Isabelita la controfigura di Livio Zanotti

Isabelita la controfigura NELLA TURBOLENTA ARGENTINA TRAVOLTA DALLA CRISI Isabelita la controfigura La vedova presidentessa è giunta al potere per la doppia eredità di Evita e del generale Perón; ma oggi è soltanto un comodo alibi per l'indecisione dei militari - Senza amici, con i nervi a pezzi, è stata colpita da un clamoroso scandalo finanziario (Dal nostro corrispondente) Buenos Aires, settembre. Fu un'apparizione attesa, eppure sorprese. Si presentò avvolta in un lutto totale, ancor più austero per la banda dorata di presidente della nazione che le traversava il petto esile. Annunciò che il marito era morto e lei ne aveva preso il posto. Non fece una lacrima, la /accia pietrificala nella tensione del momento, gli occhi affondati in due cerchi nerastri ma asciutti. Sembrò una sacerdotessa del dovere sola con se stessa. Alla sua immagine, i teleschermi alternavano quelle dell'affusto di cannone su cui, sotto la pioggia del rigido inverno australe, un drappello di granatieri in alta uniforme trascinava il corpo del generale Perón, attraverso Buenos Aires inondata di folle mute. Era il primo luglio di un anno fa. Quel giorno, gli argentini cominciarono a domandarsi chi era nel fondo la donna che perfino l'umile tagliatore di canna da zucchero del Nord tucumano chiamava familiarmente « Isabelita », solo perché trent'anni prima, nel suo affannato ripudio dei formalismi borghesi, si era fatta dire « Evita » la signora Eva Duarte, Madonna dei « descamisados » e seconda sposa di Juan Domingo Perón. Nel settembre 1973 l'avevano eletta alla vicepresidenza della Repubblica in sette milioni; ma furono pochi a preoccuparsi delle implicazioni concrete della scelta. Il generale l'aveva voluta al suo fianco nel ticket presidenziale e in quel momento ciò che era bene per lui era bene per tutti, o quasi. Sembrò ai più un'altra rivincita sui militari che a suo tempo avevano negato tale onore ad Evita, un modo per non inimicarsi nessuno degli innumerevoli seguaci autocandidatisi ad accompagnare l'anziano « Caudillo » nella comoda avventura elettorale. Delle precedenti incursioni di Maria Estela Martinez de Perón nella turbolenta politica argentina, inviata speciale del marito esule a dirimere le ricorrenti faide interne al « Movimiento», serbavano memoria appena gli « addetti ai lavori ». L'apparato provvide al resto con la propaganda a tappeto e le intimazioni « ad personam ». I borbottìi della « vecchia guardia » stridettero come ambizioni frustrate; a ricacciare in gola ai giovani la loro incredula contrarietà venne i una strigliata del gran pa- triarca. Che il « machismo » argen- ! tino avesse prodotto l'unica donna capo di Stato dell'Oc- cidente cristiano, adesso stu- i piva. Ci si domandava se l'orgoglio dei militari avrebbe tollerato un simile primato. Ai più sembrava impossibile. Un «golpe» avrebbe rimediato a tutto, era questione di tempo, si diceva con rassegnazione. Ma poi, aiutata dall'inerzia delle cose fatte, la fiducia prese il sopravvento. Vennero meno i timori sussurrati, si sentirono impegni solenni al rispetto delle istituzioni. Co me doveva essere, Isabelita presidentessa prese posto in cima alla quotidianità poli tica. Anzi, una repentina e non sempre sincera euforia iniziò ad attribuirle virtù napoleoniche da un lato, e, dall'altro, a sollecitare solidarietà per una donna così votata al giuramento di dedizione al Paese reso davanti al Vangelo e alle telecamere. Facevano eccezione, tra pochi altri, i peronisti della « Patria socialista », che l'avevano rinnegata come matrigna fin dal principio e la respingevano adesso come capo. Ma i sovversivi, o hanno tutto il potere o non contano niente. La voglia