L'«ipnotismo» di Tal e l'ombra di Fischer di Luciano Curino

L'«ipnotismo» di Tal e l'ombra di Fischer AL TORNEO SCACCHISTICO DI MILANO L'«ipnotismo» di Tal e l'ombra di Fischer (Dal nostro inviato speciale) Milano, 1 settembre. C'è chi domanda se è vero che Michail Tal ipnotizza l'avversario. Non è vero. Deve però esserci Qualcosa di magico o di indefinibile nel grande maestro sovietico, se il pubblico che viene al torneo soprattutto per vedere giocare il campione del mondo Kaipov, quasi subito è attratto da Tal. (Accadeva la stessa cosa alle Olimpiadi di scacchi di Skopje e di Nizza: tutti a guardare Tal, per ore in silenzio e affascinati). Tal osserva la scacchiera jumando e tossendo e bevendo caffè. Poi afferra un pezzo con la mano malformata, che ha solo tre enormi dita, lo cala nella difesa avversaria e fissa con occhi strani e inquietanti il giocatore che gli sta di fronte. E' difficile sostenere il suo sguardo. Così è nata la leggenda: - Tal ipnotizza gli avversari. Petrosian l'ha alimentata dichiarando: « Te lo trovi davanti, affonda il colpo e si tira indietro, fissandoti e sogghignando. E quando Mischa ti guarda in un certo modo, ti senti perdu- : to». « Mischa » Tal ha 38 anni, è lettone: di Riga. E' il tiPO che a scuola preferiva risolvere i calcoli, anche \ quelli più complicati, a mente anziché su un foglio. Piccolo, olivastro, spettinato e irrequieto. Con occhi come non si sono mai visti. Ha il vestito stropicciato e sandali impolverati con calzini corti alla caviglia. Scacchista precoce, ha più talento di tutti. « Anzi, se a qualcuno si può attribuire la qualifica di genio, spetta a lui per primo » ha detto la cam- I pionessa sovietica Nona Ga- \ brindaschvili. Ma ha avuto dei guai e non ne è uscito del tutto: ha un rene solo, il fegato malandato. Per un torneo di scacchi bisogna essere forti anche fisicamente. E Tal non lo è. « Le fatiche di un lungo I torneo sono ormai superiori alle sue forze » affermano gli esperti. Ma Tal insiste, ostinato. Domando a Karpov che cosa occorre a un campione, e risponde: « Ner- I vi a posto, lavorare molto ' e talento ». Risponde Tal: I « L'amore per il gioco ». Di- | ce: « lo non sono un giocatore di scacchi, sono un ar- i tista. Come un pittore mette pennellate di colore, io ! costruisco varianti fantasìase ». Uno che ragiona in que- > sto modo, se ha una crisi di ; fegato si morde le labbra, ma non lascia la scacchiera. ! Poi perde, perché non è al cento e nemmeno al sessan- j ta per cento, e vaga per i j corridoi dell'albergo con occhio vitreo. « Tal in buona salute è praticamente imbattibile » si dice. Ha immaginazione ed j audacia, intraprendenza ed I inesauribile fantasia. Afferma il maestro Capece: « Il | gioco di Tal è assai violen- : to. basato sull'intuito e sul I rischio». Quando si gioca co- j si, il dispendio intellettuale è eccessivo. Si è scritto che ! Tal « stordisce l'avversario -, con colpi fulminei, mai previsti dalla teoria, ama coni- j plicazioni a lunghissima por- \ tata ove sa far valere rapi- I dita e lungimiranza di calcolo ». Fa sacrifici di pezzi che sembrano suicidi {dice: « Esistono due tipi di sacri- ; liei negli scacchi: quelli cor- i retti c i miei ni. ma che ob- \ bligano l'avversario a battersi in posizione insolita, e allora « affonda il colpo e si tira indietro, fissando e sogghignando ». Era giovane, ventenne, quando sconvolse la scuola sovietica, logica e ben codificata, con il suo stile contrario ad ogni norma. Nell'Accademia di viale Gorky a Mosca, i grandi maestri studiavano perplessi ed increduli le partite del lettone. Intanto Tal continuava a spazzare dalla scacchiera i migliori, umiliava i più fa- j mosi: Gligoric, Olafsson, Benko. Sconfisse per quattro a zero Fischer, che aveva sedici anni e già si riteneva il « numero uno ». lasciando autografi firmava anche per Fischer dicendo: « Dopo averlo battuto tante volte, mi sento autorizzato a firmare a suo nome». E' ironico, è uno che si è laureato con una tesi sugli umoristi russi. Nel 1960 vinse il titolo mondiale sconfiggendo un mostro sacro, Bolvinnik con quattro punti di vantaggio. Si disse che per almeno dieci anni nessuno sarebbe stato capace di vincere Michail Tal. Lo vinse il male, una infezione renale. Nel 1961 ci fu la rivincita con Botvinnik. Il lettone giocò con i medici attorno che gli ripetevano: « Tal, la smetta, per carità. Non può continuare ». Soffriva l'inferno. Botvinnik sommava vittorie e gioiva. Tal perse 13 a S e subito lo portarono in una clinica e gli asportarono un rene. All'epoca del campionato di Reykjavik, Fischer vanta va: « Dedico il 98 per cento delle mie energie mentali agli scacchi ». Nessun'alira passione, eccetto il tennis. perché lo aiutava a mantenere la forma fisica necessaria per un torneo. Nei momenti di relax, ascoltava dal registratore commenti di complicate partite. Amici gli infilarono una ragazza in camera. rispose seccato: «Preferisco gli scacchi». Tal. invece, ha una frase mollo bella: « Disgraziato colui la cui vita incomincia