduto uno dei film che ho interpretato; ero sgomenta al solo pensiero di vedere il mio volto sullo schermo ». Nemmeno La segretaria privata, il suo primo e più noto film? « Soprattutto quello; per realizzarlo Stefano Pittaluga, il produttore, mi versò diecimila lire, che anche per quei tempi erano pochine, glie lo assicuro ». Il cinema, però, le consentiva di arrivare a pubblici più vasti, anche in zone dove di solito non giungeva con le compagnie di giro. « Forse è così, ma io ero e rimango un animale da palcoscenico, padrona di me, libera di esprimermi secondo la mia sensioilità; nel cinema si è passivi strumenti in mano del regista, che fa tutto, e questo non mi piace. Ora lavoro per la televisione, ma non con molto entusiasmo; preferisco la radio, perché posso trasmettere con la voce ciò che ho dentro ». Però il successo avuto allora in film come Cercasi modella, Una notte con te, ma soprattutto in Paprika, l'avranno lusingata, penso. « Non eccessivamente, mi creda; ci mettevo tutto l'impegno per riuscire credibile, ma non ero mai soddisfatta di me stessa. Per fare "Paprika", ad esempio, ho faticato non poco. Era il 1934, e ci eravamo trasferiti a Berlino per realizzare alcune scene. Il regista E. W. Emo ebbe la bella pensata di inserire un improvvisato intermezzo di danza, e così dovetti inventare lì per li una czarda, io che non avevo mai preso lezioni di danza. Renato Cialente e Vittorio De Sica si divertirono a vedermi sgam- bettare, ma io ho sudato davvero per muovermi al ritmo dei violini tzigani ». Nella conversazione, un po' frammentaria. Elsa Merlini introduce spesso e inopinatamente osservazioni sul suo cane, o la descrizione di gatti randagi. E' il suo modo per interrompere il discorso, che torse le pesa. Perché, ad esempio, ha sentito il bisogno di raccontarmi quest'episodio della czarda? « Per fare un raffronto tra l'attore di allora e quello di oggi; non sapevamo ballare, nel senso che non eravamo andati a scuola di danza, ma avevamo un tale tirocinio d'arte che riuscivamo a sostenere qualsiasi ruolo, anche il più difficile ». Elsa Merlini non è tenera con il teatro attuale, lo trova facilone, corrivo, inteso a stupire, non a convincere. « Il teatro è una cosa seria, dice, e nei dieci anni che la interessano lo abbiamo fatto sul serio, pagando di persona se sbagliavamo che so, la scelta di un copione, o l'attribuzione di un ruolo ». Non le pare che, oltre ad un cinema, ci fosse in quegli anni anche un teatro dei « telefoni bianchi »? « Scherza, quel decennio fu tra i più prodighi di autori italiani di grande statura ». ,4/ di fuori di Pirandello, firma valida ancìie per palcoscenici cosmopoliti, il resto, cioè il cosiddetto teatro storico in versi, non aveva grande respiro, osservo. Nemmeno la tanto conclamata Cena delle beffe di Sem Benellì può non essere considerala altro che opera rappresentativa di un certo gusto; sema parlare delle imitazioni. Cento giorni di Giovaccliino Forzano, e II beffardo di Nino Berlini. « D'accordo, ma non tutto il teatro italiano era Benelli, Forzano, Berrini; c'erano alcuni autori, come Chiarelli, Viola e De Benedetti, che sapevano tenere degnamente il loro posto nel teatro leggero, e v'erano altri, come Rosso di San .