di credere che sarebbe andata bene, comunque non troppo male, era l'ennesima manifestazione dell'ottimismo endogeno di tanti argentini, qualcosa che gli studiosi del compor¬ tamento di massa chiamano « sìndrome della negazione ». Carlos Alberto Paz, titolare dì psicopatologia e psichiatria all'Università del Litorale e membro autorevole dell'Associazione psicoanalitica argentina ci ha scritto su parecchio. Gli sfoghi paradossali dello scrittore Jorge Luis Borges rappresenta- | no un estremo opposto e raf finatissimo, ma non un ariti- doto. Mentre la scaltrezza di certi politici nascondeva l'ai- tro volto della verità. La le- gione dei notabili giustizia- l listi premeva per assumere j la tutela della vedova presij dentessa. : « Il mio unico erede sarà i il popolo », aveva proclamaj to Perón prima di morire. E j adesso ciascuno di essi bran'■ diva come un affilato « maI chete » questo lapidario tej stamento per aprirsi il var! co tra gli altri fino alla con; fidenza esclusiva di Isabel. Il leader del partito radicale Ricardo Balbin, una vecchia volpe del conciliabolo, alternava paterni ammonimenti a sottili seduzioni, per mantenere la parte d'interlocutore privilegiato nell'opposi- zione, cui l'aveva chiamato il generale. La signora Perón ascoltava tutti e non rìspondeva a nessuno. Ci volle poco perché apparisse evidente che il suo mentore già lo aveva accanto. Nelle riunioni dei consigli dei ministri, a passeggio lungo la « Costa nera » che bordeggia il Rio de la Piata, sul balcone della « Casa Rosada » davanti alla folla, a messa la domenica mattina, mai una volta il segretario particolare e miìiistro della Previdenza sociale, José Lopez Rega, la lasciava sola. Il consiglio di lui si convertiva in decreto legge con la firma di lei. La simbiosi appariva assoluta, le sue motivazioni, un'incognita nazio- \ naie che ciascuno scioglievasecondo le proprie inclinazioni. Se ne sono sentite di tatti i colori; la « sacra famiglia ». i suoi presunti riti esoterici con il segretarioministro in funzione offician- te. la parapsicologia applicata alla politica, la setta invece del partito, la profezia come dogma ideologico. Ilvociferare che dipingeva la I residenza presidenziale di \ Olivos avvolta nell'irraziona ■ le, alimentato dalle letture ' delle pubblicazioni astrologi \ che di Lopez Rega, divennepresto sordo clamore, contenuto appena dalla paura della repressione poliziesca. Dì Maria Estela Martinez, capo di Stato ma anche giovane donila alle prese col mostro del potere, alcuni diffusero soprattutto la «leggenda nera». Dei suoi quarantaquattro anni si ricordarono soltanto quelli in cui aveva ballato per un complesso folcloristico. Accadde che con la crisi del governo e dello Stato, all'iniziale bisogno dì credere sopravvenne lo sconforto irrefrenabile. Le difficoltà crescenti non aiutano la fede. E anche I \ j j i a e i e a è e o e e a l quella di Isabelita andò ritraendosi sempre più: « Posso contare su me stessa e pochi amici... », giunse a dire con tono di aspro rimprovero al Paese in sciopero per l'alimento dei salari, con parole che giammai un politico si lascerebbe strappare dalle labbra. Chissà quanto deve avere influito sul suo temperamento la solitudine. Non ancora quella del potere, ma l'altra non meno alienante dell'esilio, in quella sorta di « Vittortale » rivisitato che era la villa «17 de Octubre », a Madrid. Non doveva essere facile trovare amici nello sfilare continuo di adulatori, seguaci, traditori, opportunisti che dall'Argentina andavano in Spagna per puntare sul generale come alla roulette. Lopez Rega, assiduo, efficiente, disponibile, seppe farsi indispensabile. Dopo la monotona tranquillità della famiglia piccoloborghese in cui