Dopo i soldi dello Stato quelli dei sequestrati di Nicola Adelfi

Dopo i soldi dello Stato quelli dei sequestrati I NUOVI "RACKETS,, DELLA CALABRIA Dopo i soldi dello Stato quelli dei sequestrati (Dal nostro inviato speciale) Reggio Calabria, ottobre. Che pensava Mussolini del Mezzogiorno? A domandarglielo fu un redattore del Mattino a Napoli pochi mesi prima della « marcia su Roma ». E questa fu la risposta di Mussolini: « Se il Mezzogiorno non esistesse, bisognerebbe crearlo. Esso è in primo luogo la grande riserva demografica della Nazione. Quindi una riserva di braccia, quindi una riserva inesauribile di soldati ». In altre parole, il compito principale che Mussolini assegnava ai meridionali era fare figli, produrre carne da cannone. Coerentemente per tutto il ventennio fascista il Mezzogiorno, se si eccettuano episodi locali, fu lasciato nel suo immobilismo e alla sua prolificità. La Calabria in modo particolare. Caduto il fascismo, Pietro Tìmpano poteva scrivere su II ponte di Calamandrei che « la bassa statura, il basso peso, la deficienza toracica riscontrati per decenni nei soldati calabresi erano dovuti non a caratteri etnici, ma a condizioni sfavorevoli (...). Dove l'acqua potabile è scarsa e lontana dall'abitato, dove non esistono fognature, dove la nettezza viene trascurata, dove la scuola è insufficiente, dove la casa è antigienica; la salute e l'economia del popolo ne soffrono profondamente... ». Interminabile è il quaderno delle doglianze dei calabresi nei confronti dello Stato. Zanotti Bianco, che non era meridionale ma dedicò la vita ai problemi del Mezzogiorno, sì recò nel 1909 a visitare minutamente la Calabria e più tardi scrisse: «Fin da allora uno dei problemi che più mi avevano colpito era stato quello dell'insegnamento elementare che i maestri — poveri e infelici quanto i loro villaggi — erano costretti a impartire senza poter disporre di edifici scolastici né potersi assicurare un alloggio. E' spaventoso dirlo, ma la Calabria non possedeva allora che un solo edifìcio scolastico costruito ad hoc: quello di Laureana di Borrello». Dall'unità d'Italia al 1908 lo Stato aveva speso più di due milioni e mezzo di lire per sussidiare l'edilizia scolastica, e di quella somma l'intera Calabria aveva ricevuto 250 lire. Proprio così: duecentocinquanta lire in mezzo secolo. Veniamo a tempi più recenti. Una ventina di anni fa, quando una alluvione rovinò mezza Calabria, ai contribuenti fu imposta una tassa addizionale per i rimedi più urgenti: da allora il fisco ha incassato 1300 miliardi, ma per la maggior parte sono stati spesi per altri scopi e in altre regioni Nonostante di 800 mila calabresi, i posti di lavoro nella Calabria sono diminuiti dal 1961 a oggi di oltre 100 mila unità, portando la popolazione attiva da oltre il 34 a meno del 30 per cento. Per la verità, negli ultimi 25 anni lo Stato ha speso parecchio in Calabria. Però male, e non sempre per colpe specifiche. Valga un esempio. Nell'immediato dopoguerra chi poteva immaginare che il nostro sarebbe l'emigrazione diventato il settimo paese industriale del mondo? Molta era allora la disoccupazione in un Paese per lo più agricolo, e nel Mezzogiorno c'era fame di terra, frequenti erano i conflitti a fuoco tra le forze dell'ordine e folle di contadini che col tricolore in testa, accompagnati da mogli e figli, occupavano i latifondi. Una volta, a Melissa, caddero uccisi un uomo, una donna e un ragazzo di 15 anni. Due ministri dell'Agricoltura, prima il comunista Fausto Gullo e poi il democristiano Antonio Segni, espropriarono 75 mila ettari nella Calabria e li divisero in lotti: poi su poderi di quattro o cinque ettari sorsero casette coloniche con la stalla e il forno. Ora sono quasi tutte abbandonate. Chi da Crotone sale verso Catanzaro incontra molte di quelle case vuote. Si direbbe che di là sia passato Attila con le sue orde di barbari. Dalle porte e dalle finestre sono stati strappati gli infissi, degli intonaci non resta che qualche traccia scura, poche le tegole sulle capriate. E tutt'ìntorno è il deserto: nessun albero, nessuna coltura, nemmeno un gregge. Un panorama di desolazione, ma che a suo tempo, una ventina di anni fa, costò un gran mucchio di denaro a un Paese ancora povero. Oliali le cause dell'abbandono in massa? Al pri- mo posto, la poca assistenza \ a un'agricoltura neonata. |Non basta dare una casetta e un podere a un contadino per assicurargli di che vivere. E' come piantare un arboscello, e poi abbandonarlo. L'acqua irrigua era poca, la meccanizzazione non si sapeva che fosse, inesistente la cooperazione, in definitiva scarsi i prodotti, e spesso venduti a un prezzo vile. Va anche detto che non sempre i poderi furono assegnati a contadini: li ebbero anche barbieri, fabbri, maestri, qualche professionista, tutta gente che nemmeno si sognava di lavorare nei campi. In quegli anni e in seguito, con un'agricoltura sfavorita nei riguardi di altri settori, l'abbandono della terra I si estese come una lebbra. Ora vedete casali grandi, con forti strutture, e ridotti nelle stesse condizioni delle casette costruite col denaro della riforma fondiaria: anche in quelle vaste