Ritorna Mario Novaro figura segreta del Novecento di Giovanni Bogliolo

Ritorna Mario Novaro figura segreta del Novecento Ritorna Mario Novaro figura segreta del Novecento Un poeta ligustico e oltre Mario Novaro: «Murmuri ed echi», a cura di Giuseppe Cassinelli, Ed. Scheiwiller, pag. 154, s.i.p. Troppo colto e troppo schivo per non preferire il ruolo del silenzioso promotore di cultura e del soccorrevole mecenate dei poeti alla quotidiana avventura dell'invenzione, Mario Novaro resta una delle personalità più segrete del nostro primo Novecento: l'eclettismo della Riviera Ligure, la rivista che diresse per vent'anni e che consentì, agli albori del secolo, le prime decisive prove della nuova poesia, e il definitivo silenzio seguito alla pubblicazione di un unico, giovanile libro di versi sembravano circoscrivere uno dei tanti episodi della nostra cultura provinciale, rilevante forse nel suo complesso, ma non certo tale da sollecitare ricerche attorno al suo animato re, a cui si è perfino creduto bastasse a far ombra la fugace notorietà del fratello, il tenero Angelo Silvio. La felice coincidenza di due iniziative — l'edizione definitiva di Murmuri ed echi, che Giuseppe Cassinelli ha rigorosamente approntato sulla base delle aggiunte e correzioni che lo stesso Novaro veniva annotando nei mesi di guerra che dovevano precedere la sua morte, e l'istituzione presso l'Università di Genova di un « Centro Studi di letteratura italiana in Liguria » intitolato al nome del poeta e dotato di un importante fondo di documenti — possono finalmente sollecitare una approfondita revisione critica che, oltre a far luce su un'esperienza poetica ingiustamente trascurata, porti a una visione meno sommaria del complesso movimento intellettuale che il Novaro ha saputo promuovere se non sempre coordinare. C'è però il rischio che un libro come Murmuri ed echi a lettori ormai assuefatti ai timbri e ai ritmi della poesia contemporanea suggerisca esclusivamente una rivalutazione di tipo storiografico: sia il lungo componimento che dà il titolo al libro, sia le liriche e le prose poetiche che completano la raccolta risalgono infatti agli anni del primo anteguerra e, pur risentendo di suggestioni leopardiane, pascoliane o addirittura zanelliane, sono aperti a soluzioni che la maggiore poesia del Novecento avrebbe variamente raccolto e sapientemente orchestrato. Impossibile sfuggire alla tentazione dei riferimenti e degli agganci e non approfittare di questo prezioso anello per rafforzare quella ipotetica catena che le storie letterarie cercano più o meno scopertamente di accreditare. Ma limitarsi a sottolineare il rilievo culturale del caso Novaro sarebbe ancora un modo per eludere la comprensione della sua poesia che, non fosse che per la straordinaria tensione lirica e morale, merita un capitolo autonomo così come lo hanno meritato quelle di un Rebora o di uno Jahier. Alla base c'è una solida formazione filosofica con studi a Berlino e a Torino e lavori su Malebranche e su Hume, ma dell'esercizio del pensiero Novaro coglie soprattutto lo sgomento della limitatezza e l'irriducibile presenza dell'irrazionale. La sua esperienza poetica si innesta proprio su questo senso di impotenza conoscitiva e, pur conservando la probità e il rigore della riflessione filosofica, si articola fatalmente sul modulo dell'interrogazione, della domanda senza risposta. , E' una sorta di terra di . nessuno dove la filosofia, apj prodata al pessimismo più I assoluto, conserva ancora il j fascino del suo riposante raziocinare (.«Compatta, tu di■ ci I la tela materiale degli | eventi ! si svolge senza lacune/o eterogeneo ligamento di sorta...»), ma già è disposta a cedere il campo all'intuizione, alla prepotente ur- genza delle sensazioni ( « I cipressi che salgono dal mare I neri tagliando l'orizzonte I spalancano lo spazio I perché l'anima immota 10 varchi / oziando nell'oppio dell'ora »). La tensione tra queste due istanze contraddittorie si risolve sempre in un'esplosione lirica, in un rifugio liberatorio nella contemplazione della natura più umile e dimessa ma capace di gratificare più d'ogni altra cosa l'animo che vi si presti. Ma 11 pascolismo di Novaro è quasi soltanto teoretico, si risolve in una applicazione, si direbbe quasi terapeutica, di panismo lirico (« Pure I c'è qualcosa di troppo serio I nel mio sentire. / Perché non sono leggero I come questo pappo di soffione che vola? ») e nei momenti di maggiore esaltazione finisce nel catalogo, nell'inesausta elencazione dei miracoli minimi della vita. Solo raramente il compiacimento della contemplazione arriva all'estatica reduplicazione mimetica dei suoni e delle voci della natura, perché nell'infinita vicenda delle cose più umili Novaro continua a cercare la segreta ragione di verità, i « liquidi labili I murmuri del mistero I ... I voci informi I per l'aria, nei cuori / voci d'ignoto senso riposto ». E' il registro più felice e più nuovo di una poesia che nella duplice tensione intellettuale e sentimentale acquista ritmi e toni contrastanti di originale anche se aspra musicalità e nella appassionata decifrazione dell'ambiguo linguaggio delle sensazioni reinventa, e non solo per i poeti della cosiddetta « linea ligustica », le folgoranti illuminazioni dell'analogia. Giovanni Bogliolo

Luoghi citati: Berlino, Liguria, Torino