Juve e Napoli pagano i danni del calendario di Giovanni Arpino

Juve e Napoli pagano i danni del calendario Juve e Napoli pagano i danni del calendario Giocatori, tifosi e critici si stropicciano gli occhi. Per cancellare le immagini di quegli ultimi sessanta secondi a Sofia. Il ritorno viene consumato tra discussioni, rabbie, battute consolanti, propositi e un'ultima risacca colma di rimpianti. Lo dicono tutti, da Enzo Bearzot, all'ultima «penna» (di quelle che non riportano per iscritto quanto dicono a voce), da Parola alla signora che ha seguito il marito come tifosa aggiunta: mai vista, e da anni, una squadra italiana in Coppa giocare cosi bene, e perdere. Le malignità si sprecano, a questo punto, da parte di coloro che campanilisticamente vogliono sempre accendere micce, soffiar arie di zizzania. Eppure è vero: mai vista una squadra nostrana comportarsi con tanta autorità, tanto brio Inventivo, intelligenza tattica e dovuta grinta di fronte ad avversari tenaci e battaglieri, fin troppo cattivi (un certo Denev, per esempio). Si, la Juventus ha perso, la «Vecchia Madama» ci ha rimesso una penna, il calo fisico nell'ultimo quarto d'ora è stato crudele da vivere e da guardare. Ma per settanta minuti il gioco bianconero aveva messo a tacere lo stadio di Sofia, gli ingenui e tuttavia magnifici tifosi bulgari, e posto in soggezione assoluta la squadra di Manolov. Quel «calo» fisico, dunque. E quei gol gettati al vento. Mai una squadra italiana, fin dai tempi di Inter e Milan negli anni d'oro, aveva costruito tanto in attacco, addirittura umiliando il dispositivo dei rossi. E certe stolide regalie si pagano salate, l'esperienza lo insegna: perché qualche giocatore non ripiega più a tempo: perché troppe gambe non danno più la spinta necessaria all'elevazione sui calci d'angolo ed i cross avversari; perché la cerniera più accurata «salta» e non c'è il vantaggio aritmetico su cui vivere, un vantaggio che avrebbe stroncato in anticipo le velleità altrui. Tutta qui, in splendore e miseria, la nottata di Sofia. Roba da morsicarsi le orecchie a vicenda, dicono giocatori e tifosi. Roba da scatenare opinioni contraddittorie fino al litigio tra i critici: se entrava Damiani o Spinosi, se arretrava di più Causio, se la difesa avesse picchiato con maggior cinismo: il solito senno di poi. Ma il fatto centrale, decisivo, al di là di un risultato ribaltabile, è questo: la «Madama» ha sfoderato gioco, un'autentica fucina di mosse e manovre, disimpegni e recu- peri, balzi in avanti e ripiegamenti. Nulla di casuale o di paragonabile al famoso «contropiede all'italiana». Dalla fascia centrale si partiva per la costruzione e lì si cominciava ad arginare l'offensiva bulgara. Né trincea né isolati assalti in spazi vuoti, ma una serie di operazioni che provenivano da un collettivo raziocinante e strabiliavano sia i «rossi», sia gli spettatori sia gli addetti ai lavori nostrani, rassegnati da sempre ad assedi affannosi, a risse gigantesche sul limite dell'area. La Juventus, però, a detta di chicchessia, non ha raccolto il trenta per cento di tanta seminagione. Doveva e poteva vincere due a zero, tre a zero, tre a uno o addirittura cinque a due. E avrebbe pur sempre sbagliato un paio di palloni-gol. Le «punte» talora sembravano sbalordite di aver superato di slancio — e manovrando — il pacchetto difensivo bulgaro. Tanta letizia si traduceva in affanno sull'ultimo tocco. Il portiere bulgaro Filippov ha ancora gli incubi, potete giurarci. E allora? E allora metti in tasca, anzi nel solaio della memoria, ragiona e fanne tesoro. Mica si può girare il mondo facendo simili regali. Mica si può contare sempre su tanta vena e tanta ingenuità altrui. Una ingenuità troppo largamente ricompensata. L'uno-a-due di Sofia chiede riabilitazione immediata, e cioè il primo ottobre durante il ritorno, ma attenti: quegli stessi bulgari, a Torino, cercheranno di nascondere la j palla, picchieranno come dèmoni, I si allineeranno su triplici barriere i difensive. E mettere dentro un pallone sarà indispensabile, sùbito. Bisogna ripetere un vecchio concetto: è urgente togliere di mezzo la deleteria, antieconomica, farraginosa Coppa Italia, vera e propria palla al piede del calendario italiano. E' altrettanto urgente far sì che il campionato «parta» in settembre, favorendo la preparazione estiva delle squadre e II loro allineamento con i club europei. Vedete il crollo del Napoli negli ultimi minuti a Mosca: vedete l'ultimo quarto d'ora della Juventus a Sofia: si tratta delle due maggiori squadre italiane e «paga no» uno scotto assolutamente im meritato perché il trogloditico elefantiaco calendario casalingo non consente ai club di programmare diversamente la loro stagio ne. Sono temi noti, ma vai la pena di sottolinearli in matita rossa: o dovremo continuare nella grande bugia, cioè nell'elogio del nostro campioncitc come «il più bello del mondo». Il che non è, cari fratelli pennaroli. Beh. tiriamoci un frego sopra. La Bulgaria meritava pur essa qualche minima soddisfazione. L'ha avuta, sputando sangue (e non solo quello, come testimonia Furino scalciato, percosso, insalivato da Denev). Onestamente, non vogliamo credere a un secondo passo falso bianconero durante il «ritorno». Sarà una notte da fuochi e fiamme, quella del primo ottobre al Comunale. Ed il pubblico tenga presente come si sostiene una squadra, pur senza tamburi, che a Sofia non hanno residenza. Ma teniamo presente — lo aggiungo qui, di passaggio, riservandomi di tornarci in future occasioni — un rilievo di Bearzot. Questo: 'Nelle zone laterali noi mettiamo gli atipici, che svariino e facciano a loro arbitrio. Gli altri, in tutta Europa, schierano giocatori completi, siano Gadocha o Hoeness o Lato e a volte persino Cruylf. Svegliamoci, ragazzi, sennò si perde il passo». Mi pare j un rilievo da tener presente, anche seguitando a lodare il dispositivo juventino in quei suoi settanta minuti a Sofia. Vorrei che tutti potessero vedere il film dei palloni-gol mancati, delle azioni create dalla trequarti in avanti grazie a Scirea. Cuccù, Causio, Tardelli, Furino, Bettega, Anastasi. Beh: si tratterebbe d'un vero film giallo. «Già, se lo vedessero, ci aspetterebbero all'aeroporto con le bandiere, ma per usare le aste», digrigna Spinosi. Al primo ottobre, allora. Non sarà più un 17, e neppure di plenilunio. La «Vecchia Madama», pur priva del suo Capello, ha qualcosa di nuovo nel suo belletto: ora impari anche a mordere. Giovanni Arpino