Sotto il raggio di cobalto

Sotto il raggio di cobalto GORRESIO: HO INCONTRATO IL CANCRO Sotto il raggio di cobalto Per quattro settimane di giugno — settimane corte di cinque giorni — ogni mattina sono andato in un sotterraneo del Kantonsspital, riservato alla Nuklearmedizin. Grandi sale d'aspetto, e sul fondo cabine allineate come quelle negli aeroporti dove ci fanno la visita di controllo a salvaguardia dai terroristi highjackcrs dirottatori. Hanno anche queste doppia apertura di entrata c uscita, e quando si è di là dopo avere lasciato la camicia in cabina, il personale paramedico si impadronisce del paziente: « Da questa parte, Hcrr Oorrcsio ». Io andavo a stendermi su una specie di lettiga-catafalco sormontata da una voluminosa incastellatura massiccia sicuramente molto pesante, ma che a comando sapeva muoversi con grazia e leggerezza eccezionali, e ruotare, inclinarsi ed appuntarsi a mira su di me da tutte le angolazioni possibili. So che è assurdo, o che è sciocco, ma mi veniva da notare che alcuni suoi piegamenti parevano davvero ammiccamenti, come se la macchina avesse una sua bonaria malizia e mi facesse l'occhietto. Da una fessura, come sapevo, doveva del resto uscire un raggio per colpirmi nei punti giusti prestabiliti, e penetrarmi attraverso la guancia fino dentro alla bocca dove ero guasto per il carcinoma. Dosato, calibrato, circoscritto, il raggio faceva tutto il suo lavoro in tre o quattro minuti, ed era finito il mio impegno per la giornata. « Domattina alla stessa ora, Hcrr Gorresio », mi ridava appuntamento la ragazza del personale paramedico che durante la mia giacitura sulla lettiga-catafalco da un'altra sala aveva controllato su un teleschermo il campo dell'irradiazione, la profondità, che so io, la frequenza, il voltaggio. A guardarla (Sandra la vide un giorno per combinazione) pareva una che stesse nella cabina di regìa per dirigere una ripresa della Tv, con altrettanti bottoni a disposizione, lucine intermittenti, manopole e pulsanti. Insomma è tutto tanto elettronico ed asettico — intendo dire che non c'è nulla di tradizionalmente clinico in quello sfoggio di avanzatissima tecnologia — che secondo la stessa esperienza dei dottori e dei tecnici è abbastanza normale che il paziente un poco si deluda nel corso della cura: non sente nulla in assoluto, né bruciori o punture, non ha riflessi né reazioni, e finisce col credere che a tutta l'enorme montatura di macchine applicate per tre o quattro minuti quotidiani non segua alcun effetto. Io per me lamentavo soltanto gli inconvenienti secondari delle irradiazioni di cobalto ad alto voltaggio. Quando si è messi nel simulatore di terapia (quello di cui parlava come di un miraggio torinese il professor Matlì del San Giovanni) si prefigura tutto, naturalmente: dosi, localizzazioni, tempi, profondità, eccetera eccetera. La ragazza del personale paramedico si trova quindi tutto disegnato da un pantografo operante a compasso tra la mia faccia, per esempio, ed un foglio di carta, e per indirizzare meglio le radiazioni ridisegna la zona direttamente sulla mia pelle con un suo bastoncino che è come un rossetto per le labbra, tranne che è nero, vagamente unto, quasi bituminoso perché resti indelebile. Giorno per giorno, quindi, uscivo dal Kantonsspital con una strana pitturazione sulla gota sinistra: un tondo sullo zigomo ed una striscia che mi spartiva verticalmente il mento per metà, e saliva seguendo la curvatura del volto fin sotto al lobo dell'orecchio. Mi dispiaceva e mi irritava un poco dover andare in giro così acconciato, viaggiare in tram, sedere al ristorante, anche solo rivolgermi a un tassista o soffermarmi ad un'edicola per comprare i giornali. Ma mi era vietato ripulirmi, per migliore memoria dei confini del campo da irradiare, e la mia gota non doveva avere contatti con l'acqua, e per farmi la barba mi era prescritto usare un rasoio elettrico. Ci si abitua a ben altro, in ogni modo, e infatti dopo qualche giorno già non facevo più caso alle mie pitture facciali che mi davano una certa somiglianza, anche solo da un lato, con un indiano Sioux. Per la barba, del resto, venne meno il problema in breve tempo, dato che la cobaltoterapia ha per suo primo risultato visibile quello di depilare radicalmente la cute, onde per me al mattino era risparmio di