Il miracolo della Siria di Igor Man

Il miracolo della Siria GLI "ALTRI,, ARABI DI FRONTE A ISRAELE Il miracolo della Siria Deve al civismo della popolazione e all'aiuto degli Stati fratelli una ripresa economica che conta su una solida agricoltura e su un non lontano decollo industriale (Dal nostro inviato speciale) Damasco, ottobre. Alla fine della guerra di ottobre, due anni fa, la Siria era un Paese in ginocchio. I bombardamenti israeliani avevano distrutto le principali infrastrutture del Paese, mandando in pezzi il piano di sviluppo industriale. A parte le gravi perdite in uomini e mezzi, la Siria aveva subito danni per duecento miliardi di lire italiane, una cifra considerevole se si tien conto che il reddito medio prò capite sfiora i 300 dollari l'anno. La grande raffineria di Homs, che valeva circa 75 miliardi di lire italiane, era distrutta. L'impianto occupava 2400 lavoratori e raffinava greggio per tre milioni di tonnellate l'anno. Sempre a Homs, era andata distrutta la centrale elettrica che produceva il quinto del fabbisogno nazionale di energia. Distrutti anche i terminali di Banias e Tartous, i serbatoi di carburante del porto di Lattakia, il serbatoio di derivati dal petrolio a Nord-Est di Damasco. Nella stessa capitale le rovine non erano poche, mancavano la luce e il petrolio, l'ira e la frustrazione dominavano gli animi. « Ci vorranno anni e anni prima che l'economia siriana possa tornare sugli ultimi livelli », scrivevano gli esperti internazionali. Il regime del presidente Hafez El Assad sembrava in pericolo: lo contestavano parte dei militari e l'ala estremista del partito Baas. Il 26 ottobre 1973, venerdì, Assad riapparve in pubblico per la prima volta dall'inizio della guerra recandosi nella grande moschea degli Omayyadi per la preghiera del Fitr, la festa che segna la fine del Ramadan, la quaresima dei musulmani. Indossava la divisa da campagna, era grave in volto, lui che di solito ama mostrarsi sorridente. Al termine della cerimonia religiosa, il ministro del culto fece ripetere tre volte, in coro, ai ministri, ai militari, ai dirigenti che attorniavano Assad. questo giuramento: «Dio ci è testimone: noi proclamiamo fedeltà al nostro capo, il presidente Assad. Noi giuriamo di vincere o morire ». Quel giuramento pubblico di fedeltà sembrò tradire lo stato di insicurezza del regime, la precaria situazione del suo leader. Un autorevole giornale americano scrisse: « Il dramma della Siria forse non è ancora giunto al suo epilogo ». Il giornale si sbagliava. Il giuramento pronunciato nella moschea doveva, infatti e presto, rivelarsi come un autentico impegno di lavoro volto innanzitutto a riparare i gravi guasti provocati dalla guerra, come un serio «voto di fiducia» al regime di Assad. Nella prima metà del 1974 l'opera di ricostruzione era completata; il 16 novembre 1974 Assad celebrava trionfalmente il quarto anniversario della sua nomina a capo dello Stato. (E si appresta a celebrare il quinto in un clima di rinnovata fiducia, nel segno di una ripresa economica invero straordinaria). Due elementi fondamentali hanno consentito la rapida ricostruzione: il civismo della popolazione, la serietà e l'onestà degli amministratori, gli aiuti dei Paesi fratelli. I grandi « ufficiali pagatori » sono tutti arabi ma di estrazione politica eterogenea: Arabia Saudita, Kuwait, Abu Dhabi, Algeria, Libia, gli emirati del Golfo per citare i più importanti. Alla ripresa economica hanno contribuito anche i Paesi del blocco socialista soprattutto con forniture a credito agevolato. Dicevamo del civismo dilla popolazione, dell'onestà degli amministratori: non un soldo è andato disperso, nessuno ha intrallazzato. Stimolati da precise quanto inflessibili direttive del presidente Assad, i vari ministeri all'indomani del «giuramento» spedirono all'estero missioni incaricate di acquistare immediatamente tutto il ma- ! teriale di cui la Siria aveva ! un bisogno urgente: camion- \ cisterne, gruppi elettrogeni, i motopompe, compressori macchine per l'edilìzia ecc. I Poi, lavorando veramente j notte e giorno, hanno impo- I stato, messo a punto e con- I eluso diverse centinaia di 1 contratti legati a progetti la cui realizzazione era attesa da anni. I il settore privato concorre j per almeno un terzo alla fot Io guerra combattuta con ! valore contro i « mostri sa- j cri» israeliani, nonostante \l'esito catastrofico anziché deprimere la Siria ha sortito l'effetto di una frustata benefica. Cosi l'economìa siriana non soltanto si è ripresa nel volgere di pochi mesi ma è riuscita a schiudersi orizzonti più che « promettenti »: quelli di un Paese dotato di un'agricoltura solida, non sprovvisto di idrocarburi, esportatore di energia elettrica grazie alla diga dell'Eufrate, non lontano dalla soglia del decollo industriale. Ma il « miracolo siriano » non sarebbe stato possibile sema la politica di apertura economica voluta da Assad. Iscritto