Un'isola per gli hippv di Piero SoriaPiero Soria

 Un'isola per gli hippv SUMATRA: VIAGGIO TRA PETROLIO E MISERIA Un'isola per gli hippv g Pochi turisti si avventurano all'interno - In genere sono studenti, americani e australiani, nauseati dal consumismo - Cercano una nuova fede nelle comunità agricole che imitano ancora modelli economici primitivi basati sullo scambio - Fioritura di leggende ispirate alle divinità dei vulcani e a quella dei matrimoni A Sumatra si scende in un qualsiasi aeroporto e la realtà del petrolio, della ricchezza, dei capitali che creano altri capitali è subito evidente negli stemmi degli hangar che portano i colori delle compagnie dell'oro nero. Elicotteri, jet personali, uomini d'affari di ogni lingua, tecnici minerari. E poi impianti, trivellazioni, milioni di dollari. Ma appena si valicano i cancelli e si abbandona il centro commerciale, si piomba in una periferia di povertà inimmaginabili che circonda con avidità microcosmi di lusso riservati a pochissimi. Non certamente agli abitanti di Sumatra: contadini, pastori, pescatori che considerano il petrolio alla stregua di una divinità. La realtà dell'isola è miseria, malattie, vulcani, risaie, foreste impenetrabili e paludi. Comunicazioni difficili, comunità rurali che soprav\ vivono con un'economia di scambi, l'aspirazione di intraprendere carriere nell'esercito e nella polizia, uniche a garantire uno stipendio fisso ed una posizione sociale di prestigio. Di politica non si parla, il comunismo è un tabù che evoca fantasmi schiacciati nei campi di prigionia della Nuova Guinea, lontani anche in chi ha parenti che sono stati deportati. Rimane un embrione di turismo: la via degli hippies, dei giovani e degli studenti australiani ed americani che cercano nelle contrade povere dell'interno emozioni di verità e di semplicità, nel tentativo di staccarsi dalle filosofie del consumismo. E' un'esperienza che insegna e lascia qualcosa per tutta la vita. Incomincia così il viaggio a Sumatra. Le mosche camminano pigre sulle chele dei gamberi all'interno della scansia. Dì fianco c'è un piatto con pezzi di pollo quasi neri, unti, impregnati dell'odore rancido dell'olio di palma. Due uova trasudano caldo. Nella locanda si fa un silenzio improvviso. Un uomo alto, il sarong stretto in vita, ammicca con occhi curiosi. — Sumatra è molto grande. Brastagi nemmeno è se- l' gnata sulle carte, pochi vengono fin qui. — Parla bene l'inglese. — Ho fatto il marinaio. Gli avventori si stringono attorno, vogliono la tradiisione, qualcuno ride timido — Ci date da dormire? — Sopra. Un dollaro. — Troppo. Ieri abbiamo pagato ?neno della metà: siamo italiani, non americani. Da fuori entra gente, si passano la voce, tutto il paese a poco a poco si raduna. Un ragazzino mostra un atlante con ì fogli sgualciti. — In Italia avete il Papa: un dollaro per tutti e tre. Passiamo tra i tavoli, qualcuno ci tocca. Dal retrobottega si sale per una scala a pioli. C'è un sopralzo diviso da pareti in compensato che non arrivano al soffitto. Nel corridoio si scivola su un dito di melma, alimentata dalla goccia che cade da un rubinetto rotto. Apre una porticina. Tre brandine una coperta, niente lenzuola, un salame di tela arrotolata come cuscino. Da una feritoia chiusa dalla zanzariera si vede la piazza di sotto, battuta I : j j . o s e dal sole. Nessun rumore, solo l'abbaiare dei cani che si contendono l'osso nell'ini. mondizia. Sui tetti delle cai supole domina il vulcano sa| ero. — Qualcuno ci può accompagnare? — E' molto lungo il sentiero, 20 dollari. — E' lo stipendio di un mese. — Lo so, 20 dollari. — Troppo. Chiediamo la strada a gesti. Dopo un'ora di cammino ci raggiunge il ragazzino dell'atlante. Non ci saluta nem. meno, si mette davanti e non ' si gira più. C'è una pianura ' profondissima, incassata tra I due montagne. Campi profui mali di aglio in fiore, pomo! dori e cipolle. Un verde intenso, contadini con gli uti trezzi in spalla camminano : in fila sugli argini dei ruscel! li che irrigano i campi. All'improvviso la valle si re, stringe in una macchia d'ai| beri. In mezzo c'è un lago j dalle acque bollenti che portano lo zolfo del vulcano. La guida fa segno che dobbiamo bagnarci: mima la rabbia della «montagna con il fumo», se cos'i non fosse. Il sole asciuga in un attimo. Si attraversa un villaggio e dei giovani ci seguono facendo domande. Sono molti, non ci si capisce. Indicano la borsa. — Dollari, dollari. Hanno in mano falcetti, coltelli, le richieste si fanno più insìstenti. Abbiamo tutti i soldi con noi, non c'era da fidarsi a lasciarli a Brastagi. Qualcuno fa minacce, con una mimica inequivocabile. Senza guardarci «il nostro ragazzino» tira fuori dalla tasca una manciata di rupie e le distribuisce con mosse secche. Poi punta il pollice al petto e sussurra: «You, Belive me. Ok. Thank you». E' gran parte dell'inglese che sa. ma è sufficiente. La piunura finisce e finisce anche il sentiero. Son più di 3 ore che si cammina. Il vulcano è immerso in una j jungla finissima fino a poi che centinaia di metri dal I cratere, poi soltanto rocce e , zolfo. Cambiano i suoni: si I sentono come delle grida di j bambino ed un rullio sordo ! di tamburi. Ma non