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Il "distruttore,, RICORDO DI GAETANO SALVEMINI Il "distruttore,, Quando Salvemini si spense, il settembre del 1957, all'articolo clic dettai in sua memoria posi un titolo d'intenzionalmente ironico c scmi-celiante « dannunzianesimo »: il titolo medesimo apposto dal poeta di Elettra all'ode funebre di Friedrich Nietzsche: Per la morte di un distruttore. Affiancare il nome di Salvemini a D'Annunzio e a Nietzsche poteva parere un anche troppo facile, uno sterilmente irrispettoso, paradosso. Oggi ancora, però, se ripenso a quella mia disavventura giornalistica, e allo sdegnato furore che quel mio scritto destò presso alcuni socialisti fiorentini, non so pentirmi del titolo. Mi pare, anzi, ch'esso cogliesse, colga obiettivamente tuttavia, la virtù massima e prima dell'uomo, la positività, nella sua stessa negatività distruttiva, dell'opera sua. In ultima analisi, il suo ritratto più vero. E del quale, amo credere. Egli sarebbe stato più giustamente orgoglioso. ★ * Fin dagli anni del tirocinio lombardo e dell'amicizia con lombardi come Alfredo Galletti e l'Ernesta Binanti, poi sposa eroica di Cesare Battisti, o con « meneghini » come Turati, il giovane molfettano, insegnante al liceo di Lodi e collaboratore apprczzatissimo della « Critica Sociale », aveva, infatti, imparato ad essere, e si compiaceva di essere, il Pntstìatl Contrari: sistematicamente avverso al suo stesso partito e ai suoi leaders, inchinevole a polemizzare più con essi, o contr'essi, che non contro i comuni avversari. Questo gusto e quest'abito gli rimasero fino all'ultimo giorno, pur nel mutare delle vicende, pur nel passare dalla direzione dell'Unità al seggio di deputato e dalla cattedra fiorentina alla cattedra ambulante di antifascismo (cui pur si affiancò dal '34 la cattedra di Harvard). Gli anni del fascismo e del post-fascismo non furono, quindi, per lui meno polemici (intendo di costante polemica su due fronti) che non fossero stati gli anni della battaglia contro Giolitti e il giolittismo (nel quale Salvemini compendiava altresì i propri! « compagni » socialisti). Amava essere Bastia» Contrari anche, o soprattutto, nella conversazione privata, nei salotti degli amici, politico od impolitico, opportuno od inopportuno che questo fosse. Lo rammento a Londra, il setterh bre del '37, ospite d'una delle «pie donne» più fedeli. Salvemini scherzava sull'antifascismo delle « pie donne » inglesi, di quelle generose e valorose creature che non soltanto s'impegnavano nella battaglia e collaboravano all'ardua bisogna degli esuli, Salvemini, in ispccic, e Don Sturzo, ma s'immaginavano e si sognavano nella parte medesima che in quella medesima Londra avevano sostenuta un secolo innanzi le consolatrici e coadiuvici di Giuseppe Mazzini, prefigurando e proclamando così (e coniandone, anzi, la formula) quello che negli anni di guerra e del dopoguerra si convenne di denominare il secondo Risorgimento. Salvemini, come aveva demolito l'immagine dolciastra del primo Risorgimento, opponendo alle vaporose misticherie mazziniane e al perbenismo elegante o melodrammatico del romanticismo patriottico la prosa scabra del Cattaneo e la realtà dell'irrisolto e quasi insolubile « problema meridionale », cosi, e del pari, irrideva gli entusiasmi delle « pie donne » che lo festeggiavano e traducevano i suoi libri, mentre si divertiva a scandalizzarle col dir corna degli antifascisti. ★ * Parecchi anni di poi, nella medesima Londra, in un mondo che si poteva dir tutto mutato, se l'esule Salvemini era ospite dell'ambasciatore della nostra Repubblica, faceva sorridere, più che sdegnare, la duchessa Gallarati Scotti (la quale ben sapeva quali fossero il valore pratico e le conseguenze reali del feroce anticlericalismo salveminiano) con le sue uscite contro la Chiesa, contro la democrazia cristiana, contro lo stesso De Cìasperi — e, in genere, contro i « teologi », storici e non storici, fra i quali non