La dc secondo Rumor di Stefano Reggiani

La dc secondo Rumor "Crede che nel 1985 parleremo ancora dei dorotei?,, La dc secondo Rumor Un colloquio col ministro degli Esteri nella sua casa di Tonezza, nel cuore del Veneto democristiano - Un giudizio "storico" sul doroteismo ("E'stato una filosofìa mediatrice") e sul moderatismo, che "la de deve accettare senza andare a destra " - "Il potere è un servizio", ma "in ogni famiglia c'è chi sbaglia" - Invito ai socialisti (Dal nostro inviato speciale) Tonezza, 9 settembre. «Il mio sogno è di ritirarmi ad abitare qui, finito il mio compito. Intanto faccio il ministro pendolare». Rumor parla con delicatezza vicentina, coniugando i verbi al modo dialettale. Fuori della finestra abeti, pini e prati di Tonezza, l'aria pungente dell'altipiano; dentro la stanza i mobili del nonno in stile di severo decoro montanaro. E' la casa di famiglia dei Rumor, anche la via si chiama Rumor (sia pure contro il parere del ministro). Il nostro viaggio «dove la gente vota ancora de» è giunto nel Veneto, come a dire nel cuore della forza e delle contraddizioni democristiane. E mentre l'autore di questo servizio (un «impolitico», un osservatore laico) viaggiava, nel Veneto la de si spezzava in due parti, i seguaci di Bisaglia che avevano la maggioranza sono stati sconfitti, gli amici di Rumor, con l'alleanza di altre correnti, hanno di nuovo la supremazia, in un confronto tuttora precario, ma gravido, si dice, di conseguenze per il partito anche in sede nazionale. Prima che scendessimo a scrutare, fin dove è possibile, i misteri del doroteismo veneto, l'onorevole Rumor ha acconsentito ad una lunga conversazione. Con un solo patto: di parlare della de veneta da un punto di vista storico, di non scendere con troppi dettagli alla cronaca di questi giorni. I suoi seguaci, nella nuova posizione defilata rispetto ai dorotei, gli hanno dato molte soddisfazioni in Veneto, ma anche qualche irritazione, come quella di vedersi trascinato pubblicamente e clamorosamente in uno scontro aperto, condotto sui giornali all'antagonismo diretto con Bisaglia, come se si trattasse della partita Juventus-Inter. Rumor non è andato, tiene a dirlo, alla riunione del Motel Agip di Vicenza (la seconda, quella della vittoria provvisoriamente definitiva). Non ama far l'uomo di parte, adesso che è uscito dal gruppo con una dichiarazione di indipendenza tattica. «Basta con il discorso delle correnti. Crede lei che nel 19S5 sì parlerà ancora dei dorotei e degli altri?». Speriamo di no. Dicono a Vicenza che il rinnovamento della de passa per forza da Tonezza, dalla casa avita dei Rumor. Il ministro riconferma la sua linea: «Bisogna rompere il guscio dei gruppi, liberalizzare le energie, articolare in modo diverso la dialettica delle posizioni nel partito. Se si continua a contarsi, come adesso, non c'è confronto, ma una contrapposizione, pregiudiziale. Tu la pensi in quel modo perché sei di quella corrente, tu mi dai solo un numero, non un contributo di idee». Poniamo che i dorotei, prima del 1985, scompaiano: ci saranno nuove correnti al loro posto? «No, ci sarà un pluralismo di idee, in modo che nel partito emergano, se ci sono, i valori da soli, senza bisogno di tutori». Cioè non ci sarà più la sicurezza protettiva delle correnti, ma un aggrupparsi libero di uomini, per alleanze stabili o temporanee. «Questa strada è lunga, e rischiosa per chi la propone. Può anche siaci!are disagio e fatica nei militanti, ma è l'unica produttiva». Il doroteismo finirà per mano di un fondatore? A tanti sembra invece che il Veneto sia la culla più naturale e generosa del doroteismo, di una filosofia del potere insinuante, indulgente e sopraffattrice. Vorremmo da qui co-. minciare il discorso «storico». ' Dice Rumor: «I dorotei sono un fenomeno italiano, non veneto. Vorrei dire che la corrente è stata la motrice di tutte le forze più attive della de. C'erano tutti, agli inizi, tra i dorotei: Moro, Colombo, Taviani, Segni». Il doroteismo non è una corrente, ma uno stato della de nei tempi più saldi: «Un modo di vedere la politica, una filosofia mediatrice». Oppure un modo per occupare il potere? «Non è vero che la tradizione veneta insegni un amore smodato per il potere. Chi fondò la de la intendeva come uno strumento della partecipazione collettiva, un servizio». Eppure, accusano la de di tutto il contrario. «In tutte le famiglie c'è chi sbaglia» dice Rumor, usando una speciale dote veneta, l'ironia prudente. La gente veneta è anche cattolica, in modo «ortodosso e tollerante». E la de veneta risente della storia regionale. «Prima la Repubblica di Ve¬ nezia, poi anche la dominazione absburgica abituarono i veneti cattolici alla distinzione dei poteri, li spinsero a non essere integralisti. Per questo la de ha acquistato voti anche tra i non cattolici». Dopo le elezioni del 15 giugno e la leggera flessione delle forze, secondo Rumor, la de appare più che mai il partito delle genti venete. «La de nel Veneto è insurrogabile. La