costruzioni rurali, a volte antiche di secoli, gli infissi sono stati portati via, poche e sconnesse le tegole sui tetti, nessuna presenza umana, inselvatichiti gli alberi superstiti, le erbe penetrano nei frantoi e nelle cantine in rovina. Se infine si transita per i borghi e i paesi spopolati dall'emigrazione, la prima impressione è di una fuga precipitosa. La solitudine nelle campagne, l'isolamento dei borghi, questi sono forse gli aspetti che più colpiscono il forestiero quando percorre le regioni interne. A volte per decine di chilometri, su strade nuove e mantenute bene, non incontrate un automezzo, un carro, nemmeno un cane randagio. Oppure gli unici incontri che fate sono un vecchio vestito di nero su un asinelio, una vecchietta che si tira dietro una capra e regge fascine sul capo, anche lei vestita di nero. Per quanto lontana sia la linea dell'orizzonte, talora non vedete un paese, un villaggio. Però mai ho visto olivi così belli, alti e con chiome abbondanti; e oliveti così estesi, che ammantano di argento brunito intere vallate, l'una dopo l'altra. Sebbene un quarto dell'olio prodotto in Italia sia calabrese, gli esperti mi avvertono di non lasciarmi incantare dalle apparenze. Anzitutto raccoglie- re le olive costa più che altrove: siccome gli alberi so- I no così alti, le moderne macchine scuotitrici non possono essere utilizzate, e qui sono ancora gli uomini i che con lunghi pali battono i rami, fanno cadere le olive. E l'olio contiene un alto tasso di acidità, perciò si vende a prezzi bassi. In breve, anche l'olivo-coltura, la principale risorsa agricola della Calabria, è sempre più in crisi. A complicarla contribuiscono anche i versamenti per integrare il prezzo dell'olio: molti proprietari di oliveti non fanno raccogliere le olive se non in parte, ma con diversi espedienti riescono ugualmente a ottenere il denaro dell'Aima per l'integrazione del prezzo dell'olio. I Che le cose stanno così, ba- \ sta guardare il terreno degli oliveti: spesso è invaso dalle erbe, perfino da cespugli spi- nosi. Benché l'olivo non sia una pianta esigente, vuole \ tuttavia che resti pulita e \ zappettata la terra intorno alla base del tronco. Solo cosi dà buoni raccolti. Campagne senza lavorato- ■ ri validi e senza imprenditori moderni, dove i frutti restano a marcire sugli alberi, lo stesso si può dire per gli aranceti: sono colture vecchie, non idonee alla meccanizzazione e che producono le « bionde », ossia le arance che i mercati rifiutano o accettano a prezzi non con- | coordinamenti venienti. Come ebbe a dire alcuni mesi prima di morire in un incidente d'auto il presidente della giunta regionale Antonio Guarasci, un democristiano onesto e intelligente, « una Calabria agricola senza avvenire è una Calabria resa immobile dallo spopolamento, dalle terre abbandonate e incolte, dove i vecchi, le donne e i bambini formano il nuovo drammatico ambiente umano. Questi sono purtroppo i risultati di un modello di sviluppo ormai alla deriva ». Se guardiamo brevemente in altri settori, troviamo analoghi risultati negativi. Per diminuire la disoccupazione, per esempio, molto denaro è stato speso in opere pubbliche. A motivo degli alti salari, i cantieri attiravano lavoratori dalle campagne, ma una volta che una superstrada o un ospedale era finito, quei lavoratori non tornavano indietro alle campagne, di conseguenza restavano disoccupati e venivano spinti anche loro a emigrare. Un altro esempio: da 400 a 500 miliardi sono stati assegnati alla Calabria con la legge speciale « per la difesa del suolo ». Che ne pensa Franco Ambrogio, segretario regionale del partito comunista? « La legge speciale è stata gestita nel peggiore dei modi, a frammenti e spezzoni, senza seri programmi e Si è disper¬ sa in un coacervo di interessi privati, burocratici, di sottogoverno, elettoralistici. Ha alimentato rendite e specula zioni, cementando un blocco di forze retrive, di clientele, di cosche mafiose. S'è avuto insomma uno sperpero criminoso di centinaia di minardi». Sono in molti, anche tra i non comunisti, a pensare e a dire le stesse cose. Si può obiettare che, malgrado errori e favoritismi, centinaia di miliardi sono affluiti nella Calabria e hanno contribuito a migliorare le condizioni dì vita della popolazione. Però c'è il risvolto negativo anche qui: a tutti i livelli della società, dalla classe politica alla piccola mafia di borgata, molti si erano abituati a lucrare lautamente ai margini delle opere pubbliche e degli investimenti fatti con la legge speciale. Diminuito l'afflusso di denaro pubblico, finiti i bei tempi, molti di quei parassiti e mafiosi cercano adesso di mantenersi a galla con altre attività, come il contrabbando della droga e i sequestri di persona. E ora, con tanti disoccupati in giro, non gli è difficile ingaggiare manovali per i loro crimini, giovani che non si tirano indietro di fronte al rischio di passare gran parte o tutto il resto della vita nelle carceri. Nicola Adelfi 1 !*WÉ#> Belmonte Calabro. Salto di generazione (Foto Team)

Persone citate: Antonio Guarasci, Antonio Segni, Calamandrei, Fausto Gullo, Franco Ambrogio, Mussolini, Zanotti Bianco