L'affabile ritrattista di Venezia morente di Marziano Bernardi

L'affabile ritrattista di Venezia morente La suggestiva mostra di Pietro Longhi L'affabile ritrattista di Venezia morente (Dal nostro inviato speciale) Venezia, settembre. Nel deserto che con fiumi di parole e con proposte di fumosi programmi i nuovi metodòlogì della Biennale di Venezia sono riusciti a creare nel settore delle arti visive, proprio quello, cioè, per cui nacque ottant'anni fa questa gloriosa istituzione, la mostra intitolata « Pietro Longhi dal disegno alla pittura» e presentata nell'ala napoleonica di piazza San Marco appare l'unica piccola oasi di autentica cintura artistica; anche perché, quantunque in ridotte dimensioni, si riallaccia alla tradizione delle grandi stupende mostre storiche veneziane iniziate nel '35 da Nino Barbantìni con Tiziano. Si è voluto qualificarla « didattica » per l'evidente rapporto tra i 36 disegni c i 22 dipinti esposti (il quadrone della Famiglia Pisani è del figlio di Pietro Longhi, Alessandro, ed il quadretto Il risveglio della dama è attribuito a un imitatore longfiiano, benché della dama e della sua ancella esista un disegno del maestro), gli uni e gli altri scelti da Terisio Pignatti nel tesoro del Museo Correr e in pubbliche e private collezioni con l'intento di sottolineare « il passaggio dal semplice segno grafico, spesso intuitivo, affrettato o parziale, fino alla meditata, quasi miniaturistica stesura pittorica delle tele »; 77ia al di là dell'assunto didascalico e della sottile indagine critica costituisce un incantevole affascinante « spettacolo »: vale a dire quella suprema verità che, emergente in luce dalle nebbie della « problemistica », si richiede all'opera d'arte. E di che tempra artistica fosse il semplice, bonario, pacifico conservatore un poco codino Pietro Falca (questo il suo nome di famiglia, sostituito poi dal soprannome «Longhi»), natoaVenezia nel 1702 secondo la biografia del figlio, morto nel 1785 secondo i registri della parrocchia di San Pantalon che però lo danno defunto all'età di « anni 85 »; il pittore, prima allievo del Balestra e in seguito del Crespi a Bologna, dal « pennel che cerca il vero » come disse il Goldoni in un suo encomio poetico; il rappresentatore puntuale, infallibile e talvolta ìnvolontariamentariamente ironico di tante famìglie patrizie veneziane, ma anche dei loro servitori (c'erano nel 1760 a Venezia 12.819 « servitori di casada », quasi un decimo della popolazione!), e dei contadini, dei cacciatori in laguna e in pahide, e, in ultimo, dei « borghesi » della morente Serenissima; lo si vede soprattutto dai suoi disegni. Qualitativamente, vincono le pitture da essi, o nell'insieme — così i due carboncini con tocchi di gessetto bianco per la duplice versione della Caccia in laguna — o nei particolari più o meno definiti, anticipate con puntigliosa esattezza ottica, sia per lo studio della composizione d'insieme, sia per quello delle singole figure, e di un atteggiamento, di un gesto, di qualche particolare degli acconciamenti, o addirittura di oggetti, mobili, utensili di cucina, panieri di frutte e d'ortaggi, la gabbia dell'uccellino, il trespolo del pappagallo (famoso, per quest'ultimo, il foglio del Correr con le annotazioni dei colori del piumaggio: « ...la machia sin sotto il colo gialla, rosso a torno a l'ochio e suso, il corpo verdolin, qualche peneta roseta su... ecc. »). Disegni d'insuperabile finezza nelle linee delicate e trepide, nel meraviglioso dosaggio di chiari e di scuri, di lumi appena svelati dall'impercettibile lievitare della grafite o del carboncino, o dalla bava del gessetto, e di ombre addensate nelle pieghe dei panni; e tuttavia straordinariamente vivi di una vita interiore, per la tensione plastica che muove contornì e volumi con energia incessante, senza che mai si possa scorgere un mìnimo cedimento nell'immediatezza e nella