Dobbiamo processare Giolitti? di Carlo Casalegno

Dobbiamo processare Giolitti? Il nostro Stato Dobbiamo processare Giolitti? L'articolo di Carlo TullioAitati, uscito ieri in lerza pagina, ha due grandi meriti: riassume in due colonne olire venti secoli di storia ed è. come si dice oggi, « stimolante ». Muovendo dagli episodi più recenti di malgoverno e dalla crisi del potere de, l'cmincnle studioso ricerca le origini prima del «malcostume tipicamente italico » (cioè la carenza di senso sociale e l'egoismo qualunquistico degli interessi particolari); e le ritrova, risalendo ben olire la Controriforma, il dominio straniero, l'anarchia medievale, le invasioni barbariche, addirittura « nella società italica contadina e precristiana... fondata sopra le unità domestiche di produzione ». Scendendo poi dal remotissimo passato al presente, egli individua nella contestazione giovanile la speranza d'una svolta, che dia finalmente agli italiani una « coscienza sociale moderna ». Ho letto l'articolo con interesse e rispetto, convinto che le nuove ricerche sulle «l'orme storiche della coscienza sociale italiana » colmino un vuoto della nostra storiografia e giovino a capire la realtà d'oggi; e sono pronto ad attribuire alla mia ignoranza un certo istintivo scetticismo verso i tentativi di ricostruire catene troppo lunghe di cause ed cileni. A me sembra che. a l'uria di risalire indietro nei secoli, si rischi di tracciare processi storici non meno arbitrari della dottrina che attribuiva tutte le miserie umane al peccato di Adamo ed Eva; riconosco però di essere un profano, e non mi avventuro in dispute di metodo storiografico. Ma ci sono alcune affermazioni, nell'elzeviro di Tullio-Allan. che mi sento di contestare: non per gusto della polemica, bensì per il loro rilievo politico. L'autore accetta la lesi d'uno stòrico di scarso peso come Fabio Cusin, e di tanti altri studiosi, che individua una delle massime espressioni del malcostume politico-sociale, o dell'opportunismo asociale, o del trasformismo qualunquistico, tipici della nostra storia, nel « moderatismo clericale » trionfatile con il patto Gcnliloni e tenuto a battesimo da Giovanni Gioliti!, «ministro della malavita». Ognuno è libero di pensarla come vuole: tuttavia mi chiedo se si possano dare giudizi attendibili sul presente quando si accettano deformazioni così grossolane del passalo. lì' vero che Salvemini definì Giolilli « ministro della malavita » nelle polemiche del primo '900; ma in questo dopoguerra, da storico vero, ritrailo quella definizione. E' vero che Giolitti manipolò, soprallutlo nel Mezzogiorno. ['«antico e corrotto mondo di interessi privati in collusione con quelli pubblici »; ma per attuare una politica coraggiosa di trasformazione del Paese appoggiandosi puntelli di cui disponeva vero che Giolilli non era apostolo e accettava, da buon sarto, di adattare il vestilo alle gobbe del cliente; ma il suo programma non aveva nulla d'opportunistico: nessuno statista dopo Cavour rea lizzò, più e meglio di lame e coerenti riforme vero che Giolitti, verso ne degli Anni 10, cercò ai E' un lui. E' fiac¬ cordo con i cattolici moderali sfuggendo all'influenza egemone della sinistra; ma per rafforzare l'area dei consensi alla sua politica, eliminare gli ultimi veleni della « questione romana », indurre i cattolici ad accettare Io Stato risorgimentale laico. Se a un principio egli rimase fedele, questo fu il «separatismo» di Cavour: altro che complicità con i clericali! Trascinare Giolilli in un pasoliniano processo postumo, bollare come clerical-moderato il maggiore statista dell'I lalia liberale, potrebbe essere un innocuo esercizio intellettuale, se non avesse alcune conseguenze pratiche. Anzitutto si è indolii a cercare lontano nella storia le irreparabili eause del malgoverno o sottogoverno, democristiano e no, anziché guardare anche alle cause più vicine e immediale, su cui possiamo agire: l'enorme estensione del sonore pubblico, il persistente centralismo politico, l'insufficienza di controlli e garanzie stabiliti in alni tempi, la crescila del Paese attraverso uno slancio impetuoso ma anarchico. In secondo luogo, si finisce — involontariamente — per regalare degli alibi o delle attenuanti ai corruttori e ai corrotti, che sarebbe nostro dovere abbattere o processare: anche l'epidemia di Avellino diventa colpa della Spagna. Infine si rischia di cercare la salvezza in utopistiche fughe in avariti pseudorivoluzionarie. Nessun osservatore ragionevole sottovaluta l'importanza psicologica e politica della contestazione giovanile. l'onestà di molli « arrabbiali ». Ma non è vero che la loro livella morale sia il primo tentativo di dare una coscienza civile nuova agli italiani: avete mai sentilo parlare del Risorgimento? lì non è neppure vero che la redenzione dell'Italia passi attraverso una «rivoluzione culturale» velleitaria c impolente. Oh. se i contestatori andassero da Giolilli a scuola di realismo... di Carlo Casalegno

Persone citate: Cavour, Fabio Cusin, Giolitti, Giovanni Gioliti, Salvemini

Luoghi citati: Avellino, Italia, Spagna