La signora di casa Turati

La signora di casa Turati Anna Kuliscioff, in un ritratto di Nino Valeri La signora di casa Turati Nino Valeri, «Turati e la Kuliscioff », Le Monnier, pag. 214, lire 4200. Quasi ad anticipata celebrazione dell'ormai prossimo cinquantennio della scomparsa di Anna KulisciofT (29 dicembre 19251975), quasi a primizia o premessa della biografia turatiana da tempo annunziala per i tipi torinesi della Utet, Nino Valeri offre, intanto, di che ripercorrere, soprattutto sulla scorta delle frequenti spigolature dai tre volumi tuttavia inediti del carteggio Turati-Kuliscioff, l'esistenza intrecciata di due anime, d'una casa (il cosiddetto « salotto » di Portici Galleria 23) e d'una rivista, la Critica sociale. Forse, la cronaca più della biografia, o del ritratto biografico-psicologico; forse, la biografia più che la storia: la storia del socialismo italiano nella storia d'Italia, una storia che attende ancora di essere scritta senza adulterazioni faziose o finalità (nell'uno e nell'altro senso) partigiane. Ma soprattutto si ha l'impressione, leggendo, che Valeri scriva sotto il fascino, e voglia far rivivere il fascino, delle due congiunte, unanimi e discordi, personalità. Dinanzi alla probità di Turati s'inchinavano, unanimi, Milano e l'Italia, e io insisterei, anzi, sulla « meneghinità » di questo casuale comasco, ma veracemente lombardo e costantemente milanese, fiero sino all'ultima ora sua, egli così parco e quasi infastidito « autobiografo », di rammentare i funerali milanesi di Alessandro Manzoni, ai quali aveva partecipato quindicenne, alfiere della bandiera abbrunata del suo liceo di Cremona. Stranamente « meneghina », anche in certe peculiarità del suo scrivere e del suo parlare, la stessa Kuliscioff, probabilmente familiarizzatasi con la città e col dialetto nella sua lunga (e, credo, sempre gratuita) pratica professionale di medico: la dolora, per antonomasia, del proletariato milanese, quanto più i colleghi «benpensanti» ne osteggiavano l'attività. Questa « meneghinità » della Kuliscioff e di Turati fece che divenisse quasi un'istituzione cittadina il « salotto » di Portici Galleria 23, che vi entrasse la gente più diversa, poi unanime nel rendere omaggio all'umanità, alla gentilezza e alla grazia della signora della casa: da Filippo Meda a Tommaso Gallarati Scotti, dal Missiroli all'Amendola. Ed ella medesima dev'essere stata forse implicitamente, ben consapevole di questa sua umanità, di questa sua costante ricerca e solidarietà dell'Umano oltre la cerchia delle classi e dei partiti, se a luglio del '23 scriveva di non conoscere che tre uomini i quali sapessero tenere « alta la testa e dritta la schiena », ed erano Turati, Albcrtini e don Sturzo (ai quali Turati avrebbe, da parte sua, successivamente unito De Gasperi, «il più diritto e il più coraggioso di tutti»). Senz'alcuna snobberia od esterofilia salottiera, la Kuliscioff portava, dunque, nella sua battaglia socialista e nella sua casa milanese, un alto spirito « europeo », e criticava, se mai, certo provincialismo dei socialisti italiani, certa loro indifferenza per i problemi dello Stato in se stesso e della sua politica estera soprattutto. Di qui il presunto contrasto fra il neutralismo di Turati e :! ìuo cosiddetto « interventismo ». La Kuliscioff non dimenticò, infatti, mai né le sue origini russe (non mi consta che abbia acquistato la cittadinanza italiana, od altra che sia) e non potè, quindi, non vedere il fatto della guerra, come i fatti dell'Europa sino alla guerra, in funzione delle ripercussioni che ne sarebbero conseguite all'interno dell'impero zarista. Perciò, nonostante il proprio in¬ ternazionalismo e le sue intense relazioni amichevoli con i socialisti tedeschi (Bernstein, i Kautsky, la Klara Zetkin, ecc.), nonostante il proprio rispetto per Engels e la leadership della socialdemocrazia germanica, ebbe sempre sospetto, avversione, timore dell'imperialismo guglielmino, come già della politica bismarckiana, propugnando, invece, una politica, e fosse pure di guerra, capace d'infrenare quanto era di peggio nell'anima tedesca c di sprigionar quant'era di meglio nell'anima russa: congiuntamente, adunque, contro l'autocrazia degli Hohen7ollcrn e contro l'autocrazia dei RomanofT. Quest'era, per lei, «l'eterna libertà », che, dopo molteplici esperienze umane, dopo molta pratica letteraria e molta sofferenza fisico-morale, Turati innamoratamente vide incarnata nella giovane russa e ne fece la misura, l'ideale, il simbolo di tutta la sua vita. « L'eterna libertà » inseguita e ribadita da Turati e dalla KulisciofT trascen¬ deva, d'altronde, ogni limite di classe, di patria o di partito: e segnava il solco invalicabile fra chi nella libertà credeva e ehi consciamente od inconsciamente operava contr'essa, dagli anarchici ai massimalisti, dal «compagno» Mussolini ai «compagni» comunisti, dal « perbenismo » di Salandra e Sonnino al pre-fascismo nazionalistico e dannunziano. Io non direi, pertanto, che nell'esilio Turati individuasse nemico « sempre più nettamente, insieme col fascismo, il comunismo ». In Parlamento e nel partito, in patria e in esilio Turali era stato uomo di libertà (non foss'altro per quel gran fondo manzoniano, carducciano e risorgimentale, da cui si sapeva ispirato, e di cui si sentiva l'erede): in quanto uomo di libertà, era stato, perciò, ed era e rimase impavidamente, il nemico di ogni e qualunque nemico dell'» eterna libertà ». In effetti, a ripercorrere le grandi fasi della sua vita (e in esse ebbe accanto sempre, fin¬ ché fu viva, consenziente, incoraggiante, ispiratrice, la Kuliscioff), nella prigione del 1898, a fianco di cattolici e di radicali, in Parlamento contro l'avventura libica di Giolitti e il radiosomaggismo di Salandra, al congresso di Bologna contro l'ubriacatura bolscevica, al congresso di Livorno contro la comunistizzazione del suo partito, un anno dopo contro il bivacco fascista alla Camera, sull'Aventino nel '24 e sulla breccia dell'esilio, per risvegliare l'Europa succuba o sonnacchiosa all'imminente pericolo nazifascista, ai lugubri preannunzi della seconda guerra mondiale, in ogni nodo e crisi di libertà in Italia e in Europa, lo storico ritrova Turati al suo posto di battaglia, a difendere o a rivendicare la necessità, il dovere, della libertà. Con tanto più impegno e più forza in cuore e più luce nell'anima, poiché la libertà anche aveva, per lui, il volto e la luce della sua compagna, Anna Kuliscioff. Piero Treves