Femminilità e femminismo di Sergio Quinzio

Femminilità e femminismo UNA VINCITRICE SCONFITTA Femminilità e femminismo Altre epoche storiche — epoche clic consideriamo di decadenza —• hanno conosciuto l'equivalente degli attuali movimenti femministi. Quando l'impero romano era al suo declino ad esempio, vi erano donne attive nelle professioni c perfino negli sport tradizionalmente virili, e donne abbigliate secondo il costume maschile. Ma giudicare il « femminismo» come un puro e semplice fenomeno degenerativo non è che un modo troppo facile per evitare la fatica di capirlo. La mia opinione è che certi aspetti del femminismo — i più superficiali e appariscenti — possano essere effettivamente spiegati come ricorrenti fenomeni di decadenza (nei limiti in cui un termine generico e opinabile come « decadenza » può spiegare qualcosa). Ma le analogie ingannano. Il mondo moderno è un unicum nella storia, un unicum da idolatrare o da esecrare, questo resta da vedere, ma certamente un unicum. Il femminismo che noi conosciamo è diverso da quello antico, e la differenza è altrettanto grande quanto quella che passa fra l'ateismo moderno, massicciamente e aggressivamente nato sul terreno del cristianesimo, e quello antico, che era una specie di distaccato scetticismo d'elite. Ma in che cosa consiste la novità — e quindi la seria importanza — del femminismo moderno? Tutta una scric di legami lo uniscono evidentemente ad altre forme di rivendicazioni politiche ed economiche esplose nella nostra epoca, ma nella rivendicazione femminista c'è qualcosa di più radicale. Se le parole non fossero ormai così scollate dalla realtà il femminismo dovrebbe chiamarsi, piuttosto, antifemminismo: l'apparenza è intatti quella di un'affermazione di ciò che è proprio della femminilità, dei « diritti della donna » in quanto donna, ma la sostanza è un estraniarsi dalla femminilità sentita da molte donne — più o meno consapevolmente — come qualcosa che contraddice la pienezza della loro umanità. La spinta è a liberarsi non tanto da una condizione sociale quanto da una condizione biologica, dalla quale la stessa condizione sociale consegue. La donna si sente respinta a un livello inferiore dal suo « destino biologico ». La religione la la nascere dalla costola di Adamo, come un accessorio per l'uomo. La stessa parola « femmina » che la riduce — questo è il significato etimologico — alla funzione di partorire e di allattare suona offensiva. Deus sive natura: la donna si ribella alla « legge » che la incatena alla sua biologia imponendole mestrui, gravidanza, allattamento, così come l'uomo si ribella alla « legge » che lo incatena alla sua condizione di suddito e di servo del Dio trascendente. ★ ★ In Domani le donne — un libro di dieci anni fa, dunque vecchio adesso che i libri hanno vecchiaie precocissime — Evelync Sullcrot indicava le tappe, già percorse o sperate per il futuro, della liberazione della donna dalla femminilità. Il tabù della verginità — una specie di sigillo che garantisce il prodotto intatto — è stato abbondantemente rimosso (ma anche se scompare il tabù il latto resta, tanto che qualcuno ha suggerito l'universale deflorazione chirurgica infantile). L'allattamento al seno, che ribadiva le catene nobilitandole, è stato sconfitto dall'allattamento artificiale. La diffusione degli asili-nido aiuta a scalzare l'identificazione della donna con l'allevatrice di bambini. Evelync Sullerot diceva che qualcosa si potrebbe già lare anche per almeno distribuire a piacimento, entro certi limiti, i cicli di ovulazione, e intanto la pubblicità della sempre più progredita « igiene intima » annuncia un certo grado di liberazione da « quella » schiavitù. Contro la dura legge del partorire si combatte su più fronti. Ma l'aborto è una vittoria troppo simile a una sconfitta, mentre le forme di parto indolore sono appena scara¬ mucce, tutt'altro che decisive. L'ibernazione del seme maschile e il trapianto