c'è nes! suno: sono strani uccelli neri che battono i becchi per fare scappare le scimmie. Bisogna tirarsi su a forza di 1 braccia, aggrappandosi alle ' liane, guadagnando centimei tro per centimetro, con i pie' di che scivolano in rivoli di ! acqua solforata. Una fatica ! tremenda Improvvisamente . la guida ci fa segno di feri marci. | — Cigarettes, Ok, thank : you. Ne accende quattro, le osserva, controlla che il fumo si levi verso l'alto e poi le infila tra i rami di un alberello secco. Ce ne sono altre. Si inginocchia come può e recita una preghiera. Dall'alto scendono due uomini segnati dalla fatica, le braccia rigate dai rovi. Portano sulle spalle enormi blocchi di zolfo che li fanno barcollare. Anche loro ripetono l'offerta. La cima sembra che non ; arrivi mai. Prima di raggiun| gerla, i due minatori, già di j ritorno, ci sorpassano. E' ] uno spettacolo che lascia j senza fiato: decine di piccoli crateri si aprono nella mon: tagna, sprigionando vapori ' ed odori. Gli uomini dello zolfo si coprono il viso con uno straccio e vi si buttano \ dentro. Riemergono dal fumo in un'atmosfera dantesca, coperti di fuliggini e di polveri nere, aspirando ossiI geno al limite della sopporI tazione. Si riprendono e scompaiono nella jungla con i sacchi sulle spalle. Qualcuno muore: sono le vittime : del vulcano sacro. Nella piazza di Brastagi il pullman passa due volte alla i settimana. La gente lo aspetta per ore, accampata tra ceste di vimini, fagotti di tela, animali e cespi di frutta raccolta in grosse foglie. Si prenotano i posti attendendolo con pazienza, davanti agli altri che si aggiungono con il passare del tempo. Chi arriva in ritardo sta appeso fuori o sul portabagagli. E' quasi una cerimonia. Il vecchio Chevrolet arriva suonando, viene stipato all'inverosimile, poi incomincia un giro del paese dove i bigliettai bussano quasi porta a porta per avere altri passeggeri de¬ stinati ad aumentare le loro percentuali di guadagno. E per ogni paese è così. Dentro: immobili, aggressivi nel contendere lo spazio conquistato, rassegnati al tempo che non scorre mai. Fuori: supplicanti per ottenere un posto, fatalisti nel veder partire il bus inospitale. Il viaggio fino a Prapat, sulle sponde del lago Toba, è interminabile: 12 ore per fare poco meno di 200 chilometri. Di notte ci si ferma in villaggi stanchi, illuminati da lampade al cherosene, dove la povertà non ha una ora fissa per dormire o stare svegli. Si cambiano i freni, a volte addirittura gli alberi di trasmissione sfiancati dal peso e dalle buche, mentre i passeggeri sì addormentano cravanti ad un caffè o ad una ciotola di riso. In mezzo al lago c'è un'isola ferma nel tempo, dove abitano le tribù Batak. Gli abitanti vengono sull'altra sponda con le loro barche in cerca di hippies. — Non andate dagli altri. Ho una casa molto bella e due materassi nuovi. La chiatta scivola sull'acqua che ricopre un immenso cratere per giungere a quello che rimane di un vecchio vulcano sprofondato. Sulle sponde branchi di bufali si immergono lasciando fuori soltanto la testa. Le donne lavano i piatti e i panni, qualcuno pesca, un giovane scava una canoa da un tronco. — Ho due materassi nuovi, mia sorella cucina bene. Le capanne Batak sono appoggiate su palafitte che fanno da recinto agli animali, hanno una facciata scolpita a mano, ricoperta di disegni e intarsi e un tetto che si innalza al cielo come la prua di una nave. Ci si infila sul davanti per una porticina I quadrata di poco più di un metro a cui si arriva per una scaletta a pioli esterna. Il frontone però si interrompe e non giunge fino al tetto. — Gli dei devono poter enj trare e uscire dalla casa quando vogliono per cacciare gli spiriti maligni. Per questo in alto è aperta. E' la I religione. Domani c'è un maI trimonio, siete invitati. QuelI li che abitano sull'altra ! sponda sono diversi da noi, ! non ci capiscono. Queste co| se ce le hanno tramandate i nostri padri. Non siamo mai j stati conquistati dagli olan; desi. Si sono fermati al di là | del lago». I II nostro ospite mette i due materassi a terra, vicino I a uno vecchio. C'è una sedia, un tavolino di bambù. Nien- \ te letti, coperte, cuscini. Una ! candela e una ciotola d'ac- i qua. — Volete erba di Sumatra? Tutti gli hippies ne vogliono. A me non piace, fa perdere la testa. Buonanotte. Sotto i bufali si agitano e danno cornate contro i piantoni dello steccato, tutta la casa si muove. Il loro calore sale attraverso il pavimento: non c'è bisogno di coperte. Sulla piazza di Tomok, il villaggio, i sacerdoti muovono un pupazzo di legno in costume che rappresenta la divinità scesa sulla terra per il matrimonio. Suoni di pifferi, cembali e tamburi. Una danzatrice disegna le figure di un ballo rituale e offre la sposa agli dei. Gli abitanti fanno ala allo sposo e lo confortano. Poi i due giovani si prendono per mano e se ne vanno verso la capanna nuova, con i doni di tutti. — Molti giovani rimangono, non vanno più via. Il paradiso delle vostre religioni è qui con noi. Ditelo in giro. Piero Soria I j Sumatra: festa di nozze davanti alle case Batak del Iagu Toba (Foto Piero Soria)

Persone citate: Miseria

Luoghi citati: Italia, Nuova Guinea, Sumatra