mancava d'includere Marx e Croce — e ai quali opponeva, come storico «empirico», se medesimo. Era, tuttavia, il primo a non dimenticare, Salvemini, l'opera comune sua e di Gallarati Scotti (e d'altri amici non pochi, di origine moderato-monarchico-fogazzariana) nell'Associazione per il Mezzogiorno, dove aveva contratto col futuro ambasciatore della Repubblica un'amicizia ben più alta e più salda che non fosse il dissidio fra « clcricalcsimo » ed anticlericalismo. Anzi, troppo era Gallarati Scotti un uomo di religione, per non avvertire, per non apprezzare ed amare il gran fondo di religione che si annidava nel cuore di Salvemini, non casualmente, come altri socialisti nostrali, ad esempio Zibordi, nipote ed allievo d'un prete. Quanto più la realtà sembrava dargli ragione, tanto più temeva, e si teneva, d'aver torto; e s'ostinava a voler essere il Bastimi Contrari della sua giovinezza lombarda. Ma gli s'insinuava nell'animo il dubbio non fosse stata quella sua polemica in gran parte vana e forse gli rimordeva di aver fatto per essa causa comune con i peggiori nemici suoi e dell'Italia. Per antigiolittismo, aveva non pur offeso, contro ogni verità e ragione, taluno dei maggiori leaders del riformismo, sì anche s'era stretto col peggior canagliume pseudointellettuale dei « radiosomaggisti », aveva collaborato al Popolo d'Italia e partecipato alla crociata contro la democrazia e il Parlamento, senza nemmeno avvertire durante il primo semestre del '19 la potenziale o reale pericolosità d'un movimento che in gennaio aveva proibito a Bissolati di parlare alla Scala da internazionalista «rinunciatario », in marzo aveva fondato il primo fascio e ad aprile aveva incendiato, nella vecchia via San Damiano, YAvantiì. Precursore e propugnatore del suffragio universale come l'arma ultima e decisiva contro il «clientelismo», sola capace pertanto di sciogliere il problema del Mezzogiorno, aveva potuto constatarne l'inefficacia avanti e dopo l'ima e l'altra guerra. Esule, senso e fu i noi consapevole della pericolosità e del carattere internazionale del fascismo, che solo da una congiuntura o coalizione « internazionale » poteva, pertanto, essere, quando che sia, liquidato, gridava ai quattro venti che i responsabili veri del fascio-nazismo erano le democrazie occidentali, in cui non si peritò qualche volta di ravvisare il vero nemico (sin quando, almeno, non vennero Stalin e i comunisti a fargli cambiare parere). ★ ★ Ebbene, appunto questa solitudine talvolta un po' donchisciottesca, e le più volte anacronistica, inopportuna, improduttiva, o addirittura controproducente, di Salvemini, era, in ultima analisi, se non la sua forza, il tratto più caratteristico della sua persona, il motivo per cui, oltre l'idolatria degli amici succubi e la spesso disturbata e scandalizzata riverenza delle « pie donne », Salvemini fu, nel miglior della parola, « popolare : molto amato. Piaceva, giovani, anche il pittoresco, peggio c più che « churchilliano », del suo parlare, o straparlare, inglese e francese, quasi anche in ciò egli si apparentasse al cafone inurbato, emigrato ed americanizzato; quasi mantenesse nel suo vagare lenna e immutata questa costante dell'italiano, soprattutto dell'italiano del Mezzogiorno, vicino e fedele alla sua terra, all'Italia ideale e reale, anche quando più pareva fraintenderne la realtà e l'idealità, quando meno pareva battere, o approvare, le vie del suo effettivo risorgimento. Sentivamo, come Gallarati Scotti, quanto più numerose delle cose che ci separavano erano, e tuttavia sono, le cose che ci univano e che ci uniscono a lui: vivo e morto. A lui, maestro di scuola, che poco avanti di spegnersi, gettava alla scuola e alle generazioni di una diversa ed avversa « società permissiva » il monito austero: « La nostra civiltà andrà in rovina se la scuola meno al compito d'insegnare alle future generazioni che ci sono delle cose che non si fanno ». Piero Treves

Luoghi citati: Italia, Lodi, Londra