era nata a La Rioja, sotto la Cordìgliera andina, dopo l'eccitante parentesi centroamericana e l'innamoramento con il generale, quel segretario tutto fare le disvelò il culto dello spirito. Poi, d'un solo balzo, di nuovo Buenos Aires, gli intrighi, i discorsi dal balcoI ne, la corte dei postulanti i appesa alla gonna e. sullo sfondo, incancellabile, la fa\ tale comparazione con colei che in tutto ciò l'aveva preceduta e superata nel momento stesso in cui aveva cessato di vivere. Evita. L'Argentina intanto è cambiata. La penuria e la guerrìglia, la protesta e la repressione, la calunnia e la tortura, l'assassinio politico, si confondono con la volontà di cambio e l'insanguinano. Isabelita vive tra « Olivos » e la « Casa Rosada »; quando esce lo fa. accompagnata dall'ululato delle sirene dell'auto che la trasporta a tutta velocità, quasi invisibile dietro la scorta di bocche da fuoco che spunta dai finestrini. La gente, talvolta anche plaudente, lungo la Avenida Libertador, deve apparirle una pennellata impressionista. Quelli che vede bene, accanto a lei, stanno tutti con il dito sul grilletto, non possono prestarle ascolto. Troppo presto, per lei, scompare il generale. Lopez Rega è costretto ad andarsene dalla reazione popolare. Anche suo genero, Raul Lastiri, presidente della Camera dei deputati, deve abbandonare la poltrona. Al Congresso, nei tribunali, sui giornali che si sono strappati il bavaglio, infuria contro l'ex ministro della Previdenza sociale la marea delle denunce, da quella per la responsabilità ideologica degli assassina commessi dai fascisti della « Triple A » all'altra di peculati miliardari. Isabel rimane sola. Il Paese entra in un vortice al cui centro il governo gira sfrenatamente su se stesso, divorato dalle lotte intestine con cui cerca di sopravvivere il « lopez reguismo ». I rimpasti seguono ai rimpasti, ci sono ministri che durano in carica una settimana ed altri che se ne vanno sbattendo la porta un istante prima di giurare. Ormai prigioniera della logica dell'esclusivismo, la presidentessa si rinserra ancor più nel circolo degli intimi. Ma l'isolamento è pernicioso. Decide contro tutto e contro tutti per riaffermare la propria autorità. La realtà non si piega però al suo imperio, e una volta dopo l'altra è costretta a cedere e tornare sulle decisioni prese. Dicono che abbia i nervi | a pezzi; l'anoressia le spranga lo stomaco; crisi di pianto la farebbero sussultare nel mezzo dei consigli dei ministri. I bollettini medici ufficiali negano tutto e affermano che il capo dello Stato ha soltanto bisogno di riposo. E' in questo momento che lo scandalo la colpisce in prima persona, come una pugnalata. Salta fuori un assegno per tre miliardi 151 milioni 651 mila vecchi pesos tnovecentomila dollari). E' stato staccato dal libretto della « Cruzada de solidaridad justicialista », uno strumento di clientela personale alimentato da una tangente imposta per legge sul gioco del lotto e da donazioni private. Secondo i giornali e i partiti che sollecitano un'inchiesta, lo chèque è stato versato al giudice che cura la successione j ereditaria di Juan Domingo Perón. Erede, con la famiglia di Eva Duarte, è Isabelita e sua la firma sotto l'assegno. « L'hanno mal consigliata, inducendoia in errore », è la spiegazione fornita finora. « Eisogna comprenderla, la presidentessa è sola», sussurrano i cortigiani. La gente ascolta incredula; i militari annuiscono, perplessi ma con i piedi puntati e le mani avanti. Livio Zanotti A Ibli Pó i dll li iii ll fll dll Pl d M (PblifI i \ Buenos Aires. Isabelita Perón, in una delle sue ultime apparizioni alla folla della Plaza de Mayo (Publifoto)

Luoghi citati: Argentina, Buenos Aires, Ibli, Madrid, Spagna