-icondo, che non avevano da invidiare nulla ai loro più celebrati colleghi stranieri ». Lei afferma quasi di continuo ài essersi fermata a La piccola città, ma quali altri ruoli e autori ha amato durante la sua attività teatrale? « Pirandello, ad esempio. Facevo "La signora Morii una e due", ed ogni sera impazzivo con quel personaggio ambiguo, sfuggente; mi pareva di avere la brace sotto i piedi, o di essere appesa ad un trapezio dal quale sarei potuta cadere per un nonnulla, una battuta detta con impostazione sbagliata della voce, ad esempio. Ma quel pericolo era la droga che mi teneva su. In "Una cosa di carne", di Rosso di San Secondo, sentivo di dare il meglio di me stessa, e mi esaltavo ogni sera al punto che, insistendo, credo sarei impazzita ». Il pubblico capiva questa vostra tensione, l'apprezzava? «Certo più di quanto faccia il pubblico di oggi, che accetta tutto ciò che gli danno senza reazioni, quindi senza partecipazione ». C'è tanta differenza nel pubblico che frequenta ì teatri di oggi da quello che veniva ad applaudire lei? «Abissale; anche se ringiovanissi, non credo che saprei adattarmi». Forse la differenza consiste anche nel fatto che un tempo trionfava il divismo, ed oggi ha maggior peso il lavoro di equipe. « Sciocchezze, il divismo è sempre stato la molla di ogni successo. Una squadra di calcio con Pelé esercita maggior richiamo di un'altra che ne è priva, anche se gioca meglio; l'altra sera avrei abbracciato Cassius Clay, quando ha demolito Frazier, perché è un divo dei pugni. La gente, oggi, va a teatro non si sa bene perché, forse per gli spettacoli stravaganti che gli propinano i registi moderni, gente che pensa solo a stupire, non ad arricchire culturalmente il pubblico. Dei registi di oggi ne salvo due; Luchino Visconti che dalla carrozzella di invalido, col megafono, riesce a fare film come "Gruppo di famiglia" ed ora sta facendo "L'innocente" allo stesso modo, e Giorgio Strehler, che davvero crea spettacoli teatrali degni ancora di questo nome. Per il resto c'è buio assoluto ». Voi, forse, vivevate in una torre d'avorio dove coltivare l'arte come un fiore di serra destinata a pochi. «No, facevamo dei pienoni che oggi sarebbero inimmaginabili, e non c'era differen¬ za tra poltrone, palchi e loggione. Chi veniva a teatro se ne intendeva, e ci veniva per noi, l'attore era il grande richiamo, ancor più dell'autore ». Torniamo al discorso sul divismo. « Perché non ripeterlo? Pensi ai nomi che hanno dato vita al teatro di quel decennio; gliene faccio qualcuno. Ruggero Ruggeri, Ermete Zacconi, Memo Benassi, Alessandro Moissi per stare fra i drammatici; Gandusio, Falconi, Besozzi, Melnati, Tofano per citare i più noti attori brillanti ». Non ha citato nemmeno una signora. « E' vero, forse l'ho fatto di proposito ». Sorride socchiudendo gli occhi e stirando le labbra; è ancora la « gattina siamese » di allora, voluttuosa certo, ma con gli artiglietti appena celati dal velluto della zampina e subito sguainati. E se le domando chi, fra i suoi colleghi d'oggi salverebbe, alza le spalle con gesto di fastidio. « Mi dicono che Giancarlo Sbragia riprende "Piccola città". Sbragia è bravo, nulla da eccepire, ma non so se reggerà il paragone con Renato Cialente. Mi dicono che, alla fine, aggiungerà alcune epigrafi della " Antologia di Spoon River ". Ma che c'entra il cimitero di Lee Mas- j ters con la città di Thorton ' Wilder? ». Vedo che il discorso tor- \ na sempre ad un punto fermo, il suo amore per Piccola città. Abbassa il capo, sorride, mestamente questa volta. « Glielo ripeto, e sono sincera; mi sono fermata a quel mio incontro con Wilder. La sera della prima, a Milano, Cialente ed io ri- ! schiammo il linciaggio di un pubblico inferocito, ma venne poi il successo delirante ». Era valore artistico della \ commedia o merito suo? i « Wilder divenne mio caro amico quando lo incontrai ! a Milano, dopo la guerra. Diciamo che fu un felice incentro tra un testo ed una interprete ». Può ancora avverarsi una condizione cosi ■ favorevole fra un'attrice e ! l'Emilia di Piccola città? « Non le rispondo, ho già troppi nemici fra i miei colleghi ». ! Francesco Rosso i l fil lb d A Elsa Merlini nel film «L'albero di Adamo» (1936)

Luoghi citati: Berlino, Emilia, Milano, Roma, Trinità