tempo avermi a radere una sola guancia, pur senza nulla perdere in decenza. Quanto al resto, comunque, tutto il mese di giugno fu per me un tranquillo periodo fecondo di attività professionale. Mi sentivo benissimo, mi ero trovato temi di lavoro, stavo conducendo una piccola inchiesta su come la Svizzera reagiva ai risultati delle elezioni politiche italiane, facevo fronte a tutti i miei normali impegni di collaborazione. Per me era proprio come se il cancro non esistesse, quasi che le cure del mattino nel sotterraneo del Kantonsspital fossero semplici massaggi estetici o trattamenti di fisioterapia per mantenermi — come si dice — fit. Perdevo infatti peso come quando si ha il verme solitario, che quanto a questo è riduttore come il cancro, e credo che parlassi generalmente con molta leggerezza della mia cura: «.Non potresti interromperla per qualche giorno e fare un salto a Vienna?», una sera difatti mi domandò per telefono con perfetta innocenza Arrigo Levi che mi suggeriva di allargare all'Austria la piccola inchiesta sulle reazioni dei confinari d'Italia al nostro 15 giugno. Poi mi venne da Roma la comunicazione che nel corso di luglio mi avrebbero potuto finalmente combinare un ap¬ puntamento con l'onorevole lìerlingucr, al quale erano mesi che mi ero rivolto per ottenere un incontro. In luglio era possibile vederlo, od altrimenti bisognava rinviare a settembre per consentirgli di prendersi le vacanze a Stimino in agosto. Ero d'accordo? E l'editore Feltrinelli, informato a sua volta, da Milano incalzava: « Dopo che avrai parlato con Berlinguer, quante settimane ti ci vorranno per consegnarci il testo della sua biografia per la nostra collana? Tieni presente che è attualissima, dopo il 15 giugno». Accidentali contingenze come queste — l'offerta di un incarico per l'Austria, l'invito all'intervista — mi cadevano sopra come richiami ad una realtà dalla quale inconsciamente cercavo di fuggire. Io mi volevo dimenticare del cancro, ed appunto per questo mi gettavo a sprofondo nel lavoro: nei tre mesi di maggio, giugno e luglio ho scritto infatti e pubblicato trenta articoli, in media uno ogni tre giorni che sono più della mia norma di produzione abituale. Stakhanovista diventavo per darmela ad intendere, evidentemente, sulla base di un falso sillogismo: per lavorare occorre la salute ed io lavoro; ergo sto bene, e di che cancro mi si viene cianciando. Ma poi mi capitava di inciampare nell'impossibilità di allontanarmi da Zurigo sia alla volta di Vienna sia all'incontro con Berlinguer, e quindi mi toccava di affliggermi pensando al mio luglio bloccato dal cobalto con Horst, al mio prossimo agosto in ospedale con Perko, al mio settembre ed al mio ottobre da convalescente di lungo corso. dcrc verticalmente alla fine del mento, voltare a sinistra, sempre tagliando, e risalire fino a sotto l'orecchio. Sollevata la gota cascante, e probabilmente rovesciata verso l'alto, o appuntata con pinze, che so io, Perko avrebbe potuto profittare della larga apertura a sinistra e resecare con tutto comodo. Fatto il da farsi nell'interno, avrebbe ricucito dall'orecchio alla bocca, e sarei stato a posto, jertig, come diceva anche Hadjianghelou. Quali gli inconvenienti? Parecchi, a cominciare dall'impossibilità, per qualche tempo, di parlare, ma inconvenienti tutti secondari anzi irrisori al confronto di quello che evitavo, cioè la morte da fiore in bocca alla Pirandello. Chi sa come sarci stato d'aspetto, una volta ricostruito: « Al peggio, un po' asimmetrico, ma poco — mi disse Perko — e un mese dopo l'altro si aggiusterà sempre meglio ». Non c'era insomma alcun motivo di esitare nella scelta fra l'operazione grande e la piccola, anche dal punto di vista del costo. Ero di fatti nella situazione di chi più spende meno spende, stando ai dottori. L'effetto della piccola sembra difatti che duri poco, come durano poco certi «lifting» alle signore che si restaurano, e sembra appunto che sia un tipo di operazione cui ricorrono quelli che hanno paura di perdere la faccia, esteticamente parlando. Ma il mio problema, come da quanto ho detto sino ad ora sarà chiaro, non era certo quello di salvare la faccia.

Persone citate: Arrigo Levi, Berlinguer, Gorresio, Matlì, Perko, Pirandello

Luoghi citati: Austria, Italia, Milano, Roma, Svizzera, Vienna, Zurigo