Concluso il raid fedayn Polemiche tra gli arabi di Igor Man

Concluso il raid fedayn Polemiche tra gli arabi Concluso il raid fedayn Polemiche tra gli arabi Sadat accusa Siria e Urss di scatenare i palestinesi contro l'Egitto Dure repliche di Damasco e Olp - Drammatica situazione a Beirut (Dal nostro inviato speciale) Beirut, 16 settembre. L'« operazione martire Abdel Kader Hussein », condotta a Madrid da quattro fedayn, si è conclusa ad Algeri, senza colpo ferire. Così come avevano chiesto, i guerriglieri hanno ottenuto di trasferirsi in Algeria a bordo di un aereo, coi loro ostaggi: l'ambasciatore d'Egitto in Spagna, Ghaffar, il console generale e l'addetto stampa. L'operazione si è conclusa all'araba: guerriglieri e ostaggi sono stati ricevuti cordialmente ai piedi dell'aereo da funzionari del protocollo algerino. Lo ambasciatore Ghaffar e gli altri diplomatici egiziani, si sono subito diretti verso il salone d'onore, insieme con gli ambasciatori d'Irak e di Algeria a Madrid, che avevano condotto la trattativa coi palestinesi. Un altro salone d'onore, quello riservato ai principi e ai capi di Stato, ha accolto i quattro fedayn. Il viso celato da una calza di nailon, i guerriglieri sono apparsi frastornati dai fotografi e hanno preteso, prima di fare dichiarazioni, che questi e i corrispondenti stranieri venissero espulsi dal salone. Accontentati, si sono levate le calze dal volto, hanno accettato di buon grado caffè e bevande fresche. Il loro capo, Abou Issa, laureando in ingegneria, ha detto ai giornalisti algerini di essere «molto soddisfatto ». Lo scopo dell'azione, ha spiegato era quello di mettere in guardia l'opinione pubblica internazionale « sui pericoli che l'accordo concluso da Sadat coi sionisti, comporta per la causa araba e i palestinesi ». Certo, i quattro « commandos » non si attendevano che Sadat acecttasse il loro ultimatum: sospendere le trattative di Ginevra, pena la vita degli ostaggi. Hanno voluto con il loro clamoroso gesto richiamare, appunto, « l'attenzione del mondo sul dramma palestinese ». I responsabili della resistenza, qui a Beirut, affermano che ci sono senz'altro riusciti, e pur negando che l'Olp abbia organizzato l'operazione madritena, si dicono certi che « altre azioni, magari più efficaci, seguiranno ben presto per inchiodare l'Egitto alle sue responsabilità ». Nel suo discorso di ieri, il presidente Sadat aveva accusato l'Olp eli aver guidato il colpo di Madrid e aveva direttamente chiamato in causa Arafat, minacciando severe rappresaglie. L'Olp ha replicato, protestando di essere estraneo all'affare, e denunciando il « tono minaccioso » dell'Egitto. « Se le autorità egiziane hanno l'intenzione di colpire i palestinesi nel momento attuale, non hanno certo bisogno di pretesti come l'affare di Madrid» (Una settimana fa, Sa¬ dat ha chiuso la radio palestinese del Cairo e ordinato che i palestinesi residenti in Egitto siano sottoposti a stretta sorveglianza). Nel suo discorso di ieri, Sadat aveva anche chiamato in causa l'Urss e la Siria, accusandoli di avere «scatenato » i palestinesi contro l'Egitto. Sadat ha riprovato le manifestazioni antiegiziane organizzate a Damasco dal fratello del presidente Assad, e ha negato ancora una volta che l'accordo con Israele sia «politico». Ha pure negato che la chiusura delle emittenti palestinesi, come sostiene Mosca, fosse compresa in una clausola segreta dell'accordo. Stamane, la stampa siriana replica alle accuse di Sadat. Al Baas, organo del partito al potere, ospita una lettera aperta al Presidente egiziano, in cui Abdallah al Ahmed, membro del comitato centrale, si domanda fra l'altro: « L'autorizzazione ai " cargo " nemici di attraversare il Canale è un atto politico o militare? L'apertura d: Suez alla navigazione internazionale è un atto ploitico od economico? ». Infine, conclude ironicamente: « Signor Presidente, l'espulsione di esperti d'un Paese amico (Urss n.d.r.) è un atto politico, ma il vostro I appello agli esperti dell'impe-1 rialismo americano è un atto ■ puramente militare ». L'uffi- i cioso Al Saura denuncia an- ! cora una volta l'accordo sul ! Sinai, « che sabota una pace j giusta e consente agli S.U. di j imporsi come parte diretta \ nel conitto, aprendo così una ! grave breccia nel mondo arabo ». Sarà possibile colmare questa breccia?, cosa ci attenderà domani? si chiede il gior- naie Al Kuds, edito in arabo a Gerusalemme. Di fronte al deterioramento dei rapporti tra l'Egitto e gli arabi, si impone un vertice, conclude il giornale. Pure a Beirut, sconvolta da continui scontri ira cristiani e musulmani (si spara anche con armi pesanti nei quartieri della vecchia città) si è dell'avviso che solo un summit potrebbe colmare la frattura che tormenta ti mondo arabo e che qui in Libano, cartina di tornasole della regione, si traduce in una guerra civile strisciante. Il conflitto che dilania il Libano supera la rivalità armata tra la Falange (cristiana) e i palestinesi. Il gioco è più complesso: sono in lotta l'establishment maronita e la base musulmana nella quale si intrecciano le istanze della sinistra e dei fedayn. L'obbiettivo di fondo del primo è quello di collocare il Libano nell'alveo delle forze moderate che appoggiano la strategia americana per una soluzione politica del problema medio-orientale. Così le « camicie azzurre » di Gemyel sparano contro i palestinesi; ma contro quali palestinesi, dal momento che Al Fatah e il Fronte democratico si sono ritirati dalla mi- schia, quando Arafat si in contra col ministro dell'In terno e lancia ai rivoltosi che tengono Tripoli un appello a rientrare nei ranghi? Spara no contro i palestinesi del j « Fronte del rifiuto», sobillaj to e foraggiato, a dar retta \ agli egiziani, dalla Libia. Ha! bash e i suoi alleati vogliono attizzare l'incendio e la speranza che il Libano diventi una polveriera capace di far saltare per aria l'accordo tra israeliani ed egiziani. La sinistra libanese si oppone, a sua volta, alla destra conservatrice, chiedendo riforme inI dispensabili ma anche una | « partecipazione attiva » del Libano al conflitto araboisraeliano. Ho assistito stamane ad una scena allucinante, emblematica d'una crisi che non è solo d'un regime ma di tutto un Paese. A pochi chilometri dalla capitale, sulla principale autostrada del Libano, la Beirut - Tripoli, centinaia di armati di Juniah (maggioranza cristiana) hanno istituito un posto di blocco. Controllano i documenti e sequestrano chi è musulmano. Spiegano: « Due persone di Juniah sono state rapite ieri, sicché abbiamo deciso di prendere degli ostaggi per rappresaglia ». Gli ostaggi sono allineati contro un muro, a torso nudo, le mani legate dietro la schiena, gli occhi bendati. Decine di armati in divisa verde olivo li circondano minacciosi, sparando un colpo ogni tanto, picchiandoli selvaggiamente. Cinque gendarmi e tre poliziotti stradali osservano impassibili la scena. Igor Man