Una faccia da foto a colori di Vittorio Gorresio

Una faccia da foto a colori Una faccia da foto a colori Poi fu il momento delle fotografie a colori che mi scattava in volto una ragazza a velocità superprofessionistica e sotto tutte le possibili angolature. Era più rapida nel mitragliare, avevo l'impressione, di quel fotografo che al principio del Rlow Up di Antonioni prende a bersaglio Vcruska, e in ogni modo si concentrava tutta sulla mia faccia. Poiché me la dovevano smontare, Perko logicamente si voleva documentare con esattezza su come era stata, per il momento in cui me l'avrebbe rifatta che assomigliasse il più possibile all'originale. E poi venne la volta dell'anestesia dell'Ascensione, dovendo Perko asportarmi i denti dell'arco mascellare sinistro interiore, che erano sette, per l'esattezza, c che mi furono restituiti brevi maini il giorno dopo, essendo alcuni incoronati d'oro; li tengo adesso in un astuccio per ricordo. Da quel momento Perko mi scaricava per competenza al suo collega Horst, responsabile del dipartimento della Nuklcarmcdizin. Così tacendo, egli aveva adempiuto molto rapidamente alla prima parte del suo dovere: riconosciutomi non operabile, mi aveva opportunamente sdentato nel luogo giusto per consentire ad Horst l'irradiazione per cobaltoterapia, la quale a propria volta doveva promuovermi da soggetto inoperabile a soggetto operabile: «au pìaisir de Dieu», naturalmente, che è purtroppo sempre inconoscibile, nonché secondo la felicità di mano, anzi di calcolo, di Horst. Costui è già di quelli praticanti sui confini tra medicina e ingegneria. Manovra macchinari di aspetto spaziale, ha per diretti collaboratori matematici e fisici, ha familiarità con i computers e non direi escluso che lungo la sua strada la medicina da come è stata intesa fino ad ora abbia a diventare prima o poi nient'altro diclina « anelila » delle scienze esattc, riproducendo il tipo di rapporto caro agli scolastici tra filosofia c teologia. Horst, nell'attesa clic io gli immagino, intanto si coltiva i segreti della forza del silenzio. A differenza di Perko, persona affabile, appartiene alla scuola del severo motto classico « Vires acquirit tacendo », e gliene viene un grandissimo potere di superiorità sui pazienti con i quali non parla in nessuna lingua. Solamente li esamina, e direi anche che li annota con attenzione puntigliosa guardandoli con i suoi occhi straordinari, occhi da fata, che non comunicano con il paziente nel lampo di un sorriso, come sarebbe umano, ma si appagano di una loro beatitudine irradiante non meno delle macchine che egli comanda e guida. Uomo di nessuna parola a fini di informazione e di commento, dopo la prima lunga visita mi lasciò ad aspettare. Sono queste le attese che contano, gravando grevi sulla psicologia del paziente. Io mi provavo a esorcizzare la paura segreta che doveva pur celarsi nel lago del mio cuore, cercando di convincermi che terminati i calcoli Horst sarebbe tornato con una buona notizia. Il suo assistente dottor Brami pareva darmi cortese solidarietà: « Nous attendons le professeur qui va décider. Conipris? ». Quando tornò, la decisione mi fu tradotta in poche cifre che indicavano il giorno e l'ora dell'appuntamento per la prima serie di irradiazioni al cobalto, a una decina di giorni data, intervallo di tempo necessario perché la cicatrice si chiudesse sui buchi dei sette denti toltimi da Perko. Ero così messo in vacanza, o in licenza, e mi spiaceva, perché oramai la fretta mi aveva contagiato. Appena entrato nel grande gioco, eccomi invece messo subito fuori dell'arcipelago Kan- |tonsspital, fino quasi alla fine, ,. ' . .. „ I di maggio. Mi disse Hraun j cortesemente che le irradiazio- ni sarebbero durate da quattro ! a sei settimane, e così giugno p. 6 'era tutto impegnato, ed intac-| cato luglio; poi, l'intervento j maxilo-chirurgico di Perko, e quindi forse ancora irradiazioni di Horst al termine di una cosiddetta convalescenza postoperatoria; e poi che cosa, e quando, e come ancorar Mi accorgevo di essermi infilato in un gioco che non esigeva coraggio ( ho già spiegato) ma che implicava tempi lunghi e lenti, ed io facevo il conto di Ii.quanta mai pazienza mi sareb- be stata necessaria tutta l'està- te, e poi anche in autunno e !forse addirittura fino a tanto di mettere un piede nell'inverno. Mi domandavo se ce 1 avrei fatta a fabbricarmene abbastanza giorno per giorno, dato du¬ a pazienza è una virtù molto Ufficile, assai più del coraggio, Vittorio Gorresio (2 - continua)

Persone citate: Antonioni, Brami, Perko