continuità della visione fin dal primo momento dell'intuizione figurale, una minima incertezza della mano che la conduce e la compie. Sono forse i disegni più belli e convincenti e gradevoli del Settecento italiano, e per essi si parlò di suggestione del Watteau e dello Chardin, delle incisioni dei « petits-maitres » parigini dell'incipiente « rocalile », delle illustrazioni del Boucher per Molière: tramite il Flippart, giunto a Venezia nel 1734. Per questo nel « Viatico per cinque secoli di pittura veneziana » Roberto Longhi affermò che il suo omonimo pittore prese « un passo europeo ». Ma, a parer nostro, ancor più per il disegno, mirabile espressione di pura liricità, che per la pittura di tante celebrate « Scene di conversazione » longhiane, le quali delle tipiche « Conver- sation pieces » in cui eccelsero olandesi ed inglesi (si veda in proposito il magnifico volume di Mario Praz, « Scene di conversazione », edito a Roma da Ugo Bozzi nel 1971), hanno più l'aspetto che lo spirito. Appunto per la pittura ci sembra perfettamente calzante il giudizio dato dal Pignatti nel suo fondamentale libro (« Pietro Longhi », Alfieri, Venezia, 1968), dal quale egli ha tratto l'intelaiatura critica di questa mostra ed il catalogo che l'accompagna: «...la parlata del Longhi mantenne dunque l'atteggiamento bonario, paternalistico e un po' provinciale che dava il tono alla pacifica aristocrazia veneta di fine secolo »; e la mantenne per più di quarant'anni inalterata, per tutta la seconda parte della sua vita lunghissima, indifferente alla ripetizione delle sue scenette d'interni, dei suoi motivetti di costume, che i lontani seguaci ottocenteschi avrebbero trasformato in insopportabili quadretti « di genere », veristici come brutte fotografie. Sensibile per temperamento e per inflessioni stilistiche all'intimità morale di Rosalba Carriera più che alla retorica magniloquenza del Tiepolo e compagni, egli aveva capito in tempo la propria difficoltà « di distinguersi nello Storico » (Alessandro Longhi e poi l'acuto Manette), e come già i rappresentanti della « pittura più seria e più sincera di tutta la repubblica veneta », la bresciana e la bergamasca tra la fine del Sei ed il principio del Settecento (Roberto Longhi), aveva cercato altri temi nella società « umana » del suo tempo. In fondo, chi ben guardi, i volti e gli atteggiamenti delle figure sacre affrescate nel¬ la chiesa veneziana di San Pantalon tra il 1744 ed il '45, felicemente attribuiti al Longhi da Francesco Valcanover nel 1956, sono i medesimi di certi contadini veneti dipinti poco prima, parenti dei personaggi del Pitocchetto, e delle dame, dei gentiluomini in bautta, degli abati, dei maestri di musica e di ballo, dei bambini e dei servitori che sono i deliziosi attori del teatro longhiano-goldoniano. Si sa che i capolavori della pittura di Pietro Longhi van cercati a Ca' Rezzonico. Ma qui, alla mostra, ne abbiamo uno, la Famiglia patrizia, che appunto viene da Ca' Rezzonico, ed è un esempio di quelle che vorremmo chiamare non « scene di conversazione » ma « scene di presentazione » per definire l'impressione che quasi sempre suscita il quadro di Pietro Longhi, impostato sulla « frontalità » dei personaggi rappresentati. E' come se essi si guardassero in uno specchio, studiando le loro fisionomie e ì loro gesti in attesa che il pittore li dipinga coi suoi teneri, squisiti, preziosi colori che anticipano la tavolozza di un Bonnard. Che cosa guardino, così fissi e quasi attoniti, non si sa. Forse il loro vuoto spirituale incapace di dramma? Era una società ormai consumata. Nell'aver saputo ritrarla quale era, impassibilmente, qualche volta affettuosamente, senza alcun intento di « protesta sociale », sta la grandezza pittorica di Pietro Longhi. Marziano Bernardi Pietro Longhi: da « La passeggiata » di Ca' Rezzonico

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