Una domenica nel bunker di Tito Sansa

Una domenica nel bunker HELGOLAND, L'ISOLA CHE HA RESISTITO A TUTTE LE BOMBE Una domenica nel bunker Per più volte l'Inghilterra, anche dopo la guerra, ha cercato invano di far scomparire, con enormi cariche di esplosivo, quel chilometro quadrato di terra che Hitler aveva trasformato in un arsenale - Ora, tornata alla Germania, Helgoland gode di ingiustificabili privilegi doganali e del più mite clima del Mare del Nord - E' meta di centinaia di migliaia di turisti ( Nostro servizio particolare ) Hclgoluntl, agosto. Non c'è nessun posto in Europa -— dicono gli esperti di ecologia — dove l'atmosfera sia così pura come su quest'isola sperduta nel Mare del Nord: Helgoland. Mentre l'aria dei ghiacciai alpini contiene pur sempre fino a 10 mila particelle di pulviscolo per centimetro cubo, quassù, quando il vento di Nord-Est spassa le rocce, si arriva a meno di 500 particelle per centimetro cubo. Manca anche il polline, che la scarsissima vegetazione è costantemente divorata da alcune dozzine di capre. Perciò l'isola è ogni primavera rifugio di centinaia di persone le quali soffrono di febbre da fieno. Non c'è poi nessun altro posto in Europa — sempre secondo gli esperti — dove l'aria contenga tanti minerali salmi e (limitatamente all'Europa settentrionale) dove gli inverni siano altrettanto miti e le estati altrettanto fresche. E ancora: nessun'altra località turistica in Europa dove (escluse le ore comprese tra mezzogiorno e le tre del pomeriggio) vi sia tanto silenzio come qui. Sono bandite le automobili. salvo un centinaio di auto- | mezzi elettrici per l'edilizia, ì rifornimenti degli alberghi e dei negozi e quelli dei pompieri, sono vietate perfino le biciclette. Permessi speciali per velocipedi nono ; stati concessi ai postini, ai garzoni panettieri e agli agenti di polizia. Ma non è la natura intatta che induce ogni anno circa un milione dì persone a visitare Helgoland, la quale si erge imponente nel mare aperto, simile a una colossa , le portaerei, a un nido di pi- \ rati, con i colori della sua j bandiera: rossa la roccia, bianca la sabbia, verdissima l'erba che ricopre la piattaforma. Il tutto sotto un cielo di cobalto che (dicono) è una rarità. Una tradizione | I motivi che in queste settimane spingono ogni giorno ! fino a 10-12 mila turisti a vi- I sitare Helgoland sono due, I l'uno nazionalistico, l'altro economico. Per milioni di tedeschi, infatti, Helgoland (da «Heiligland», terra santa) è simbolo della rinascita I della Germania, la continua- \ zione di una tradizione na- \ zionale. Nel 1S41 il poeta 1 Hoffmann von Fallcrslcben compose quassù l'inno «Deutschland ueber allos» (La Germania sopra ogni cosa). L'altro motivo è che Hel- goland, nonostante vivaci I ! i i franco, un colossale supermercato nel quale si possono comperare «duty free» alcolici, tabacchi, profumi, cibi esotici a prezzi che altro ve sono un sogno. Benché vochì francesii italiani o bel ffj possano comprendere per obiezioni della Comunità eu- I ropea a Bruxelles, gode di j privilegi doganali, è porto ia chiamata «una lingua te desca puntata contro la Gran Bretagna». Ma lo sco gl'io rosso resist ite alla fu- quali ragioni l'isola debba \ godere tuttora di questo | trattamento di favore, esso continua, difeso tenacemente dagli isolani, con la comprensione degli inglesi. Per gli inglesi, poi, la difesa dei privilegi dell'isola dipende forse anche da cattiva coscienza. Furono loro infatti che per due volte cercaro- no di distruggere lo scoglio, | per farlo scomparire dalle 1 carte geografiche, per cancellare definitivamente dalla faccia terrestre quella che già nel secolo scorso era sta- !;i ria dell'uomo, anche quando | gli inglesi continuarono a i bombardarla rabbiosamente I per cinque anni consecutivi, j Questa dei bombardamen- ti è una delle pagine più \ brutte della guerra