sua capacità di aggregare problemi e aspirazioni locali è contagiosa». Che esempio può dare (diciamo, in bene) la de veneta a quella nazionale? «Il modello di sviluppo delle regioni è una prova dì naturale equilibrio, di una omogeneità che si accorda e spiega il carattere temperato della gente. Se lei sorvola il Veneto non trova grandi macchie metropolitane, ma un armonico intrecciarsi e quasi fondersi di campagna e centri produttivi. Il tessuto sociale non è stato lacerato, l'operaio si costruisce la casa vicino a quella dei suoi vecchi, in campagna, non ci sono traumi dovuti alle immigrazioni interne. Anche per questa tipicità del modello di sviluppo la regione è lontana dagli estremismi». E' una regione di centro che va verso sinistra restando ferma, secondo una celebre definizione di Gonella? «E' un elettorato moderato. Ma l'espressione va intesa nel suo senso ■originale. Moderato in politica è colui che progredisce misurandosi di volta in volta con la realtà, senza fughe in avanti». Nel Veneto, poi, il politico «non deve farsi condizionare dall'elettorato, ma condurlo verso le novità con prudenza, anticipare di un anno le esigenze dei cittadini». Osserva Rumor con un bel gusto della parabola: «Poniamo che ci sia un capo scout che guida i suoi ragazzi nel bosco. Deve stare alcuni metri davanti alla fila, per controllare insieme il percorso e i camminatori. Ma se precede il gruppo di duecento metri rischia di perdere i compagni e di lasciarli senza aiuto». Tornando dai boys scouts al governo, «la de deve accettare l'elettorato moderato, senza per questo pendere a destra. Il moderato riforma in modo costruttivo, senza distruggere». Su questa via del costruire e del distruggere, pur con "moderazione", la de non ha colpe? Che cosa significa il tradimento di una parte dei ceti urbani alle elezioni? «C'è stata una richiesta di partecipazione che il partito non ha saputo soddisfare del tutto. I ceti cittadini sono i più avvertiti e sensibili, rappresentano le nuove esigenze della gente. Oggi non ci si accontenta più di votare ogni cinque anni, si rifiuta il sistema esclusivo della delega, si pretende giustamente di prendere parte alle decisioni». Rumor crede che questo modello ideale di de nel Veneto sia ancora presente, solo «un poco impolverato». «Il sindacalismo cattolico, la società di mutuo soccorso, le cooperative hanno formato fin dalle origini un patrimonio politico che il partito possiede ancora». Ma i giovani non si iscrivono alla de. «Bisogna conquistarli con un'opera di rinnovamento che avvenga giorno per giorno». Il ministro rico¬ nosce che c'è stata una frattura fondamentale; è mancato il filtro delle organizzazioni cattoliche. Aggiungiamo: la de si è trovata senza serbatoi che non siano, anche presso i giovani, di potere e di clientela. Va bene, non parliamo di Bisaglia, ma come mai la terza generazione democristiana è considerata più spregiudicata e meno cristiana della seconda? Come mai il «rinnovamento» si fa ancora nel nome di Rumor? «Sostituire un vecchio con un giovane di 30 anni che guardi solo al potere e alle clientele sarebbe una marcia indietro. Non è l'età biologica che conta, ma la novità delle proposte». Rumor non lo dice, ma si capisce che concorda con la proposizione di alcuni dirigenti veneti, secondo i quali «la de ha una grande fame di opposizione per rigenerarsi», ma non può, «perché non ha alternativa». E' una specie di condanna al potere per cui, riflette Rumor, «bisogna che i meccanici aggiustino la macchina e cambino il motore senza interrompere la corsa». E' un lavoro che riesce arduo anche ai tecnici della Ferrari sulla pista di Monza. Qual è la de ideale, l'immagine del potere che Rumor ci propone nel congedarci? «E' un partito attaccato ai valori civili: la libertà, la democra¬ zìa come metodo, il pluralismo; ed ai valori cristiani: la giustizia distributiva, la dignità umana. Ognuno deve essere fornito di una base economica dignitosa e non devono esserci differenze sociali scandalose. La ricchezza va apprezzata quando è ottenuta con il mei-ito e con l'onestà ed è utilizzata per scopi sociali. Se questo è il partito, lo Stato deve essere poi il garante dei valori fondamentali e della buona amministrazione del suo apparalo. Deve provvedere alla redistribuzìone delle ricchezze attraverso le riforme, il fisco e ad una razionale assistenza sociale». Certo, è un progetto interessante, ma, se parliamo dell'Italia finalmente e non solo del Veneto, «questi risidtati non sono ancora stati raggiunti». Ci vorrà molto? La de crede di poter intraprendere pre- sto questo compito? Con qua- li alleati, o con quali incontri di potere? Rumor dice, dalla sua ottica veneta, che la de «è un partito autonomo, capace di interpretare la realtà so- ciale», che non c'è bisogno del compromesso storico: si capisce che gli interlocutori privilegiati del ministro restano i socialisti. Appena uscito dai dorotei aveva ricordato, tempestivamente, «che sono essenziali». Stefano Reggiani