Il Papa non va da Franco di Vittorio Gorresio

Il Papa non va da Franco Il Papa non va da Franco E' il modesto pensiero filosofico che sul rapporto di causa ad effetto mi venne in mente quando da Zurigo, città di Zwingli e quindi los voti Rom quanto più si può essere, mi accadde di seguire la polemica italiana su quel che avrebbe dovuto fare il papa per impedire a Franco di fucilare i suoi prigionieri politici. Pare che avessc telefonato al Caudillo tre volte, e perfino ili notte: « Ma non doveva telefonare, doveva andare. Era così chiaro che doveva andare », secondo l'opinione di Natalia Ginzburg. contraddetta da molti: «E così, ecco il papa trasformato in una specie di Kissinger della fede », obiettava un lettore milanese. « Pretendere che un nonio investito del potere universale e della prerogativa di infallibilità vada di persona in un paese straniero a chiedere clemenza è un enorme assurdo », scriveva un altro. Pacato e accomodante, Giancarlo Zizola interveniva su // giorno: « Un viaggio a Madrid Paoli: VI lo avrebbe forse fatto se fosse stato convinto che sarebbe servito allo scopo (...). Ma per un papa non è facile muoversi di casa, anche se lo volesse ». Senza ombra alcuna di irriverenza per il papa né di polemica con Zizola, direi che questo è un argomento che la pensare al re di Pascarella. quel Ferdinando d'Aragona marito di Isabella la Cattolica ile si scusava con Cristoforo I Colombo per non poterlo aiutare, come avrebbe voluto, nella scoperta dell'America: « per esse re, so' re, min c'è quistione ma mica posso fa' quer che me pare ». Ma a un papa, proprio perché investito del potere universale e della prerogativa di infallibilità, nessuno può vietare una partenza, né lo può trattenere la paura di fallire allo scopo. Se no, nemmeno San Leone Magno quindici secoli fa (a.D.455) sarebbe andato ad Aquileja per dissuadere Attila dal calare al saccheggio di Roma. Un papa tenta, in qualità di sacerdote e di I padre, pur senza alcuna garanzia di successo, come spiega benissimo il cardinale Federigo a don Abbondio nel venticinquesimo capitolo ilei Promessi sposi. La verità è, purtroppo, che il terribile Attila essendo barbaro e non nato cristiano era più rispettoso del pontefice di Roma di quanto si dimostrine talvolta reyes catolicos e dittatori cattolicissimi. Il sacco di Roma da cui Attila si astenne fu infatti perpetrato, a.D. 1529, dai mercenari di Carlo V. un re cattolicone che Clemente VII papa del tempo non riuscì a fermare, tanto che fu costretto a rifugiarsi in Castel Sant'Angelo sotto la protezione del bombardiere Benvenute Cellini. Ora, purtroppo, Franco discende ila Carlo V e non da Attila e perciò di rispetto per un papa in quanto tale ne ha ben poco, personalmente, poi per Paolo VI men che nulla. Franco ha con lui da tredici anni un tenace rapporto di rancore. In settembre del 1962, G. B. Montini cardinale arcivescovo di Milano ebbe occasione di rivolgersi al Caudillo per salvare la vita allo studente catalano Jorgc Conili Valls che, per avere fatto esplodere iluc bombe carta ai piedi ili un monumento a Franco, era equamente stato condannato a morte. Montini per telegrafo pregava di usare ogni possibile clemenza ed inoltre ammoniva: « Sia chiaro che l'ordine pubblico in un paese cattolico può essere difeso diversamente che in Paesi senza fede e senza costume cristiano». A simili bellissime parole buone anche per oggi. Franco reagì alla sua maniera: graziò il giovane Jorgc Conili Valls, ma dal ministro degli Esteri Castiella fece spedire al cardinale di Milano un telegramma che sarebbe poco definire irriguardoso. Difatti protestava fieramente per le ingerenze ili Montini nelle cose spagnole, e la protesta contro un cardinale, se è formulata da un capo di Stato cattolico, è almeno pari a un'insolenza. E' che questi sovrani protettori della fede hanno svelta la lingua e la mano pesante nei confronti di papi, cardinali e religione: l'imperatore d'Austria, maestà apostolica se non mi sbaglio, addirittura esercitava da Vienna un diritto di veto quando in conclave si doveva eleggere un vicario di Cristo. E' quindi meglio per un papa aver da fare con i miscredenti, e mi sento di dare pienamente ragione a quel lettore milanese che così con¬ I eludeva la polemica sul viaggio mancato di Paolo VI a Ma- driil: « Diciamo piuttosto che la Chiesa ha cominciato a sbagliare in Spagna trentanove anni la. quando ha creato un mostro che ora le si è rivoltato contro ». Ecco il rapporto di causa ad effetto di cui dicevo: e forse è il diavolo, quel mostro, che Paolo VI ha temuto sempre e che non è riuscito a esorcizzare adesso al termine della sua lunga ossessione. Due intere pagine dell'Osservatore Romano, la sesta e la settima, intitolate « Fede cristiana e demonologia », opportunamente illustrate da una riproduzione del diavolo dipinto da Michelangelo nel Giudizio Universale della Cappella Sistina, erano state dedicate ancora il 26 giugno di quest'anno a dare la conferma che il diavolo csi-1 ste come persona. Tre mesi j dopo, fine di settembre, ecco | affrontarsi il papa e il diavo- | lo, come già aveva presagitiPaolo VI tre anni fa in due grandi discorsi demonologia: il fumo di Satana è davvero penetrato in quel tempio di Dio che è la Spagna cattolicissima. Mi pare non improprio lare punto qui. dovendo anch'io pensare al mio diavolo. Oltre ad un angelo custode io credo infatti che ciascuno di noi abbia alle costole un diavolo, lino dalla nascita. Oso sperare che il mio non sia il più perfido, voglio augurarmi che dopo il cancro che mi aveva messo in bocca a tradimento ora mi lasci in pace un po' di tempo, a sua discrezione, s'intende, ma possibilmente a lunga. Per meglio propiziarmelo, gli dedicherò anzi una delle più belle Littinies de Satan ili Baudelaire: « Pére adoptif ile ceux qu'en sa noire colere / du parailis terrestre a chassé Dieù le Pére, o Satan, prcnds pitie de ma longue misere... ». . tìnsi soìt il, così sia. Vittorio Gorresio (7 - fine)