Adorno, l'arte come rivoluzione di Gianni Rondolino

Adorno, l'arte come rivoluzione Adorno, l'arte come rivoluzione Theodor W. Adorno: « Teoria estetica », a cura di Enrico De Angelis, Ed. Einaudi, L. 12.000. A cinque anni dall'edizione tedesca e a sei dalla morte dell'autore, esce ora in italiano questa Teoria estetica che Adorno andò componendo negli ultimi anni della sua vita, lasciandola parzialmente incompiuta, o meglio non compiutamente elaborata, sebbene la stesura definitiva sulla quale è basata l'edizione non molto differisca da quella che, con ogni probabilità — data la natura dell'opera e per espressa dichiarazione dell'autore —, lo stesso Adorno avrebbe sostanzialmente mantenuto se avesse potuto pubblicarla in vita. Si sa quanto la speculazione teorica sull'arte, in particolare sulla musica e sulla letteratura, con una serie di puntuali ricerche interpretative e di saggi filosofici illuminanti, abbia informato tutta l'attività di Adorno fin dagli anni della sua esperienza viennese, tanto che la sua critica della società del capitalismo avanzato e, al contempo, del socialismo burocratizzato, come si verrà elaborando sia negli Stati Uniti negli Anni Trenta e Quaranta, sia in Germania dopo il suo ritorno in patria nel 1950, rimanda continuamente al rapporto che, nell'arte, si stabilisce fra il singolo e la collettività, il particolare e l'universale, la personalità e la socialità. In questo angoscioso di-1 lemma della sopravvivenza dell'individuo all'interno di strutture sociali che ne distruggono l'autenticità, dilemma che è al centro della speculazione filosofica contemporanea, il pessimismo di Adorno, a differenza di quello di altri filosofi, si carica di valenze positive, e proprio nell'arte e nella sua funzione sociale trova il terreno più fecondo per un'analisi dall'interno delle contraddizioni del reale in vista di una loro «armonizzazione» critica, che reinserisce l'individuo nel ciclo vitale della storia. Per Adorno, che rifiuta le sistematizzazioni e vede l'impossibilità di costruire sistemi filosofici in un tempo, come l'attuale, che ha visto la fine degli assoluti, l'estetica deve essere non già un sistema normativo o, peggio ancora, una teoria del bello secondo la tradizione dell'idealismo tedesco, che pure egli riprende in larga misura, quanto piuttosto una «riflessione sull'immanenza delle opere». In questa riflessione, che è fruizione e interpretazione dell'arte, vengono a galla tutti i problemi che, da almeno duecento anni, cioè dalla fondazione del¬ l'estetica come scienza, hanno costituito il terreno privilegiato delle speculazioni filosofiche e delle teorizzazioni sull'arte. Le questioni concernenti l'esatta determinazione dei vari elementi che compongono un'opera d'arte — contenuto e forma, forma e tecnica, materiale ed espressione, particolare e universale, soggetto ed oggetto ecc. — sono rimesse in discussione in un diverso contesto di relazioni che legano la produzione artistica ai modelli attuali di produzione in una società di alta tecnologia e di elevata socializzazione. Questa Teoria estetica, che rivede le bucce alla filosofia dell'arte all'insegna della produzione artistica d'avanguardia, partendo dall'enunciato che «ogni opera d'arte autentica è intrinsecamente rivoluzionaria», va in sostanza alla ricerca di quella uauten ticità», propria ed esclusiva dell'arte come conoscenza della realtà diversa ma non contrapposta alla scienza, che costituisce il filo rosso attorno al quale si dispongono le numerosissime e stimolanti osservazioni di Adorno. E se, alla fine, rimane inafferrabile il «quid» che fa di un prodotto qualsiasi un prodotto artistico, sufficientemente analizzato è tutto il complesso di rapporti che consentono di definire non tanto la natura dell'arte, magari risalendo alla sua presunta nascita — come facevano le estetiche tradizionali —, | quanto il suo carattere di «alterità» rispetto agli altri strumenti elaborati dall'uomo per razionalizzare e conoscere il reale. Da qui deriva, infine, il discorso estremamente articolato sulle funzioni sociali dell'arte, sulla posizione dell'artista nella società contemporanea, sulla così detta «arte impegnata», con punte polemiche, alquanto esplicite, nei confronti di Lukàcs e di Brecht; da qui anche la valutazione positiva, sulla traccia delle indicazioni di Benjamin, delle esperienze dell'arte del nostro secolo, da Proust a Kafka a Beckett (a cui il libro è dedicato), da Schònberg a Boulez. Perché, se l'arte autentica è, come dice Adorno, rivoluzionaria, essa «diventa fatto sociale per via della sua contrapposizione alla società e quella posizione essa la ricopre soltanto come arte autonoma». In questa rivalutazione «politica» e sociale della funzione dell'arte, nella sua assoluta autonomia da ogni condizionamento esplicitamente politico e sociale, stanno il messaggio più vero e la grande importanza metodologica di quest'ultima opera di Theodor W. Adorno. Gianni Rondolino

Luoghi citati: Germania, Stati Uniti