in al e finisce in h8 », che si sviluppa soltanto sulla scacchiera, da un angolo a quello opposto. Ama la buona musica e va alle partite di calcio. In questi giorni gli è nato il primo figlio e appena può telefona a Riga per sapere di lui. C'è gente che non sa nulla dei guai e del talento di Tal. ma dopo poco che è n-;l salone del torneo è affascinata da lui. Forse, istintivamente intuisce la sua umanità e la sua superiorità intellettuale. Oppure Tal è davvero un po' stregone. Comunque, anche a Milano, come ad altre competizioni, è il giocatore più seguito ed amato. Chi invece non riesce ad entrare nel cuore della gente è Anatoli Karpov. In questi giorni hanno scritto di lui: « Molto serio, poco comunicativo... Sembra altero e scostante... E' scontroso, a volte francamente sgarbato ». Hanno ricordato quella volta, a Nizza, che si irritò perché un ragazzino gli chiese l'autografo. Niente autografo. Karpov sa che la gente non va matta per lui, e dice: « Io non amo né la celebrità né il successo ». Un viso pallido e senza emozioni, ha le palpebre orlate di rosso e i polsi magri come certi seminaristi patiti. Muove il suo pezzo e, mentre l'avversario riflette, si alza e va a vedere il gioco sulle altre scacchiere. Ha una certa aria di superiorità. Cammina adagio, le braccia conserte, le spalle un po' curve. L'ombra di Fischer lo accompagna. Si sa che il giovane Karpov è diventato campione del mondo il 2 aprile, dopo che Fischer aveva rinunciato a difendere il titolo. E' chiaro che un titolo ottenuto in questo modo non esalta nessuno, e Karpov avrebbe buoni motivi per essere seccato a morte con Fischer. Nelle interviste, la prima domanda che gli fanno è: « Lei crede che avrebbe vinto contro Fischer? ». Oppure: « Pensa di essere più forte di Fischer? ■>. Ci vuole un buon autocontrollo per rispondere educatamente, invece di infuriarsi: « Al diavolo Fischer. Lasciatemi in pace». Karpov si controlla, risponde con un sorriso: « Soltanto con un incontro si può stabilire chi è più forte ». Il maestro Paoli, che era stato scelto per arbitrare a Manila le partite tra Fischer e Karpov per il campionato del mondo, mi dice: « Penso che Karpov avrebbe perso. Penso che lui stesso sa che avrebbe perso. Comunque ha cercato in tutti i modi di giocare con l'americano, perché Karpov è davvero un grande campione, e quelli come lui cercano gli avversari più forti. Una partita con Fischer è ur'esperienza unica ». Karpov può vincere tutti, e li sta vincendo, ma gli manca il confronto con il giocatore più importante, e si sente continuamente domandare: « Lei crede che contro Fischer... ». Dice Karpov. « Sono sem¬ pre disponibile a giocare con Fischer, e lo aspetto ». Una attesa che pare quella mitica al limite del deserto dei Tartari, in una avidità di battaglia e di gloria, con la speranza continuamente rinnovata da ogni ombra della pianura. E' sempre cos'i: sì incomincia a parlare di Karpov e inevitabilmente sì arriva a Fischer. Lo scorso aprile, appena si seppe che l'americano rinunciava al titolo, si disse a Mosca: « E' un peccato che esca dalla scena un campione che attualmente non ha avversari in grado di batterlo ». Mi dice il maestro Paoli: «E' un peccato perché è il più grande giocatore mai visto, ha anche la buona salute che manca a Tal. Per gli scacchi è una perdita come se la musica avesse perso Beethoven, dieci anni prima ». Perché ha abbandonato? A Reykjavik. Fischer diceva: « Vinco il titolo di campione del mondo e lo metto in palio ogni anno. Voglio diventare ricchissimo. Milioni di dollari... ». Diceva anche: « Vincerò il titolo, poi dovrò pensare a difenderlo per i prossimi trent'anni ». I sovietici, e non soltanto loro, erano disgustati dal campione che monetizzava il suo genio, dicevano che era avido, insaziabile. « Il lupo famelico di Brooklyn », si diceva di Fischer. Ma cinque mesi fa il « lupo » ha rinunciato a tre miliardi di lire che gli offriva Manila per il campionato mondiale. E ha gettato alle ortiche il titolo sognato fin da quando aveva tredici anni. Diceva Fischer, a Reykjavik: « Gli scacchi sono la vita ». Diceva Spassky: « Gli scacchi sono come la vita ». Questa era la differenza tra i due. L'americano non aveva nient'altro, cacciava le ragazze dalla camera e la sua esistenza si srotolava tra al e h8. Spassky aveva una dolce sposa e molti interessi. Scrissi da Reykjavik: «Se Fischer vincerà il campionato, se non avrà più nessuno da battere, nessuna meta da raggiungere, quale sarà la sua vita? ». Ha vinto il campionato ed ora sta chiuso nella sua villa a Pasadena, davanti al Pacifico, avvolto di silenzio e di mistero. Ad ogni torneo importante, anche a questo di Milano, corre voce che Fischer sta per arrivare e sfiderà il vincitore. Potrebbe anche accadere, perché quest'uomo è imprevedibile. Oppure sarà una perenne attesa, come al limite del deserto dei Tartari, mentre « il battito del tempo scandisce avidamente la vita ». Luciano Curino 1 -<: Ai IP l L' di Tl F Bi Df Milano. L'attesa di Tal (Foto Bonasia - Dfp)