E' soltanto colpa nostra se la salmonellosi dilaga di Franco Giliberto

E' soltanto colpa nostra se la salmonellosi dilaga Malattia che vuol dire: sporco e disorganizzazione E' soltanto colpa nostra se la salmonellosi dilaga Sia detto chiaro e tondo: salmonellosi equivale a sporcizia, luridume, vita da abbrutiti, condizioni igieniche da società primitive, sozzura individuale e pubblica. Il contagio dell'infezione è oro-fecale: cioè dalle feci alla bocca o dalle feci al cibo che viene ingerito. Il portatore sano di salmonella, se è giustificato perché non sa d'avere in corpo il batterio, quando contagia un suo simile va definito, quanto meno, sporcaccione, perché non si lava le mani come dovrebbe. Se è un negoziante di generi alimentari, i danni possono essere relativi: prosciutto, formaggio, carne (poi mangiata cruda), pur forniti con una carica di saimonelle, dopo il contatto col venditore provocheranno nell'adulto un'enterite più o meno benigna, comunque superabile senza grandi drammi. Ma nei bambini, i guai della salmonellosi sono maggiori e peggiori. (Avellino insegna. Insegnano anche Milano, Torino, Roma, Bolzano, Genova, eccetera: una nostra inchiesta del giugno scorso ha documentato un elenco di allarmanti situazioni e statistiche sulle malattie infettive che fioriscono in Italia e, a quell'epoca, non vi erano tragici esempi). L'infermiera che, in un reparto pediatrico, cambia i pannolini a un piccolo paziente — non napendolo affetto da salmonellosi — e poi, senza lavarsi le mani con acqua e sapone, si dedica alla preparazione del latte nei poppatoi, commette un'imperdonabile leggerezza. Allo stesso modo, I sarebbero da licenziare in I tronco i direttori sanitari di ospedali che non dispongono 1 tassativamente periodiche I analisi delle feci (coprocultu- j re) dei dipendenti, per garantirsi (anzi, per garantire i malati) dal pericolo di portatori sani di salmonella. E le responsabilità dei pubblici amministratori? Gran parte del territorio nazionale (non soltanto qualche luogo della Campania) fa spesso rivoltare lo stomaco, vero e proprio ricettacolo di salmonelle e altre colonie batteriche «esplosive»: cumuli di rifiuti, divenuti montagne in attesa dell'inceneritore; acque superficiali che sono vere e proprie fogne a cielo aperto; pozzi artesiani inquinati o acquedotti con tubature vecchie di cinquantanni; negozi di generi alimentari dove le mani del venditore passano dal denaro (nella migliore delle ipotesi) all'affettatrice; strade e giardini infettati da escrementi di cani; prati e colture irrigati con acque luride, magari ricche di miliardi di saimonelle prosperate in vicini allevamenti zootecnici; bestiame nutrito con mangimi che hanno cariche batteriche colossali (chi controlla le importazioni in questo settore?); spiagge vicine a sbocchi di fiumi e canali d'acque putride. Nel giugno scorso, l'ufficiale sanitario del Comune di Torino affermava: «Siamo disarmati, i quattrini per la medicina preventiva saranno sempre meno: abbiamo tanti di quei debiti nel settore terapeutico che per la profilassi rimangono poche lire. Probabilmente ci vorrà un'epidemia di epatite virale o una virulenza della salmonellosi, per far rimediare alle nostre più gravi carenze strutturali. Il grosso difetto dei canali per fognature è che corrono sottoterra e non si prestano alle inaugurazioni in pubblico». L'amaro discorso nasceva da una notizia pubblicata dal nostro giornale: a Torino c'erano stati, in pochi mesi, oltre settecento casi di salmonellosi, quasi tutti in reparti ospedalieri pediatrici. Allora, però, si era corsi ai ripari, con la chiusura immediata di un padiglione, con l'isolamento dei bambini malati, con centinaia di coproculture fra il personale e i piccoli pazienti. E con un «filtro» all'accettazione che non ammetteva nei reparti i bambini, se prima non si fosse accertata in loro l'assenza dell'infezione. Un caso analogo era capitato tempo prima a Milano. Nelle divisioni pediatrica e infettivi-pediatrica dell'ospedale Maggiore in tre anni furono registrati 303 casi di salmonellosi, con una incidenza di contagio ih ospedale molto forte, diminuita soltanto do¬ pc po drastici provvedimenti profilattici nell'ambiente. La salmonellosi provoca la morte di due-tre persone su cento che la contraggono. Dice il professor Francesco Di Raimondo, del Centro epidemiologico per la profilassi delle malattie infettive e primario dello «Spallanzani» di Roma: «Secondo una statistica di pochi anni fa, soltanto il 45 per cento dei malati dimessi dopo diagnosi di forme infettive-conlagìose soggette a denuncia erano stati ricoverati in divisioni per infettivi negli ospedali riuniti della capitale. Tutti gli altri casi (55 su cento) sono stati curati in reparti di medicina o chirurgia generali e delle rispettive specialità: dall'astanteria alla rianimazione, dall'ostetricia all'oculistica, dall'epatologia alla dietologia ». Il triste caso di Avellino, com'era avvenuto per il colera di Napoli, va dunque considerato, ancora una volta, simile alla punta di un minaccioso «iceberg»: che affiora troppo spesso in Campania, ma che nasconde, sotto sotto, una massa di pericoli per tutti. Parecchie altre regioni d'Italia non possono più sottovalutarli. Franco Giliberto

Persone citate: Spallanzani