Convegno sul cuore nella sala operatoria di Franco Giliberto

Convegno sul cuore nella sala operatoria Le giornate internazionali di Bergamo Convegno sul cuore nella sala operatoria I lavori ai quali partecipano scienziati di tutto il mondo sono stati aperti con difficilissimi interventi su due bambine (Dal nostro inviato speciale) Bergamo, 8 settembre. Sarà capitato a tutti di vedere almeno una volta di sfuggita, in tram, per la strada, su una spiaggia, un uomo o una donna con piccole deformità: nati con una mano a tre dita, con una palpebra abbassata sull'occhio, un braccio più corto dell'altro. Quelli che la gente chiama brutti scherzi della natura. Non occorre entrare nel capitolo delle mostruosità (che esiste purtroppo) per dire che in effetti la natura capricciosa può fare di peggio, a volte spedisce al mondo esserini che sono di aspetto esteriore normali, ma hanno «dentro» un guasto, una deformazione, una mancanza. Se si tratta del cuore, i guai sono ben più gravi dell'occhio schermato o della mano incompleta: perché quando uno nasce con una sola arteria polmonare, quando una parte del cuore è soltanto un abbozzo non funzionale, la situazione è drammatica. Si muore subito, o molto presto, 0 si trascina una vita angosciosa per pochissimi anni. Oggi è cominciato un congresso-seminario d'alto livello scientifico («Giornate cardiochirurgiche internazionali: la ricostruzione del cuore destro») che si occuperà per una settimana di queste gravi cardiopatie congenite. Ne è promotore il professor Lucio Parenzan, direttore del centro Inam di cardiochirurgia pediatrica dell'ospedale di Bergamo. Un centro che è un'isola nel deserto italiano delle strutture sanitarie di questo tipo destinate all'infanzia. Vi si compiono 300-350 interventi «a cuore aperto» all'anno con una mortalità del 20 per cento, compresi i casi disperati di chirurgia di estrema urgenza, persino su pazienti di un giorno di vita. Tutto, o quasi, quel che si fa in Italia nel campo della cardiochirurgia infantile lo si fa qui a Bergamo. Non stupisce perciò che al congresso-seminario abbiano dato l'adesione cardiochirurghi e cardiologi di fama mondiale: come i francesi Binet e Carpentier, lo svedese Bjork, gli inglesi Ross, Jacoub e Soto. Sono venuti a Bergamo il professor Fontan di Bordeaux, inventore di una nuova, risolutiva tecnica di ricostruzione che permette di intervenire nella atresia della tricuspide (mancanza della valvola atrio-ventricolare destra) considerata inoperabile fino a qualche anno fa; i professori Danielson, Mair e Fulton della «Mayo Clinic» di Rochester, stretti collaboratori di McGoon, forse il maggiore cardiochirurgo del mondo; Kirklin, della scuola di Birmingham, Subramanian, di Buffalo, Greep, di Palo Alto (scuola di Shumway) e molti altri. Il congresso di Bergamo diventa dunque importante per 1 nomi dei partecipanti o i partecipanti famosi vi hanno aderito perché qui c'era qualche elemento che li stimolava particolarmente? Le due cose assieme. Bisogna tener conto che in Italia nascono ogni anno novemila bambini cardiopatici, metà dei quali hanno bisogno di un intervento chirugico entro i primi dodici mesi di vita se non si vuol rischiare di farli morire. Su questa massa di piccoli malati il Centro di cardiochirurgia del professor Parenza riesce a intervenire in 150-180 casi l'anno (significa l'80 per cento di tutti gli interventi al cuore che si eseguono in Italia sui bambini fino a due anni). Spiega il dottor Furio Porzia (autore di un libro-inchiesta sui cardiopatici, che dirige l'ufficio relazioni pubbliche del congresso): «Nessun altro centro al mondo opera un numero così alto di lattanti ogni anno; in nessun altro centro si visitano tanti pazienti come succede a Bergamo, dove si raggiunge il tetto di duemila l'anno, metà dei quali sono lattanti, considerando anche le visite ambulatoriali. E' dunque profondamente ingiusto nei confronti della nostra cardiochirurgia (quella pediatrica, almeno) e soprattutto nei confronti di quei genitori inconsapevoli che si rivolgono fiduciosi ad un medico ritenendolo informato, l'atteggiamento che spesso assumono molti sanitari e persino molti cardiologi pediatri di fronte a casi di neonati cardiopatici, ai genitori dei quali non sanno parlare d'altro che della ineluttabilità del destino o della prospettiva di una attesa sempre angosciosa o dell'alternativa di un intervento all'estero. Non si rendono minimamente conto, in quest'ultimo caso, che nessun Barnard, nessun Cooley può contare su una statistica altrettanto numerosa e positiva per interventi effettuati e per pazienti strappati alla morte di quella di Lucio Parenzan. Ecco perché i maggiori rappresentanti delle scuole cardiochirurgiche più rinomate del mondo non sono mancati all'appuntamento di Bergamo». Che non è un appuntamento mondano, nemmeno marginalmente. Niente discorsi di autorità, niente ricevimenti e pranzi ufficiali, niente gite turistiche fra un intervento e l'altro o nelle pause del seminario di aggiornamento scientifico. Stamattina il Congresso si è aperto direttamente in sala operatoria. Due bambine, Ignazia Vaiana, 3 anni e mezzo, e Sabina Tafi, 8 anni, sono state affidate ai bisturi del professor Fontan e del prò-1 fessor Subramanian. Il primo affiancato dai cardiochirurghi Tatooles, Locateli! e Thevenet; il secondo da Vanini, Chidichimo, Crescenzi. Ignazia è figlia di un barbiere di Castel vetrano, soffriva di atresia della tricuspide. Sabina, figlia del gestore di uno stabilimento balneare di Castiglioncello (Livorno), portava dalla nascita una tetralo¬ gia di Fallot (varie gravi malformazioni cardiache riunite) con una aplasia della valvola polmonare. Entrambe malattie più che preoccupanti, rare e con alto rischio operatorio. Un grappolo di cardiochirurghi italiani partecipanti al Congresso, accalcati attorno al tavolo operatorio, hanno seguito le fasi degli interventi conclusi con successo dopo quattro ore. Fuori, in una sala d'attesa c'erano i genitori delle due bambine. Dicevano ai cronisti: «Abbiamo passato anni di calvario. Ora tutti ci dicono che siamo alla fine delle nostre pene dopo tante paure. Da quando ci siamo affidati al Centro di Bergamo, ci è sembrato dì non dover più disperare. Non potevamo andare in America, ma siamo contenti che le circostanze ce l'abbiano impedito. Qui abbiamo imparato ad avere ancora fiducia nella scienza e nel nostro Paese». Franco Giliberto