Annibal Caro lo ricordate?

Annibal Caro lo ricordate? Annibal Caro lo ricordate? Annibal Caro: « Opere », a cura di Stefano Jacomuzzi, Ed. Utet, pagine 808, lire 13.000. Per colpa della scuola, il nome del Caro è rimasto legato alla versione dell'Eneide, che i programmi scolastici imponevano fino a pochi anni fa come abbastanza tetra e uggiosa lettura (e, per di più, precoce) nel ginnasio. In realtà, il Caro è ben più e altro che il greve c prolisso traduttore del poema vergiliano, come si può ora verificare leggendo l'ampia scelta delle sue opere che Stefano lacomuzzi ha curato per i «Classici italiani» dell'Utct, diretti da Mario Fubini, e che comprende l'Apologia, cioè il gruppo di scritti con cui il Caro si difese dalle censure del Castelvetro a una sua canzone, la commedia Gli straccioni, il rifacimento adattamento del romanzo greco Gli amori pastorali eli Daltie c Cloe, di Longo Sofista, nonché una buona testimonianza delle rime e delle lettere familiari. Nell'introduzione, lacomuzzi propone uno spostamento molto deciso nel giudizio sul Caro: uomo d'ordine, in apparenza, letterato di corte, prima al servizio di monsignor Giovanni Caddi, chierico della Camera Apostolica, poi, alla morte di questi, per vent'anni al servizio dei Farnese, anche con incarichi diplomatici (presso l'imperatore Carlo V, ad esempio), prosatore squisito. Uno, in sostanza, e forse il più rappresentativo, di quei sapienti sistematoli e divulgatori delle idee e dei modi letterari di un rinascimento già maturo, quasi sull'orlo della corruzione e della dissoluzione, non particolarmente originale, ma mollo abile nel coltivare il prezioso edonismo della vita e della parola. In realtà, il Caro si accosta piuttosto ai modi di una inquieta e mobile curiosità intellettuale, che gli detta una letteratura tutta attenta al bizzarro, allo stravagante, al nuovo, all'originale, lacomuzzi, in questa prospettiva, sposta l'attenzione dalle lettere, che ebbero costantemente le lodi di lettori e di critici (con il Leopardi in lesta) per l'eleganza formale e la varietà degli argomenti che vi sono testimoniali, a\VApologia e a Gli straccioni, e nelle stesse lettere rileva sì una eerta superficialità di interessi che permette al Caro di scrivere di tutto con bella disinvoltura, ma anche quel gusto vivo per gli aspelli più insolili del mondo, per le « stravaganze » che incontra nei viaggi, nelle visite, nei luoghi in cui lo porta la sua condizione di segretario di monsignor Caddi e dei Farnese, capace di dettargli le pagine più mosse e fantàstiche, gli « sghiribizzi » più animali e vividi. Ma la grande avventura letteraria del Caro è costituita dalVApologia, che è anche la testimonianza singolare di una delle più clamorose polemiche letterarie del cinquecento. 11 Caro compone, nel 1555, la canzone encomiastica Venite a l'ombra de' gran gigli d'oro, a istanza del cardinale Alessandro Farnese, in lode della Casa reale di Francia. Appena pubblicala, la canzone suscita le riserve, di carattere formale (l'uso di termini non presenti nel Petrarca) e sostanziale (l'illogicità e l'assurdità delle figure e delle metafore in cui si articola il discorso encomiastico che il Caro vi conduce). di uno dei criliei più acuti del Rinascimento, Ludovico Castelvetro. Ne segue una lunga polemica, che dura anni, con battute e repliche dei due avversari e con interventi di alni letterati, e anche con sconfinamenti nella cronaca nera, come l'assassinio (nel 1555) di Alberico Longo. sostenitore del Caro, di cui fu falsamente accusalo come mandante il Castelvetro, e come i tentativi del Caro di mettere in cattiva luce il Castelvetro davanti all'Inquisizione, che già lo teneva d'occhio perche lo sospettava di intrattenere rapporti con eretici. Ma, menile gli interventi del Castelvetro sono secchi, rigorosi, di un'estrema precisione logica e filologica, il gruppo di scritti dell'Apologia testimoniano nel modo più completo l'invenlivilà verbale e il gusto della battuta, dell'immagine bizzarra, della deformazione satirica, dell'ironia alacre e vivacissima, che sono propri del Caio, che finiscono col fare dell'Apologia un'opera fondamentalmente « eretica » rispetto al razionalismo cinquecentesco e anche rispello all'idea, che domina nel rinascimento, di imitazione. Nella questione della lingua il Caro può essere, così per l'uso contro le regole, per una lingua viva, che si rinnova continuamente ad opera di chi parla e scrive, per una letteratura, soprattutto, che vada « con lo smisurato, con gli eccessi e con l'impossibile ancora », e non con una letteratura luna prevista e ordinata secondo norme fissate una volta per lune, come se si trattasse di ma¬ o eli altra scienza tematica esatta. 11 Caro si concede, nc]VApologia come negli Amori pastorali di Dafne e Cloe (uno dei testi più elegantemente c maliziosamente erotici del cinquecento italiano) e nelle altre opere, tutte le più varie e strane avventure della parola scritta, che sono, come dice esattamente lacomuzzi, le uniche avventure che lo interessino, allo stesso modo che, ne Gli straccioni, può divertirsi a intrecciare i casi più straordinari di rapimenti e agnizioni e pazzie amorose e intrighi di denaro, entro la scenografia grottesca e irreale di una Roma ricreata da una fantasia deformante. Nella commedia, proprio per qucsla forza deformante della parola, il Caro finisce con il travolgere sia i modelli classici, che pure egli ebbe davanti, sia l'intenzione encomiastica, che uno dei più recenti e acuti lettori de Gli straccioni, il Fcrroni, vi ha riconosciuto, in rapporto con la politica dei Farnese di riordinamento c di riorganizzazione dello Stato romano: a testimonianza ulteriore dei gusti bizzarri e ironici che fanno del cortigiano Caro uno degli scrittori più ricchi di umori del nostro pur ricco cinquecento. G. Bàrberi Squarotti

Persone citate: Alberico Longo, Alessandro Farnese, Carlo V, Giovanni Caddi, Longo Sofista, Ludovico Castelvetro, Mario Fubini, Petrarca, Squarotti, Stefano Jacomuzzi

Luoghi citati: Francia