dal 1946 al Baas, il partito socialista siriano fondato da Michele Aflak e Salah Bitar, il presidente Assad, anziché insistere sul carattere « rivoluzionario » dell'ideologia baasista preferisce sottolineare il ruolo che i singoli individui. « garantiti nei loro diritti fondamentali », son chiamati a svolgere nella trasformazione della società. «Alcuni pensano, afferma, che il socialismo annulli l'iniziativa privala, al contrario io penso che possa e debba incoraggiarla. E' necessario stimolare i talenti, bisogna che gli j individui partecipino alla at- I tività dello Stato poiché lo j ! Stato sono i cittadini ». In effetto oggi, in Siria, 1 inazione del prodotto nazio ì naie lordo e il regime va ap I poggiandosi sempre di più i sulle classi medie che « pre ' mia » con una cauta ma evi- \ ' dente liberalizzazione della j ! vita economica e civile. So- \ \ no state attenuate le restri- ] I zioni doganali e valutarie ! imposte al commercio con j l'estero. I privati sono auto rizzati ad importare diretta mente dagli esportatori. Una 1 legge, approvata dal Consi i glio del Popolo, garantisce ferreamente gli investitori arabi e stranieri. L'autarchia praticata dal gruppo dirigente (Atassi, Zouayen. Jedìd) spodestato da Assad senza colpo ferire nel novembre del 1970, aveva isolato la Siria dagli altri Paesi arabi, dal resto del 1 mondo. La dittatura del par I tito unico, il Baas, deposita rio della verità in senso as ! soluto, secondo Atassi, ave ! va scavato nel Paese un sol j co profondo tra i dirigenti ! e le masse. Tenuta al mar j gine degli avvenimenti, la popolazione era piombata in I un cupo lassismo che esaspe j rava la divisione fra setta e setta, tra città e città. (In Siria non esiste una popola| zione omogenea: l'abitante di \ Damasco, volubile e ironico I è diverso da quello di Alep- po, ortodosso e litigioso, così come i nativi di Laltakia son mediterranei mentre gli abitanti di Homs sono asiatici. Fra un centro e l'altro corrono brevi distanze ma bastano a diversificare i dialetti, le usanze, la vegetazione, il clima, il modo di vestirsi e financo la maniera di camminare) Il vecchio gruppo dirigen- j te viveva in ima sorta di minaccioso anonimato, go- \ vernando col terrore poliziesco. Assad ha voluto che la sua assunzione alla suprema magistratura venisse sancita da un plebiscito; ha restituito al popolo le libertà formali (la gente finalmente re¬ spira) e si è sforzato, con successo, di « personalizza re » il potere. Assad parte dal principio che nei Paesi sonalizzazione » del potere è una necessità inderogabile: qualsiasi politica, qualsivo olia ideologia non può rima nere astratta; se vuol mobi- , in via di sviluppo la «per , litare le masse deve incar- I narsi in un capo. Assad non si presenta come il leader clel Baas ma come n cataliz- j satore di tutte le f°r-e Pro" 1 gressiste, di tutte le istanze nazionali. Con Assad la Siria, famosa per la frequenza dei cambiamenti di regime e di governo fin media un colpo di Stato l'anno) ha trovato per la prima volta nella sua breve storia di Stato indipendente stabilità e continuità. Il presidente-generale ha stabilito non solo un primato di durata, ma è riuscito a consolidare il proprio potere personale e quello del gruppo egemone (la minoranza alauita che fa capo a lui) « al di là di ogni prevedibile insidia ». Assad non ha difeso il suo regime soltanto con la repressione o con accorgimenti tattici: i risultati più significativi e durevoli li ha ottenuti con un'abile politica diretta ad allargare la base del consenso popolare. Nessun capo di Stato siriano ha goduto di un prestigio cosi autentico e diffuso come Assad. Con lui, i cittadini di ogni ceto, in particolare i piccolo-borghesi, si sono effettivamente avvicinati al « palazzo », si sono scoperti « la vocazione di essere innanzitutto siriani ». Baasisti e comunisti, nasseriani e senza partito, tutti sembrano richiamarsi alla « nuova società » postulata da Assad, « libera, genuinamente socialista» e interclassista. Ma la « nuova società » potrà realizzarsi compiutamente solo quando la Siria avrà recuperato tutti i suoi territori e i diritti legittimi del popolo palestinese saranno stati riconosciuti, ammonisce Assad. E qui il discorso si fa difficile. La Siria non rifiuta in linea di massima n negoziato ma non vuole un accordo « come quello del Sinai ». Finché Kissinger non porterà « qualcosa di più che assicurazioni o suggerimenti ». il presidente Assad continuerà a mostrarsi intransigente. Sennonché l'applicazione al Golan del metodo kissingeriano dipende da un complesso di fattori che supera e di molto la disponibilità di Damasco e an che quella di Israele. Oltre Me obiettive difficoltà diremo topografiche, è in giuoco tutta una serie di condi- zionamenti politici e strategici. In questo quadro, la Siria, oggi, è senz'altro più debole di sette mesi fa. quando l'accordo del Sinai appariva ancora lontano. Igor Man