Compromesso per la Conferenza sulla cooperazione

Compromesso per la Conferenza sulla cooperazione Compromesso per la Conferenza sulla cooperazione Via libera da Parigi al vertice Nord-Sud (Dal nostro corrispondente) PaviRÌ, 16 ottobre. Il fallimento della preconferenza Nord-Sud sulla cooperazione internazionale è stato evitato stanotte alle ore piecole. La riunione si è conclu-, sa con un compromesso, do- ; po mezzanotte, ma in modo | positivo. Le dieci delegazioni riunite in Avenue Klélier (Usa, Cee, Giappone, Arabia Saudita, Iran, Algeria, Venezuela, Irak, Brasile, Zaire) hanno deciso dopo lo scontro I durato due giorni di formulare un accordo che ritiene sufficiente l'avvenuta preparazione della prevista conferenza. E' ratificato così che 27 Paesi sviluppati e in via di sviluppo terranno a Parigi la «Conferenza sulla cooperazione internazionale» il 16 dicembre; che vi parteciperanno diciannove Paesi in via di sviluppo e otto Paesi industrializzati; e che quattro commissioni saranno create — energia, materie prime, sviluppo, affari finanziari — per un lavoro permanente che verrà poi reso esecutivo da un'altra conferenza prevista alla fine del 1976. Si può parlare di successo? Certamente sì, considerando che il fiasco di aprile non si è ripetuto, e che diventa irreversibile la nascita di un nuovo organismo internazionale che ha il compito di istituzio-1 nalizzare il dialogo tra il co- j siddetto «Nord e Sud del mondo». All'epoca della sfida < tra Paesi sviluppati e in via di I sviluppo, tra consumatori di petrolio e produttori, succede un'epoca di presunta coopera-1 zione che appunto la Conferenza dovrà organizzare. Un meccanismo diplomatico si è finalmente messo in moto. Tuttavia il successo è reso molto limitato da una serie di cose. Anzitutto, la conclusione della preparazione è stata ottenuta da un documento che non registra un accordo ma il permanere di un disaccordo. La dichiarazione finale comprende infatti due appendici nelle quali i delegati del Terzo Mondo e gli Stati Uniti esprimono punti di vista ancora contrapposti sull'orientamento da dare alle quattro commissioni. In secondo luogo, nonostante la preconferenza non sia andata in crisi per l'esistenza del problema inglese, e si sia convenuto di tacerlo, Londra ha riprecisato ieri l'intenzione di presentarsi da sola alla Conferenza di dicembre, e non di farsi rappresentare dalla delegazione della Cee. In terzo luogo, le commissioni create nell'ambiguità si riuniranno solo in gennaio, non contemporaneamente alla conferenza di dicembre, e quindi possono essere «vuoti emblemi» se non vi saranno solidi accordi sugli orientamenti. Nell'insieme, si può quindi parlare di un successo diplomatico ancora formale che attende l'appello di dicembre per diventare sostanziale. Risolte le questioni di procedura, bisogna ancora trovare un accordo sulle questioni di sostanza. I Paesi industrializzati hanno infatti resistito al massimo per impegnarsi il meno possibile; i Paesi in via di sviluppo hanno invece concesso il massimo per impedire agli altri di disimpegnarsi. Si ha quindi una doppia situazione in sospeso. Da un lato, c'è l'accordo nell'ammettere il disaccordo. Da un altro lato, c'è l'impegno a continuare un «dialogo» anche se si tratta ancora solo di un «dialogo sul dialogo». Più che la volontà politica di far funzionare presto un organismo internazionale di cooperazione, s'è registrata la volontà politica di non distruggere un progetto di cooperazione potenziale. Scorrendo la dichiarazione finale si constata infatti che su due punti sostanziali si è raggiunto un compromesso privo di veri accordi. Il primo riguarda la dibattuta questione della competenza della quarta commissione, finanziaria, alla quale (come vuole il Terzo Mondo l c riconosciuto «il potere di esaminare i problemi finanziari degli Stati membri, compresi gli aspetti monetari» ma anche (come vogliono gli Stati Uniti) il dovere di «agire nel rispetto della competenza delle istituzioni internazionali, il Fmi e la Banca mondiale». Il secondo punto riguarda invece il problema degli osservatori, risolto con una lunga lista che comprende tutti, dalla segreteria delle Nazioni Unite all'Opec, dal Gatt al Fondo monetario, e che si presta a nuove ridiscussioni. La dichiarazione finale fallisce poi nettamente il proprio compito di preparazione nel quinto paragrafo: dove dice che «s'è convenuto di riserva}^ alla Conferenza futura il compito di fissare gli orientamenti generali al lavoro delle commissioni». Fallisce infine ogni accordo col lungo elenco di divergenze formulato nelle appendici. Esse riguardano soprattutto tre punti. Primo: il posto da riservare al prezzo del petrolio nelle discussioni della commissione per l'energia. Secondo: il modo di stabilizzare j | | I |jI per i Paesi industrializzati, e il modo di rivalorizzare per il j Terzo Mondo, il prezzo delle materie prime prodotte dai Paesi in via di sviluppo che i Paesi industrializzati vogliono stabilizzare e i Paesi del Terzo Mondo rivalorizzare. Terzo: come regolamentare il commercio tra «ricchi» e «poveri». In ogni modo, ora inizia la scelta dei 27 partecipanti. Per il Terzo Mondo, essa sarà fatta dal Gruppo dei 77 alle Nazioni Unite. Per i Paesi industrializzati è incaricata l'Ocse, cui spetta il duro compito di risolvere la questione inglese che mette l'Europa davanti a una pesante prova. Ma d'altra parte è scontato che molte tensioni accompagnino una conferenza che. per i problemi irrisolti e accumulati in partenza, la complessità dei compiti, le difficoltà oggettive del dialogo tentato, non avrà vita facile. Forse passeranno anni prima di registrare risultati concreti. Com'è destino di molte «conferenze di Parigi», e com'è avvenuto per la conferenza della pace vietnamita. A.lberlo Cavallari j Il premier inglese Wilson

Persone citate: Gatt