Si recita Brecht e rispunta Charlot

Si recita Brecht e rispunta Charlot "Un uomo è un uomo,, a Milano Si recita Brecht e rispunta Charlot (Dal nostro inviato speciale) Milano, 16 ottobre. Nell'imbarazzo di scegliere fra tre o quattro spettacoli, non di più, gli austeri torinesi disertano Utopia e Farassino (non stupisca l'accostamento: per opposti motivi, sono le due sole proposte interessanti di questo inizio di stagione) e, dopo una visita di dovere a Macario o a Campanini, ripiegano magari sulla casalinga Tv. I frivoli milanesi, invece, che di anteprime e prime ne hanno a bizzeffe, le frequentano imparzialmente tutte, riempiendo i teatri anche quando, come ieri sera, un film e una partita di calcio avrebbero potuto trattenerli davanti al televisore. E non è che ci siano grandi novità (gli ardimentosi infatti affrontano la nebbia per andare a Torino a vedere lo spettacolo di Ronconi): il menu è sempre lo stesso, i piatti forti sono ancora Brecht e Pirandello. Accade persino che questi : due autori te li ritrovi insie me o che uno richiami irresi i stibilmente l'altro: ad esem- pio, in Un uomo è un uomo, che la compagnia della Loggetta di Brescia presenta al Pier Lombardo (un altro teatro con un programma densissimo) è abbastanza chiaro che quando, tra il '24 e il '26, Brecht scriveva questa «Commedia gaia», era già un'idea corrente che l'individualità può essere tolta e mutata e che « Di un uomo si può fare ciò che si vuole». E Pirandello torna ad affacciarsi quando, a furia di metamorfosi (e il testo di Brecht ne è pieno), si spiega che nella società capitalistica un uomo vale un altro, e «Uno è nessuno, bisogna che qualcuno lo chiami» e il libretto militare fa parte della personalità a maggior diritto dei propri affetti e pensieri. Più «politico» di Pirandello, dal canto suo Brecht aveva già allora intuito che non solo si poteva privare qualcuno della personalità, ma anche , I che innocui borghesi poteva- no essere trasformati in san guinari «robots», come appunto il protagonista di Un uomo è un uomo il cui autore, ancora fresco di espressio nismo, ammoniva contro i pericoli di un collettivismo per il quale un uomo «se non lo terremo d'occhio potrà anche avvenire che ce lo troviamo I in una notte trasformato in ! un assassino». Come puntualmente sarebbe accaduto di lì a pochi anni, tanto che nel '36 lo stesso Brecht suggeriva che la metamorfosi dello scaricatore portuale Galy Gay in «macchina da combattimento umana>) potesse aver luogo in Germania anzichè nell'India kiplinghiana uscita dalla sua fantasia Ma non tant0 di questo Brecht di quaiche anno più tardl< quarKj0, come avverte il regista Massimo Castri, cercava di riassorbire i suoi primi testi in una visione tutta ortodossa, ha voluto tener conto lo spettacolo della Loggetta, quanto del Brecht per così dire premarxista che si divertiva a ricuperare molto liberamente gli «archetipi popolari» del suo tempo. E fra questi «materiali pop», come anche li definisce il Castri, c'era prima di tutto il cinema. Così, mentre la vedova Begbick (per altro non adeguatamente interpretata da Clara Zovianoff) assume atteggiamenti j„ ™,,4-„ r*r>T, da vamp del muto, Galy Gay |diventa senz'altro Charlot, con tanto di bombetta, bastoncino e baffetti. Il che andrebbe benissimo non soltanto perché a questa identificazione il Castri cerca di arrivare per linee interne, e non sulla base di facili accostamenti, ma anche perché sembra aver capito che Charlot è sostanzialmente ambiguo, si pensi soltanto alla sua cattiveria, quanto può esserlo Galy Gay e altrettanto conti- jnuamente in bilico tra il comico e il patetico, tra l'allegria e la disperazione. Ma è appunto questa morbida ambiguità che Castri, che ha già dato eccellenti prove del suo talento, avrebbe dovuto mostrare e invece lo spettacolo è di una rigidità e di una freddezza che non concedono nessuno spiraglio al riso o alla i | : commozione. E, a parte la strenua bravura dell'attore Salvatore Landolina, la silhouette chapliniana risulta soltanto sovrapposta e mai compenetrata con il perso-naggio di Galy Gay. Lo spettacolo non lievita non arrivando quasi mai, anche per colpa di una recitazione piatta e incolore nonostante l'artificiosa concitazione, a quello spessore fantastico che il regista, ricorrendo più alla tecnica del-lo straniamento che a quella del teatro epico dalla quale Brecht nel '25 era ancora lon-tano, avrebbe voluto dargli. Alberto Blandi

Luoghi citati: Brescia, Germania, India, Milano, Torino