dell'ovulo già fecondato, sebbene sminuiscano l'idea della donna-madre scomponendola in pezzi come un meccanismo, non bastano a distruggerla. Neanche i contraccettivi risolvono il problema, se devono continuare a nascere bambini. Perciò la Sullcrot guardava oltre, verso l'eliminazione del parto, verso i « bambini in provetta x> di cui aveva parlato già Huxley. ★ ★ Considerando le cose dopo dieci anni, vediamo che la vittoria definitiva è rimasta lontana e aleatoria. Ma c'è qualcosa di più irriducibile delle conseguenze della sessualità femminile, ed è la sessualità femminile in sé. E infatti in questi ultimi anni ci sono state femministe più audacemente coerenti, le quali non si sono accontentate del palliativo con cui la Sullcrot pensava di ridurre a un minimo pressoché insignificante l'ineliminabile « piccola differenza » femminile, auspicando e prevedendo — non senza buone ragioni — la crescente dcscssualizzazione del costume sociale e individuale. Fino a quando il rapporto tra i sessi continuerà comunque a coinvolgere in modo consistente la vita degli esseri umani la donna patirà sempre un'inferiorità: quella alla quale la condanna la stessa conformazione anatomica e fisiologica del suo sesso, latto per ricevere passivamente. Il concubito implica incubo e succubo. Sebbene siano possibili — come mostra anche Margaret Mead nella sua descrizione dei costumi sessuali delle popolazioni oceaniche — capovolgimenti di ruolo tra maschio e femmina per quanto riguarda l'iniziativa e l'aggressività, la situazione finale è quella imposta dalla biologia. Ebbene, le nuove leve femministe sono giunte appunto a considerare questo ultimo limite biologico. C'è qualche rimedio anche per questo? Forse, ma in una sempre più completa alienazione della donna dalla sua reale femminilità. Sembra che qui si tocchi proprio il fondo delle possibilità. Le femministe più conseguenti che in prospettiva omosessuale e mastur¬ batoci hanno valorizzato la clitoride facendola diventare, alla francese, il clitoride e parlando molto di orgasmo clitorideo tendono all'unisex, ma è pur sempre un unisex ottenuto per adeguamento al modello maschile. E' naturalmente vero che a ciò che fa l'inferiorità della femmina nei confronti del maschio corrisponde inesorabilmente ciò che fa la sua superiorità. Alla freudiana « invidia del pene » si può certamente contrapporre — lo faceva già la Bibbia millenni or sono — lo sconfinato potere sessuale della matrice che divora le lorze virili. Ma la storia sta qui a mostrare, proprio sotto i nostri occhi, che la donna si sente sconfitta: anche la sua vittoria infatti, quando c'è, è conquistata al prezzo della sua umiliazione. Accorgersi di questo, come se ne accorgono oggi le femministe consequenziarie, significa patire come scandalo quello che fin qui era stato sempre eluso etichettandolo come « naturale », considerandolo cioè falsamente ovvio. Ma è vano rifiutare la propria realtà, e disperato lo sforzo d'inventarsene un'altra. Squallido, in ogni caso, sarebbe il risultato. * ★ Ho cominciato accennando a ricondurre il femminismo, insieme all'ateismo, al cristianesimo; e così finisco. Come la speranza cristiana della redenzione dell'uomo è all'opera, anche se in contesti caotici e quindi in modi aberranti, in tutti i luoghi significativi dell'esperienza moderna e contemporanea, così offre le sole risposte proporzionate alle domande di cui è portatrice. L'unica, necessariamente paradossale e tragica, possibilità di valutazione positiva del negativo in quanto tale, l'unica possibilità di capovolgere il negativo in positivo, è quella espressa dalla croce. L'umiltà e la pietà femminili sono state millenariamente, e forse ormai irreparabilmente, misconosciute, offese e calpestate come « naturali » debolezze. Ma quale amore, davvero cristiano, sarebbe quello che nascesse dalla consapevolezza dell'umiltà e della pietà? Sergio Quinzio

Persone citate: Huxley, Margaret Mead, Sullerot