Giolitti e la malattia dell'Italia

Giolitti e la malattia dell'Italia lettera al direttore: il trasformismo Giolitti e la malattia dell'Italia Caro Direttore, nel leggere la nota critica di Carlo =Casalegno sul mio articolò pubblicato sulla Stampa del 23 settembre, con il titolo L'Italia malata di trasformismo, e apparsa sul numero successivo del giornale, sono stato preso da un violento attacco da « ansietà da elzeviro ». Le cose stanno infatti pressappoco così, quando devo comporre un elzeviro di terza pagina. Scrivo quello che ho da dire; constato che ho abbondantemente superato le quattro cartelle e mezzo rituali; e procedo ai tagli. E qui ci vorrebbe l'arte di un fiorista giapponese, per conservare intatto il significato del testo, pur togliendone di mezzo una buona parte. E accade che in questa operazione di potatura, per me fonte di ansietà indicibile, ci scappi il mutilato. Questa volta è stato il caso di Giolitti, che ha destato il giusto scandalo di Casalegno. In realtà protagonista dell'articolo non era certo la figura di Giolitti, sulla quale non compete a me dare giu- | dìzi storici, ma quella sorta ! di hòte incornili, per usare ! un'espressione di Maurice | Maeterlinck, che costituisce I una gran parte della coscien- za nazionale — di cui ognuno di noi porta una traccia in se stesso, sia pure in assai diversa misura — e che si esprime nella forma di una sostanziale carenza di valori di socialità intesi in senso moderno. Il senso originale del riferimento a Giolitti, prima dei «tagli», consisteva nel dire che nemmeno il « vecchiardo di Dronero », come spietatamente lo chiamava Gramsci, nonostante la sua spregiudicata abilità manovriera e i suoi programmi liberali, era riuscito a battere questo nemico introvabile e sempre presente, che si procurò poi nel « fascismo regime » di De Felice ima nicchia provvidenziale, tanto che si può dire che lo statista piemontese ne rimase sconfitto, proprio nel mentre credeva di poterlo usare ai suoi nobili fini. Nessun processo a Giolitti quindi, ma semmai al nostro i homunculus qualunque, che si ! sottrae tuttavia ad ogni man- i dato di comparizione, perché ! protetto dalla mafia, da qual- j che bandiera ombra o da qualche poltrona ministeriale o da tutte e tre. Il mio elze- viro non aveva nemmeno il merito, che con sapiente malizia giornalistica Casalegno gli attribuisce, di voler condensare « in due colonne venti secoli di storia », ed è per questo che non vi si accenna ai fermenti risorgimentali, ai mazziniani, ai nobili tentativi di Pisacane, che si scontraro- no con quell'/zóte indonnii, che spiega molto se non tutto il loro parziale fallimento, e nemmeno si parla del resto dei movimenti operai del XIX e del XX secolo e dell'esperienza della Resistenza, dalla quale molti di noi hanno tratto ispirazione per una nuova visione dei rapporti sociali. Il mio tentativo, assai difficile da realizzare, è solo quello di dare un volto socialmente più definito al nostro homunculus attraverso una serie di riferimenti interdisciplinari, di cui cerco di render I conto anche attraverso arti-1 ! coli, oltre che nei saggi che; ] scrivo, perché mi sembra un 1 tema di interesse collettivo, e j per questo « stimolante » co- j j me sottolinea col suo garbo sottile Casalegno. Non si trat ta certo di attribuirgli la causa di tutti i nostri malanni, che hanno anche ben altri e | più noti artefici, ma solo di cercar di capire se esso abbia una parte nel rendere i mali che affliggono in generale la società industriale più i acuti e particolari per la so j cietà italiana, | Ma per non concludere l'el j zeviro in tristezza ho voluto j esprimere « un pensiero for | se troppo pieno di speranza » ' circa la protesta dei giovani italiani, che io conosco bene sia per motivi familiari che professionali e che apprezzo j molto per questo. E a tal pro! posito penso che anche Casalegno sia caduto vittima del complesso dell'elzeviro o della rubrica quando l'ha definita solo « una "rivoluzione culturale" velleitaria e impotente ». Carlo Tullio-Altan

Luoghi citati: Dronero, Italia