condotta dalla Gran Bretagna. Helgo land — si sapeva — era ar- \ mata, i generali di Hitler Va- . vevano trasformata in una \ fortezza imprendibile: chilo- \ metri di gallerie erano state \ scavate nella roccia, vi potevano alloggiare i duemila soldati della contraerea e i quasi tremila abitanti: accanto al porto erano stati costruiti enormi grotte mari»f f>er ff/i «^ooje»Ji iommergibili corsari tedeschi). Ma era anche strategicamente inutile, serviva all'autodifesa, al rifugio, non all'attacco. Tuttavia, il 18 aprile 1945, poche settimane prima della capitolazione del Reich nazista, lo stato maggiore britannico decise (e gli storici non si sono ancora spiega¬ tQ „ motivo) di distruggerla, Paesaggio lunare Per 104 minuti, il chilometro quadrato di roccia rossa fu trasformato in un infer- : no. A ondate successive più ■ di mille quadrimotori scari- 1 carono settemila bombe, di struggendo ogni edificio in superficie. Persero la vita 160 soldati, i cui «bunker» I erano interrati di soli 8 metri, mentre i tremila civili, le j cui gallerie erano a 17 metri ! sotto la roccia, uscirono tut- ; ti salvi dalle rovine. Il gior- i no dopo, con una flottiglia, Helgoland, trasformata in \un paesaggio lunare, fu sgomberata, i profughi maledicenti furono sparpagliati per tutta la Germania. Ben presto subentrò la desolazione, tanto che alla fine dell'anno un giornalista inglese scrìsse: «Su Helgoland non canta neppure un uccellino». Non soddisfatti, i vincitori inglesi, decisero di fare dell'isola l'obiettivo delle esercitazioni dei bombardieri della «Royal Air Force». E per anni continuarono a scaricare migliaia di tonnellate di bombe. Ma Helgoland continuava a resistere. Il 18 aprile 1947, esattamente due anni dopo il bombardamento che aveva messo in fuga gli abitanti, Londra decise finalmente di cancellare Helgoland dalla faccia terrestre. Sei milioni e 700 mila chili di esplosivo d'ogni genere, raccolti negli arsenali tedeschi o sui campi di battaglia, e accatastati nelle gallerie sotto le rocce, furono accesi con scintille comandate da una nave lontana una dozzina di miglia. Le fotografie e i film dell'epoca ci mostrano rocce lanciate in aria per centinaia dì metri, poi un fungo di fumo alto due chilometri, simile a quelli delle esplosioni atomiche nel Pacifico, infine — diradatasi la nube — ecco ricomparire Helgoland. Un po' deformata nei contorni, un po' appiatti ta verso occidente, con qualche centinaio di crateri in più, sbocconcellata di alcuni ettari di terreno. Ma salda. superba nel mare. Per anni l'isola rimase ab bandonata, gli inglesi conti nuarono a non volerla resti tuire alla sua popolazione perché (come disse nel 1949 il generale Robertson): «La fortezza Helgoland costituisce un pericolo per l'Europa». Ci volle una pacifica invasione organizzata nel dicembre 1950 da due studenti di Heidelberg, Georg von Hatzfeld e René Leudesdorff, per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale sull'isola. Trasferitisi con un battello sullo scoglio deserto, pochi giorni prima di Natale, i due giovani ot- tennero che i bombardameli- ti della «Raf» britannica ve- nissero sospesi. Indistruttibile Dopo ciò, che un equipaggio tedesco venuto per trasportarli in terraferma si rivoltasse al comandante («un fatto inaudito» scrissero i giornali): infine che i governi di Bonn e di Londra si mettessero a tavolino per risolvere la questione. Il 1" marzo 1952. infine, Helgoland tornò alla Germania e ai suoi abitanti, che issarono trionfalmente il tricolore bianco - rosso - verde e co- minciarono la ricostruzione. Ora, ventitré anni dopo, Hel- goland è più bella di prima, e ha fama di essere indi struttibile. Man mano che la nave si avvicina a Helgoland, piena di un migliaio di gitanti — quasi tutti tedeschi —, si avverte che i ricordi storici recenti si fanno vivi nella memoria dei passeggeri. E' domenica