Per le sue ricerche in campo oncologico di Franco Giliberto

Per le sue ricerche in campo oncologico Per le sue ricerche in campo oncologico Va a un italiano (emigrato) il Nobel 75 per la medicina Il prof. Renato Dulbecco, nato nel 1914 in provincia di Catanzaro, si è laureato a Torino ■ Nel 1947 si recò negli Stati Uniti e prese la cittadinanza americana - Ora lavora in un centro di ricerche a Londra - Premiati con lui 2 scienziati statunitensi (Nostro servizio particolare) Stoccolma, 16 ottobre. (w.r.) L'Istituto Karolinska di Stoccolma ha assegnato il premio Nobel 1975 per la medicina. Il riconoscimento è andato congiuntamente ai professori Renato Dulbecco, David Baltimore e Howard Temin «per le loro scoperte sulle relazioni tra il virus tumorale e il materiale genetico delle cellule». Renato Dulbecco è nato a Catanzaro il 22 febbraio 1914 ed ha compiuto gli studi universitari a Torino ove tra il 1940 e il 1945 è stato poi assistente di patologia all'università. Trasferitosi negli Stati Uniti ha insegnato tra l'altro all'Istituto di tecnologia della California. Attualmente esplica la sua attività presso il laboratorio per le ricerche sul cancro di Londra. David Baltimore è nato a New York il 7 marzo 1938 ed è laureato in biologia e microbiologia. Attualmente esplica la sua attività presso il Centro ricerche sul cancro dell'Istituto di tecnologia di Cambridge negli Stati Uniti. Howard Temin è nato il 10 dicembre 1934 a Filadelfia, negli Stati Uniti, e si è laureato all'istituto di tecnologia di Pasadena in California. Attualmente è professore di oncologia presso l'università di Wisconsin, negli Stati Uniti. I tre premiati divideranno tra loro l'ammontare del Nobel 1975, poco più di 630 mila corone, pari a circa 90 milioni di lire. Un italiano premio Nobel per la medicina, notizia quasi incredibile: dove esiste nel nostro Paese un istituto o un centro di ricerca che possa far crescere — mettendole a disposizione i mezzi per lavorare — una mente scientifica ben dotata? Renato Dulbecco, virologo, nato «per caso» a Tropea (Catanzaro) nel 1914, ma vissuto in Liguria fino al liceo e a Torino per l'università, si è posto la domanda nel 1947, quando è emigrato negli Stati Uniti. Oggi, alla notizia che gli è stato assegnato il premio Nobel per le sue «scoperte sull'interazione fra i virus e il materiale genetico delle cellule tumorali», bisogna aggiungere che è cittadino americano dagli Anni Cin-1 qua?ìta. Il Nobel lo ha avuto ex aequo con due americani «veraci», un tempo suoi allievi, i professori David Baltimore e Hoicard Temin. «Che impressione fa ricevere una notizia del genere?» gli abbiamo chiesto ieri raggiungendolo per teletono a Londra. «E' una cosa indescrivibile, fantastica», dice con voce allegra. «Ma lei non aveva avuto sentore, giorni fa, d'esser fra i candidati al Nobel?». Risponde senza tentennamenti: «Oh no, il comitato per l'assegnazione del premio lavora con tanta e tale discrezione da non lasciar mai filtrare anticipazioni. Soltanto a mezzogiorno, all'Imperiai Cancer Research Fund, dove lavoro ormai da quattro anni, ho avuto un avvertimento che mi ha messo un po' in agitazione: il telegramma enigmatico di un amico di Stoccolma, che diceva e non diceva, che mi lasciava sulle spine». Dulbecco si è laureato all'Università di Torino nel 1936, a ventidue anni, con «110 e lode e dignità di stampa». Fu allievo del professor Levi, nell'Istituto d'anatomia, e del cancerologo di fama internazionale Morpurgo. Dopo la laurea divenne assistente dei professori Vanzetti e Mottura e per le sue pubblicazioni scientifiche vinse un premio della «Fondazione Rockefeller», che gli consentì di trasferirsi negli Stati Uniti, assieme alla moglie (Giuseppina Savio, figlia dì un noto industriale di Imperia). In America lavorò dapprima in un centro di ricerche di un'università dell'Indiana, con studi e sperimentazioni tanto brillanti nel campo della microbiologia da esser richiesto, nel 1949, al «California Institut of Technology» e successivamente (nel 1954) all'istituto di studi biologici del professor Salk. Commenta: «E' difficile, in poche parole, raccontare l'impegno di studio di un uomo. E poi nel mio caso non mi sembra necessario. Se mi sento italiano Non c'è bisogno di fare una domanda simile. Ogni anno, quando posso, in occasione di congressi o incontri scientifici ritorno in Italia con grandissimo piacere. Sono legato alla Liguria, dove abita una mia sorella e dove ho passato gran parte della mia gioventù. Sono molto affezionato a Torino, dove è nata la mia passione per la scienza; al Piemonte, perché a Cuneo ho mio fratello Antonio, endocrinologo all'ospedale Santa Croce. Il discorso sulla "fuga dei cervelli" dall'Italia è stato di grande attualità anni addietro; lo è ancora oggi, ma in misura minore per fortuna. Comunque mi tpgcgbsnsembra di poter dire che si ! tratta di un male inevitabile I per ogni Paese che non abbia | grandi risorse economiche e i che sia costretto, come impe-1 gni prioritari, a risolvere prò- j blemi ben più umili (ma lo i stesso importanti) di quelli1 ne ha la ricerca scientifica», j Chiediamo a Dulbecco: ; «Questa è una domanda che forse non bisognerebbe mai fare a un ricercatore "puro": i suoi studi sull'origine del cancro promettono di dare presto dei risultati definitivi, di consentire delle applicazio ni pratiche?». «Ha ragione lei, sono inter- j \cede poco. I premi Nobel nonrogativi ai quali nessuno scienziato ancora immerso nel lavoro di ricerca dovrebbe rispondere. Nel campo della cancerologia sono state fatte troppe promesse, mai mantenute. Un esempio è venuto persino da Sabin, che ha "ritirato" le sue ipotesi sull'origine virale del cancro dopo il clamore di un suo annuncio in questo senso. La verità è che il sistema di controllo della cellula è ancora sconosciuto in grandissima parte, anche se noi studiosi ne abbiamo sondato molti aspetti e siamo giunti a conclusioni parziali importanti. Sono convinto che fra qualche anno saremo in grado di dire con certezza se un virus può essere sicuramente responsabile di alcuni tipi di cancro. Usando il virus, nelle nostre ricerche abbiamo visto che diventa parie dell'unità cellulare, che origina delle proteine, che se lo si distrugge la cellula non cambia il suo carattere tumorale. Ma non siamo profeti, dobbiamo approfondire que-ste esperienze. Tutto ciò che ci può chiedere il grande pubblico è di lavorare seriamenté, con costanza, senza cerca-re pubblicità dannosa a noi e ai tanti malati che possono inutilmente illudersi per affermazioni avventate. Ebbene, io credo di lavorare così, seriamente». A Londra Dulbecco vive in un villino della periferia: nelle pause del suo lavoro si distrae con la musica e il giardinaggio. «Notizie di "colore" sul novello premio Nobel — dice maliziosamente — sono soltanto queste: suono il piano da dilettante e mi occupo di botanica, l'hobby di moda per gran parte dei londinesi». Ma chi lo conosce afferma che di tempo libero se ne con-: si assegnano ai patiti del wee-kend. Franco Giliberto Il dott. Renato Dulbecco nel suo laboratorio a Londra (Ap)