mattina, fa un caldo eccezionale, non un'onda screzia la distesa del mare, nero come inchiostro. C'è nervosismo a bordo, si arriverà tra un'ora ma già tutti gli sguardi, con binocoli e senza, sono puntati verso prora. D'improvviso un grido «Da ist sie» /eccola). Ma non è Helgoland. è un'altra nave bianca (oggi saranno complessivamente dieci, che a raggiera confluiranno, ver- .so mezzogiorno, sull'isola) che è apparsa all'orizzonte. Più tardi viene avvistata una seconda nave, e l'emozione si ripete. Quando, infine, si avvista l'isola, inconfondibi le, con la sua sagoma pos sente, lunga e alta sul mare, i gitanti sono presi da un fremito incomprensibile per lo straniero: bevono brindando, intonano canti, sem- bra di essere non all'andata i ma al ritorno da una gita do- ; polavoristica: macchine fotografiche, cineprese a centi- i naia sono puntate contro la I roccia, rossa all'orizzonte. [ La nave non entra nel porto, cala le ancore nella rada davanti a un lungo isolotto piatto con aeroporto (la « duna » che fronteggia il roccione) insieme con le j altre nove navi bianche, confluite contemporaneamente da altrettanti porti. Diverse \ decine di battelli a motore, scialuppe di salvataggio, accostano le navi in un formicolio frenetico. Quasi un'ora dura l'operazione di sbarco sotto il sole implacabile. Quando si scende a terra, migliaia di persone hanno già invaso l'isola. Non si trova un posto per mangiare, bisogna fare lunghe code dinanzi alle friggitorie, agli spacci di frutti di mare, ai chioschi di bibite. Altre code lunghissime sono in paziente attesa dinanzi ai negozi che vendono whisky, sigari brasiliani, profumi francesi, ca'souvenirs ranei nei quali la popolazione sopravvisse al bombardamento de' 18 aprile 1945. Saranno 'l.eci-dodicimila le persone che in questa domenica sono affluite sul chilometro quadrato di Helgoland. Sembra di essere in una stazione ferroviaria italiana, alla vigilia di Ferragosto, o all'uscita di uno stadio. Non si può vedere nulla; per mangiare, bere, comperare occorre armarsi viale cartoiìne davanti all'acquario, all'in- | gresso dei "bunker" sotter- di pazienza infinita. E' la vacanza dei poveri. Dice un vecchio pescatore (86 anni, legge il giornale senza occhiali) che uè sempre così, tutto l'anno. D'inverno un po' meno. Ma, per fortuna dura soltanto tre ore al giorno ». I turisti che soggiornano a Helgoland (sono quasi tremila, quanto gli abitanti) e che amano la quiete dell'isola, ogni mezzogiorno quando all'orizzonte appaiono le sagome delle bianche navi di gitan- ti, salgono sulle scialuppe e si fanno trasportare sulla duna, a dieci minuti di battello. Rientreranno nel pomeriggio, quando l'ondata dei «barbari» sarà ripartita, ebbra di aria salsa e di alcol comperato a metà prezzo. Traballante sulle gambe. Tutti longevi Il vecchio pescatore racconta delle mangiate straordinarie di gamberi che si fanno quassù, delle giornate d'ozio ineguagliabile che si passano «con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni», della «pigrizia meridionale» dei tremila isolani, della vivacità dei ragazzini biondi (sembrano scugnizzi napoletani), dello straordinario spirito di solidarietà, dell'onestà. «Lo sa che quassù non litighiamo mai tra di noi? — dice il vegliardo —. Benché siamo costretti in tremila su un chilometro quadrato». Gli isolani sono longevi, gli ottantenni e i novantenni non sono una rarità, la loro salute è proverbiale, come la loro vista. «Non è una favola — dice il vecchione —. Guardi che la sua nave sta per partire. Hanno già aperto i portelli». Guardo, ma a mala pena distinguo il mio battello dagli altri. Penso che il vecchio bari, invece ha ragione. Mi affretto, ritorno alla scialuppa, insieme con i dopolavoristi chiassosi, torno alla «civiltà» del nostro tempo. Tito Sansa

Persone citate: Heidelberg, Hitler, Hoffmann, Raf, René Leudesdorff, Robertson